Rivoluzioni Molecolari (E-Journal)
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    Pensare per costellazioni. Critica della storia e storia critica in Nietzsche e Benjamin

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    Nelle parole del Benjamin ventunenne risuona con vigore l’anatema nietzscheanoscagliato nella Seconda Inattuale contro una nozione bloccata, feticistica, di un passato “affossatore [non vivificatore] del presente”, oggetto di culto monumentale, antiquario, archeologico da parte di una storia e di uno storico privi della forza plastica (il che significa anche distruttiva, corrosiva, critica appunto) “di usare il passato per la vita e di tra-sformare la storia passata in storia presente” . “La storia” annota Nietzsche “degenera nel momento stesso in cui la fresca vita del presente non la anima e ravviva più” . Contro ogni forma di inerzia e passività del sapere storico, Nietzsche – che scrisse la Nascita della tragedia non per sistemarla filologicamente nel passato, ma per consentirne la rinascita attualizzante e rigeneratrice nel presente – delinea la figura di uno storico vigile e attivo, capace di stabilire costellazioni istantanee tra presente e passato affinché questo possa riesplodere, dissestandolo e riarticolandolo, nello hic et nunc

    Presentazione

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    I contributi raccolti in questo numero, dedicato al pensiero di Michel Foucault, si collocano nel punto d’incontro di due direttrici: da un lato la ricerca sul pensiero foucaultiano, oggetto da ormai più di un decennio di un forte interesse, e dall’altra la domanda, rinnovata negli anni dai “Percorsi di pensiero critico” organizzati da Odradek XXI, sul presente, le sue insidie e le sue svolte possibili. La questione dell’attualità e la problematizzazione del nostro condurci in essa, già immanenti all’opera foucaultiana, hanno trovato in questo contesto un’occasione di approfondimento e una declinazione in parte decentrata rispetto agli studi foucaultiani.

    Tra archeologia e genealogia

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    Maggio 1968: Michel Foucault pubblica su Esprit la Risposta ad una domanda. Si tratta di un testo che riassume e precisa i contenuti del suo libro in procinto di essere pubblicato, L’archeologia del sapere, con il preciso obiettivo di affrontare una delle molte questioni che i lettori della rivista gli avevano rivolto. Tra tutte le domande Foucault sceglie come degna di risposta proprio la seguente: Un pensiero che introduce la costrizione del sistema e della discontinuità nelle scienze dello spirito non toglie ogni fondamento ad un’azione politica progressista? Non sbocca forse nel seguente dilemma: -  o l’accettazione del sistema; -  o l’appello all’evento selvaggio, all’irruzione di una violenza esteriore, la sola capace di stravolgere il sistema?Nella risposta di Foucault a questa domanda troviamo in nuce il problema che introduce ad uno scarto: quello del cosiddetto passaggio dall’archeologia alla genealogia, e, connesso a tale scarto, quella che potremmo defi nire una “presa di distanza” dallo strutturalismo i cui termini vanno assumendo più chiara defi nizione. Per Foucault si tratta di chiarire quali siano i rapporti fra la sua attività di ricerca e la pratica politica. In altri termini: cosa signifi ca per i saperi «descendre dans la rue»

    C’è posto per la filosofia nella filosofia di Foucault?

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    Nella lezione inaugurale del corso L’Hermeneutique du sujet, Foucault identifica una soglia di differenziazione tra filosofia antica e filosofia moderna. Nella filosofia antica, il saggio non è soltanto il sapiente, il conoscere non è finalizzato soltanto alla scoperta delle strutture fondamentali del mondo. In altri termini, non c’è ancora la scissione tra soggetto e oggetto. Il pensiero non è ancora l’attività attraverso la quale la mente può rivelare i rapporti che legano gli oggetti gli uni agli altri, traducendoli in relazioni logico-matematiche. Il criterio dell’evidenza non ha ancora subordinato a sé l’attività filosofica; il sapere non è ancora al servizio esclusivo della tecnica, intesa come capacità di manipolazione degli oggetti esterni conformemente ai fini ed ai bisogni del soggetto. Di contro, in età moderna, la sophia si separa completamente dalla phronesis: se già nell’antichità l’uomo prudente, il saggio (phronimos) non doveva essere necessariamente un uomo di scienza (sophos, “savant”), il sapere dell’uomo di scienza, nella modernità, non si limita ad essere distinto, ma diventa del tutto indifferente rispetto alla capacità di guidare con saggezza la propria condotta nella vita

    Totalitarismo, Biopolitica, Neoliberalismo. Ovvero: Berlusconi secondo Foucault

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    Secondo la pregnante definizione di Italo Calvino, «è classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno» e assieme «è classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona» (Calvino 2002, pp. 11-12). Secondo il celebre romanziere, un testo o un autore è quindi classico quando, pur provenendo dal passato, intrattiene un particolare rapporto con l’attualità: il classico è un passato che non passa, che resta attuale. Interrogarsi su un classico significa allora interrogarsi anche su quel presente che continua a considerarlo classico. Se oggi consideriamo Foucault un filosofo politico classico, secondo la definizione di Calvino, è dunque perché il suo pensiero ancora ci riguarda, perché la sua diagnosi della politica – sviluppata tra gli anni sessanta e gli anni ottanta del secolo scorso – ha messo in luce alcuni processi storici che ancora caratterizzano il presente. In questa lezione tenterò quindi di utilizzare il suo pensiero per analizzare alcuni aspetti salienti della nostra contemporaneità – proprio della nostra: degli ultimi diciassette anni della politica italiana.

