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Verso un’economia circolare: da rifiuti a risorse attraverso l’adozione di metodi e strumenti orientati al fine vita
La gestione dei rifiuti e la scarsità di risorse stanno diventando problemi primari per l’intera società moderna. L’economia circolare è riconosciuta come il più efficace modello per garantire sostenibilità di lungo termine, grazie al disaccoppiamento tra lo sviluppo economico e il consumo di risorse. Essa mira a realizzare cicli di vita chiusi, sfruttando il riuso e il riciclo, con rilevanti benefici sia economici sia ambientali. Questo richiede un’efficiente gestione del fine vita, che rappresenta l’anello di congiunzione per la chiusura del ciclo vita. La gestione del fine vita è però un’attività complessa e influenzata da numerosi aspetti e soggetti.
L’obiettivo del presente lavoro di ricerca è la definizione di un framework che permetta di monitorare il fine vita durante le fasi più influenti. Lo scopo finale è lo sviluppo di una serie di metodologie e strumenti per supportare le diverse fasi del processo decisionale, al fine di progettare prodotti con performances migliorate in termini di disassemblabilità, manutenibilità e fine vita.
Il framework proposto integra quattro innovative metodologie e strumenti: (i) la Metodologia per la stima della disassemblabilità attraverso indicatori quantitativi, (ii) lo strumento software LeanDfD, per l’identificazione delle criticità di prodotto, (iii) la Metodologia Disassembly Knowledge, per supportare la fase di riprogettazione e (iv) la Piattaforma Collaborativa, per favorire la condivisione di informazioni e materiali.
I risultati del lavoro di tesi sono stati validati attraverso due casi studio. Il primo, riguardante una lavatrice, ha dimostrato che le metodologie e gli strumenti sviluppati rappresentano mezzi utili per supportare la riprogettazione orientata a migliorare le performances di disassemblabilità e fine vita. Il secondo, riguardante il settore elettronico, ha confermato l’utilità della piattaforma di gestione del fine vita per supportare il processo decisionale mirato all’implementazione di scenari di riuso
Biofilm formation and multidrug resistance in Klebsiella pneumoniae urinary strains
Lo scopo di questo studio è stato valutare la possibile correlazione tra le caratteristiche che contribuiscono alla produzione di biofilm in diversi isolati di Klebsiella pneumoniae e il loro profilo di antibiotico-resistenza.
Un totale di 120 ceppi urinari di K. pneumoniae sono stati suddivisi in 3 gruppi, i.e. sensibili (S=29), con resistenze multiple (MDR=29) e ampiamente resistenti ai farmaci (XDR=62), e caratterizzati per adesione, produzione di polisaccaridi e fenotipo mucoide. Il 20,69% degli MDR e il 90,32% degli XDR erano resistenti ai carbapenemi. Gli isolati XDR risultavano essere in grado di formare più biofilm (90.32% fortemente aderenti) rispetto ai ceppi S (68,97%) e MDR (65,52%). La forte produzione di polisaccaridi era osservata nel 34,5% degli S, nel 48,3% degli MDR e nel 80,6% degli XDR.
Tre isolati rappresentativi per ogni gruppo sono stati analizzati mediante RT-PCR durante la crescita planktonica e quella sessile, per confrontare l'espressione di geni coinvolti nell'antibiotico-resistenza (ompK35, ompK36, acrB) e nella formazione di biofilm ( mrkA, luxS,, pga, wbbM, wzm)
Durante la crescita in biofilm, OmpK36 risultava sotto-espresso in tutti i ceppi; acrB e Luxs erano up-regolati nei ceppi XDR; mrkA diveniva up-regolato nei ceppi fortemente adesivi (OD≥1); pgaA era sovra-espresso in 2 ceppi MDR e nei 3 isolati XDR; wbbM e wzm erano up-regolati in tutti i ceppi XDR esaminati.
In conclusione, i ceppi XDR sono apparsi in grado di sfruttare meccanismi multipli per formare biofilm complessi che a loro volta rendono tali isolati più virulenti e resistenti agli antibiotici.