    Utopia e Critica. L’eredità della filosofia classica tedesca nel pensiero di Adorno

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    Quando si parla della prima generazione della Scuola di Francoforte ci si riferisce ad autori quali Horkheimer, Marcuse, Fromm, Adorno e, anche se con i dovuti distinguo, Benjamin. Generalmente, dunque, si intende la cosiddetta Teoria Critica come un insieme di riflessioni che prendono le mosse da un preciso contesto storico, economico e culturale, vale a dire quello del tardo capitalismo avanzato, e che offrono una risposta a domande che non hanno quasi nulla a che fare con l’ordinamento sociale pre-novecentesco. La mia proposta va, invece, nella direzione opposta, ossia nella direzione di ricercare le problematiche fondamentali del pensiero di Adorno alle spalle della cosiddetta società di massa e, precisamente, nella genesi di quella grande epoca che si è soliti concepire come la filosofia classica tedesca

    Michel Foucault e la politica dei governati. Governamentalità, forme di vita, soggettivazione

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    Ciò che mi propongo in questo testo, è di analizzare come a partire dalla seconda metà degli anni ’70 Michel Foucault radicalizzi la propria analitica del potere modificando gli schemi e le categorie interpretative messe al lavoro in Surveiller et punir. Da un lato, egli introduce i termini «biopotere» e «biopolitica» ‒ nel quinto capitolo di La volonté de savoir (1976) e nella lezione del 17 marzo 1976 del Cours al Collège de France intitolato Il faut defendre la société, come noto ‒ per evidenziare le modalità di cattura dei fenomeni della vita da parte di tecnologie non disciplinari del potere che invertono i codici della tanatopolitica sovranista; che mirano alla popolazione come oggetto di cura e di gestione arrischiata, aleatoria, non anticipabile, per l’autonomia delle dinamiche che la percorrono, con la predisposizione di reti giuridiche volte a costruirne le condizioni di possibilità; che svelano, infine, le trasformazioni di un potere che sempre più si scopre, in riferimento ai processi che deve governare, deterritorializzato, desovranizzato, degiuridicizzato. Dall’altro, introducendo, in particolare a partire dalla quarta lezione del Cours del 1977-78 Sécurité, territoire et population, e in più brevi, ma fondamentali, contributi degli anni 1978-79, il termine «gouvernamentalité», per indicare un fenomeno molto più complesso, la cui genealogia rimonta molto più all’indietro rispetto al secolo diciannovesimo e alla sua scoperta del «sociale» come effetto dei processi di popolazione, per mezzo del quale uscire definitivamente dall’equivoco che molti dei suoi lettori rischiavano allora (e rischiano tutt’ora) di far gravare sull’intera analitica del potere foucaultiana: «biopotere» e «biopolitica» come cifra di un’ulteriore estensione della superficie del dominio; un’estensione che dipenderebbe da una sorta di «intenzionalità»: dall’ampliarsi dei codici del potere, dal raffinarsi delle sue strategie in vista di un’ulteriore irradiazione sull’intero campo descritto dalla sua operazionalità lineare. È, questo, un fraintendimento che percorre, almeno a mio avviso, ampia parte della ricezione dei termini foucaultiani di «biopotere» e di «biopolitica». In particolar modo in Italia

    Il discorso della guerra. L’analisi del potere in Bisogna difendere la società

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    La ricerca foucaultiana, com’è noto, è caratterizzata da una plurivocità estrema e talvolta spiazzante, che obbliga a compiere continui spostamenti e a battere strade che possono annunciarsi poco promettenti o che, con il senno di poi del lettore, sappiamo essere rimaste interrotte. Questa premessa vale in modo particolare per Bisogna difendere la società, il corso che Foucault tiene al Collège de France nel 1976 e che avrà una grande fama, per motivi perlopiù esteriori o solo in parte inerenti alla specifica proposta teorica in esso messa in campo. Esso sarà infatti il primo dei corsi foucaultiani ad essere pubblicato e, inoltre, costituirà il riferimento costante delle ricerche sui temi della biopolitica e della governamentalità, che compaiono per la prima volta proprio nell’ultima lezione del ’76

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