Due coppie di ceppi di K. pneumoniae, isolati da 2 pazienti prima e dopo la terapia antibiotica, sono state analizzate tramite tipizzazione e saggio di produzione di biofilm. In base ai dati ottenuti, la pressione antibiotica è apparsa selezionare ceppi più resistenti e forti produttori di biofilm
Electromagnetic systems for autonomous running of visually impaired athletes
La principale attività di ricerca è la progettazione di tecnologie innovative volte a rendere autonomi atleti affetti da disabilità visive durante lo sport o attività sportive all’aperto. Due sistemi sono stati sviluppati per questi atleti distinguendo due discipline sportive: maratona e atletica leggera. Entrambi i sistemi si basano sulla generazione di un’area sicura dove l’atleta possa svolgere la sua attività senza l’assistenza di una persona vedente. Il primo sistema è caratterizzato da un’unita trasmittente mobile, posta di fronte all’atleta, che genererà due “muri elettromagnetici” i quali delimiteranno l’area di corsa. Il sistema ricevente, indossato dall’atleta, invierà segnalazioni vibro-tattili ogni volta che l’atleta si avvicinerà a uno dei due muri ed incentiverà uno spostamento verso la posizione centrale. Il secondo sistema è caratterizzato da un’unità trasmittente fissa composta da due cavi stesi lungo la pista di atletica. Questi genereranno due campi elettromagnetici che, mediante un sensore magnetico, determineranno la posizione dell’utente.
Altre attività di ricerca svolte riguardano problemi di compatibilità elettromagnetica su banchi di collaudo e tematiche riguardanti i radar in ambito automobilistico. Il Telemakos è un banco di test sviluppato per il collaudo di radio-navigatori e della sensitivity. Differenti problemi a radiofrequenza sono stati rilevati; pertanto un’analisi EMC è stata svolta con l’obiettivo di risolvere i problemi presenti. L’ultimo argomento affrontato riguarda i radar in ambito automobilistico. In particolare sono stati valutati i problemi che potrebbero manifestarsi a causa della presenza del radome; ad esempio elevate attenuazioni del segnale e alterazione del diagramma di radiazione delle antenne. Quindi uno studio dei parametri chimici ed elettromagnetici dei materiali è stato eseguito così da valutare il comportamento di tali composti
Distretti industriali, localizzazione d'impresa e profittabilità
La tesi si compone di tre paper empirici che esplorano l’associazione fra profittabilità delle imprese manifatturiere e il loro territorio di insediamento analizzandone le determinanti. I primi due lavori si riferiscono all’Italia mentre il terzo estende l’analisi alla Gran Bretagna e propone uno studio comparato fra i due paesi.
I dataset utilizzati sono stati ottenuti dalla fusione delle banche dati AIDA e FAME con le mappatura territoriali rese disponibili dall’OCSE, dagli istituti nazionali di statistica italiano e britannico e da precedenti lavori empirici. Nel complesso, sono state analizzate circa 70.000 imprese manifatturiere italiane e circa 135.000 companies manifatturiere britanniche.
Il primo paper affronta una tematica caratteristica della manifattura italiana: i distretti industriali. Attraverso l’analisi del c.d. effetto distretto e la sua misura in specifici sottocampioni di imprese, viene proposta una originale chiave di lettura delle trasformazioni che stanno interessando questi particolari sistemi socio-economici localizzati.
Il secondo paper analizza l’impatto della localizzazione sulla profittabilità delle imprese manifatturiere utilizzando una mappatura del territorio italiano molto più articolata che comprende le aree urbane e i territori prevalentemente manifatturieri. I risultati consentono una originale rilettura degli elementi di efficienza che caratterizzano i diversi territori.
Il terzo paper analizza le companies manifatturiere britanniche. La mappatura proposta evidenzia una articolazione territoriale abbastanza dissimile rispetto a quella italiana. Ciononostante, in termini di impatto della localizzazione sulla profittabilità d’impresa sono riscontrabili interessanti analogie fra i due paesi.
I tre contributi confermano la rilevanza dei territori in termini di impatto sulla profittabilità delle imprese manifatturiere e forniscono elementi per comprenderne le determinanti economiche sottostanti. Con rilevanti implicazioni anche in termini di policy
Study and development of methodologies and advance solutions to support design of smart and inclusive environment
L’aumento della popolazione anziana avrà nei prossimi anni un forte impatto sulla nostra società, in particolare sul finanziamento del Welfare. Per garantire che il sistema del welfare sia sostenibile è essenziale sostenere gli anziani nel mantenersi indipendenti: questo è il motivo per cui il design for inclusion è un tema importante per l'Unione Europea.
In questo contesto, le tecnologie domotiche possono giocare un ruolo chiave nel supportare gli anziani nella vita quotidiana e nell’aumentare il loro benessere. Tuttavia, nonostante la domanda di questi prodotti è in aumento e la tecnologia necessaria esiste già da decenni, esse rimangono scarsamente utilizzate.
Il fallimento delle soluzioni disponibili è dovuto al fatto esse non sono inclusive. Infatti i progettisti spesso si concentrano più sui problemi tecnologici o sulle funzionalità dei prodotti che sui bisogni e le abilità degli utenti, oppure si limitano a seguire le linee guida progettuali, senza considerarne il contesto d’uso.
Durante gli ultimi anni, sono stati proposti molti approcci che mirano a supportare la progettazione di prodotti più inclusivi. Tuttavia, non è ancora stato definito un metodo che fornisca strumenti pratici in grado di guidare il progettista in modo sistematico nelle scelte progettuali. In questo contesto, il lavoro di ricerca propone una metodologia, basata su un approccio centrato sull’utente che grazie a strumenti in grado di guidare le scelte progettuali a seconda dei bisogni e delle abilità degli utenti finali, mira a supportare la progettazione di prodotti inclusivi, modulari e adattabili.
Il metodo e gli strumenti proposti sono stati utilizzati nella progettazione di un ambiente cucina, grazie anche a tecnologie domotiche risultasse accessibile e utilizzabile per le persone anziane e disabili. I risultati sperimentali dimostrano che il metodo e gli strumenti proposti consentono di supportare efficacemente la progettazione di prodotti inclusivi
Caratteristiche sociodemografiche e supporto sociale associati all’accesso in pronto soccorso in un campione rappresentativo di anziani italiani residenti a domicilio: criticità e prospettive
Ad oggi i pazienti anziani rappresentano il 12% della popolazione afferente al Pronto Soccorso. In Italia non sono disponibili dati di popolazione sui fattori associati agli accessi potenzialmente prevenibili. Il nostro obiettivo è stato individuare le caratteristiche socio demografiche, della rete assistenziale ed il consumo di risorse sanitarie associate ad accessi in Pronto Soccorso non seguiti da ricovero in un campione rappresentativo della popolazione italiana di anziani residenti a domicilio utilizzando i dati dell’Indagine Multiscopo “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari” 2012-2013. Sono stati considerati 27003 soggetti di età uguale o superiore a 65 anni. Le variabili esaminate riguardano caratteristiche socio demografiche, cliniche e il consumo di risorse sanitarie. L’analisi è stata fatta rispetto agli accessi in Pronto Soccorso effettuati nei tre o dodici mesi precedenti l’intervista. Dalla nostra indagine emerge che esistono delle differenze geografiche a livello nazionale riguardo all’uso del Pronto Soccorso; inoltre età avanzata, disabilità e polifarmacoterapia sono fattori di rischio, così come un maggiore consumo di risorse in termini di esami diagnostici, visite dal medico curante e specialistiche. Aumentano la probabilità di aver fatto ricorso al PS anche la rinuncia ad effettuare visite specialistiche o esami diagnostici. Le principali patologie croniche si associano ad una maggiore probabilità di accedere al Pronto Soccorso, così come un ricovero ospedaliero negli ultimi tre o dodici mesi. Sono associati con una minore probabilità di accesso in Pronto Soccorso, invece, l’esenzione parziale dal ticket o la non esenzione, una qualità di salute percepita maggiore ed il sesso femminile. Il potenziamento della rete delle cure primarie è una strategia da percorrere per ridurre gli accessi in PS, rendendo i servizi territoriali facilmente accessibili e individuando percorsi per la presa in carico dei soggetti dimessi dall’ospedale
Real-time PCR detection and PFGE typing of Pseudomonas aeruginosa from cystic fibrosis patients
The Human Rights-Based Approach to Disability in Emergency Preparedness
Il presente lavoro è stato incentrato sull’analisi delle procedure di inclusione delle persone con disabilità nella pianificazione dell’emergenza in alcuni Comuni della Regione Marche e in alcune Strutture Socio-Sanitarie Assistenziali e Istituti di Riabilitazione della Regione Marche e dello Stato del New Jersey (USA). L’affermarsi, a livello mondiale, dei principi sui diritti umani anche nell’ambito della disabilità, hanno portato ad una graduale sostituzione del modello paternalistico e caritatevole, con quello basato sul riconoscimento e il rispetto della diversità dei singoli in un’ottica di inclusione sociale. Con riferimento al contesto delle emergenze, il processo di inclusione sociale consiste nel coinvolgimento delle persone con disabilità nei programmi di pianificazione e gestione dell’emergenza promossi dai governi locali, dalle aziende private e dalle associazioni di volontariato». I risultati conseguiti dal diritto internazionale in materia di disabilità sono stati consolidati nella Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata in Italia con la Legge 3 marzo 2009, n.18. In base all’articolo 1 di tale convenzione, le persone con disabilità sono «coloro che presentano deficienze fisiche, mentali, intellettive o sensoriali di lungo periodo che, in interazione con varie barriere, possono impedire il loro pieno sviluppo ed effettiva partecipazione alla vita della comunità». La questione della disabilità, dunque, non deve essere più vista come un problema da risolvere, ma piuttosto come caratteristica propria dell’individuo e quindi meritevole di rispetto, inclusione e pari opportunità.nLo studio ha messo in evidenza la necessità di una più solida collaborazione tra le amministrazioni comunali, le varie associazioni che si occupano di problematiche legate alla disabilità nonché le strutture di tipo socio-sanitario dislocate sul territorio. Questo studio ha inoltre confermato e rafforzato l’importanza di costruire un dialogo sull’inclusione delle persone con disabilità nella pianificazione dell’emergenza. Un tale impegno rappresenterebbe l’espressione di una concreta volontà di tutela dei diritti umani e permetterebbe un confronto costruttivo tra i responsabili della gestione dell’emergenza, i rappresentanti delle associazioni che si occupano di problematiche legate alla disabilità ed i disabili stessi
Characterization of reproductive physiology, abundance and spatial distribution of the European anchovy (Engraulis encrasicolus, Linnaeus 1758) in the Western Adriatic Sea
I piccoli pelagici sono essenziali per gli ecosistemi marini perché assicurano una connessione tra i vari livelli trofici. Tra le specie più importanti vi è l’acciuga europea (Engraulis encrasicolus, Linneo, 1758), ma le sue implicazioni ecologiche ed economiche non sono supportate da un'approfondita conoscenza della sua biologia. Prima del presente dottorato non esisteva alcuna informazione né sulla fisiologia riproduttiva né sulla cascata riproduttiva nota come asse Ipotalamo-Ipofisi-Gonade.
Questa tesi si è focalizzata su quattro argomenti:
1. Ormone Rilasciante le Gonadotropine. Ho caratterizzato tre isoforme e ho studiato la loro espressione in entrambi i sessi. Ho inoltre descritto la loro filogenesi con particolare riferimento all’ordine Clupeiformes.
2. Proteine della zona radiata. Ho clonato i loro cinque cDNA, dedotto i loro prodotti di traduzione, determinato la distribuzione tissutale, quantificato gli RNA messaggeri durante l’intero ciclo riproduttivo e fornito indicazioni evolutive tramite filogenesi. Ho inoltre proposto un metodo statistico multivariato per dedurre in maniera oggettiva e/o confermare la classificazione degli stadi di maturità sessuale di Engraulis encrasicolus.
3. Distruttori Endocrini. Ho clonato e analizzato i trascritti genici della vitellogenina e del suo recettore, insieme a quelli delle proteine della zona radiata. Con l’istologia, ho ritrovato un discreto tasso di intersex. Tramite analisi chimica, ho valutato ventinove inquinanti in carcasse di acciughe campionate nell’Adriatico settentrionale, centrale e meridionale.
4. Fluttuazioni temporali di biomassa. I dati acustici sono stati campionamenti nel versante occidentale del Mar Adriatico nel periodo 2013-2015. I vantaggi del metodo acustico ha permesso lo sviluppo negli ultimi 40 anni di molti progetti di ricerca, specialmente in Adriatico, tradizionalmente studiato dall’Istituto di Scienze Marine di Ancona del CNR - ente co-finanziatore del mio progetto di dottorato
Proprietà strutturali ed aggregative della α1- glicoproteina acida, membro della superfamiglia delle lipocaline
Lo studio delle proprietà strutturali e funzionali della α1-glicoproteina acida (AGP), nota anche come orosomucoide, costituisce l’oggetto di questa tesi. La AGP rappresenta, dopo l’albumina, la più abbondante proteina nel plasma, con concentrazioni fisiologiche comprese tra 0,5 e 1,5 mg/mL. Essa appartiene alla famiglia delle lipocaline, un ampio gruppo di proteine ubiquitarie accomunate da una struttura centrale a barile β (β-barrel) che funge da sito di legame per un elevato numero di molecole idrofobiche. Sono numerose le funzioni attribuite, sia in vivo che in vitro, all’ AGP. Queste includono, tra le altre, la capacità di modulare negativamente l’attività del sistema immunitario in seguito all’insorgenza della risposta da fase acuta, e di legare/trasportare numerose molecole ad attività biologica. Il legame a tali molecole è da molti considerato come un modo per ridurne la concentrazione. Non sorprende, quindi, che l’AGP sia in grado di legare numerose citochine pro-infiammatorie, incluse quelle coinvolte nella sintesi e nel rilascio della stessa proteina. In virtù di tali proprietà, sono stati ipotizzati potenziali usi dell’AGP nella cura di disfunzioni del sistema immunitario, come nel ridurre i livelli di istamina durante uno shock anafilattico. Ne è stata, inoltre, dimostrata l’applicabilità biotecnologica nel campo dello sviluppo di nuovi biosensori, delle cromatografie e delle purificazioni industriali. Alla luce di tali considerazioni, l’ottenimento di informazioni dettagliate riguardo la struttura e la stabilità di questa proteina appare di primaria importanza. Gli studi effettuati sulla denaturazione termica dell’AGP in condizioni di pH neutro hanno evidenziato la presenza di un molten globule, un intermedio di folding nei processi di denaturazione di molte proteine. Il molten globule (letteralmente, globulo fuso), può essere considerato una forma più rilassata e flessibile della struttura terziaria di una proteina, in cui gli elementi di struttura secondaria risultano invariati o solo parzialmente destabilizzati. La spettroscopia IR con Trasformata di Fourier (FT-IR) è stata ampiamente utilizzata nello studio di molte proteine ricche di strutture β, in virtù della sua preferenzialità d’analisi per questo tipo di struttura secondaria e della sua sensibilità verso fluttuazioni strutturali dello scheletro polipeptidico. Durante il mio dottorato, è stata condotta un’analisi di ampio respiro riguardante numerosi fattori ambientali (pH, stato ossidoriduttivo, temperatura), la quale ha mostrato la presenza di intermedi strutturali di tipo molten globule, inoltre, valori di pH debolmente o fortemente acidi e/o condizioni riducenti, inducono la concomitante denaturazione e aggregazione delle catene polipeptidiche in seguito all’aumento della temperatura.
Un’ulteriore linea di ricerca percorsa durante il dottorato ha riguardato la caratterizzazione delle forme aggregate dell’AGP ottenute in specifiche condizioni di pH, temperatura e stato ossidativo dei ponti disolfurici. La capacità, di questi aggregati, di legare la Tioflavina T indica che tali forme aggregate sono di natura amiloide. L’analisi mediante microscopia elettronica in trasmissione (TEM) mostra che le fibrille amiloidi formatesi in condizioni riducenti sono abbondanti, lunghe e possiedono, numerosi punti di ramificazione. Indagini più mirate sono state condotte nello studiare la cinetica di formazione delle fibrille, da cui ricavare parametri cinetici utili nell’individuare un possibile modello di aggregazione. È importante notare che le analisi cinetiche non mostrano la presenza di una fase di nucleazione, il che esclude il modello di polimerizzazione dipendente da nucleazione. In questo modello, il passaggio limitante, è rappresentato dalla formazione di un nucleo che funge da innesco critico per l’intero processo di fibrillazione. Dati sperimentali hanno evidenziato la mancanza di questa fase, il che suggerisce un meccanismo a cascata, in cui lo step critico è rappresentato dalla conversione del monomero stabile in monomero ‘attivato’, il quale è più propenso all’aggregazione e si assembla in strutture fibrillari