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    I bias del giornalismo politico alla prova delle piattaforme social

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    L'obiettivo della presente tesi di dottorato è di indagare, tramite alcune interviste ad un campione selezionato di giornalisti politici, come la diffusione e l'implementazione nelle pratiche lavorative delle piattaforme di social media abbia impattato il lavoro dei suddetti giornalisti politici. L'importanza di stabile il rapporto fra giornalisti politici e piattaforme social non si riscontra tanto nella semplice creazione di un profilo sui social media, quanto invece nel capire se queste piattaforme rappresentino oggi una valida alternativa alle fonti tradizionali. L'atto stesso della pubblicazione e della segnalazione di una notizia non esaurisce il racconto che si fa del fatto di cronaca e questo è stato un aspetto che le interviste e la letteratura selezionata per la tesi hanno ben mostrato. Il giornalismo politico italiano rappresenta, nel panorama europeo e non, una sorta di unicum a causa della sua partigianeria e della sua aderenza alle fonti politiche ufficiali e le interviste ai giornalisti hanno evidenziato ciò. I giornalisti intervistati (scelti fra i quotidiani generalisti più venduti in Italia) non rappresentano certo l'intera categoria di giornalisti politici, ma hanno mostrato uno spaccato interessante del loro lavoro e delle componenti che formano la loro routine lavorativa. La letteratura selezionata per la tesi è servita alla costruzione di un questionario qualitativo (con domande semi-strutturate) che ha evidenziato come i giornalisti intervistati sentano, come connaturato alla loro professione, il ruolo di gatekeeping nel selezionare fonti e notizie per il loro giornale. Le domande hanno altresì evidenziato come l'informazione digitale sia ormai un qualcosa di molto presente nella professione giornalistica, non solo perché i giornali cartacei devono difendere la loro quota di mercato e di lettori, ma anche perché ha accelerato di molto i processi di costruzione delle notizie e di verifica delle fonti. Da un lato esiste un ruolo “occulto” di gatekeeper, censori e distributori fusi all’interno delle piattaforme social e non; dall’altro la centralità “manifesta” degli user, i quali distribuiscono, commentano e generano svariati prodotti: ciò è spiegato nel primo capitolo della tesi. La varietà delle interviste ha in più evidenziato come, nonostante la diversità politica dei giornali scelti (dalla sinistra alla destra passando per il populismo), i giornalisti condividano pratiche lavorative e strutture mentali che si sono dovute trasformare a causa dell'informazione digitale. Uno di questi è stata la disintermediazione, che ha portato sia i giornalisti sia i politici a parlare al proprio pubblico senza filtri. La “mano invisibile” dietro la moderazione di social quali Facebook o Twitter o di un portale d’accesso alla rete come Google non va sottovalutata né sottaciuta: fra gli user che frequentano e vivono quelle piattaforme quotidianamente ed i loro gestori si viene a creare una narrazione che talvolta rende opache le rispettive mansioni o aspettative ed incide sui loro discorsi. La tesi ha mostrato, nel corso di tutto il suo svolgimento, come la professione del giornalista politico (anche nel caso specifico italiano) subisca le tensioni fra un ruolo di puro annotatore della cronaca e quello di commentatore e interpretatore dei fatti del giorno prima. Uno dei temi che è più risaltato dalle interviste è stato, infatti, la forte presenza del genere del commento sui quotidiani italiani: da un lato ciò è visto come un aspetto deteriore del giornalismo politico (perché spesso fa passare determinati messaggi anche da parte degli stessi politici), ma dall'altro è considerato come quel qualcosa in più che distingue la cronaca cartacea da quella online e social (ormai ubiqua e presente sempre sugli smartphone e computer di tutti). La presenza di eventuali bias del giornalismo politico nel racconto dei suoi soggetti/oggetti di pertinenza non può prescindere dal constatare che i media sono attori in grado di offrire le proprie descrizioni tanto da influenzare il corso degli eventi o la percezione altrui degli stessi. Le platform societies, dominate da varie maschere indossate dai partecipanti alla conversazione, sussumono - anche di peso - precise regole scritte e non: le piattaforme hanno oscillato (e oscillano ancora) fra l’utopia della rete senza confini né padroni e gli interventi anche legislativi che hanno tentato di frenare gli eccessi degli utenti o delle stesse companies. Il caso analizzato, nel secondo capitolo, sarà l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Questo fatto di cronaca ha mostrato come i cosiddetti “difensori del tradizionale stile di vita (americano/occidentale)” - i gruppi dell’alt-right, del white power e dell’anti-femminismo, solitamente relegati nello spazio di retroscena - abbiano sfruttato le falle/gli strumenti forniti dalle piattaforme online per attaccare un luogo del potere materiale e simbolico (il Campidoglio), con politici che a loro avviso occupavano abusivamente lo spazio di palcoscenico. I giornalisti avrebbero dovuto teoricamente ricoprire un ruolo di gatekeeping fra quanto viaggia sui e tra i social media e la realtà politica, sociale ed economica. La proliferazione di field guides su come riconoscere le fake news o controbattere pratiche quali il doxing o l’hate speech sembrano delineare un forte disagio su come gli algoritmi ne abbiano permesso la diffusione. La seconda parte del lavoro sarà dedicata, a partire dal terzo capitolo, ad unire in unico insieme coerente i vari casi di analisi riguardanti l’aspetto tecnico/algoritmico della disinformazione giornalistica. La piattaforma di social media analizzata con più attenzione nella tesi è stata Twitter: se molta letteratura aveva considerato la piattaforma acquisita da Elon Musk come propriamente giornalistica per alcune sue caratteristiche (brevità e velocità dei tweet, presenza di molte fonti ufficiali, ecc.), le domande dei giornalisti hanno rafforzato questa visione, ma hanno anche indicato il fastidio e la difficoltà dei giornalisti nel giostrare fra disinformazione, fonti incomplete e propaganda da parte dei leader politici. Il quarto capitolo, infine, ha analizzato l'aspetto discorsivo che soggiace all'analisi qualitativa e alle interviste somministrate. Le conclusioni della tesi hanno mostrato la malleabilità della routine lavorativa dei giornalisti intervistati. Alcuni di loro hanno iniziato a lavorare nel giornalismo politico ben prima della rivoluzione digitale, ma allo stesso tempo hanno mostrato uno spirito di adattamento alle innovazioni tecnologiche che sovente viene frustrato dalle ristrettezze economiche del giornalismo come prodotto di mercato e dalle pressioni, più o meno dirette, dei decisori politici

    An IL-15 dependent CD8 T cell response to selected HIV epitopes is related to viral control in early-treated HIV-infected subjects.

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    In some early-treated HIV+ patients, Structured Treatment Interruption (STI) is associated to spontaneous control of viral rebound. Thus, in this clinical setting, we analyzed the immunological parameters associated to viral control. Two groups of early treated patients who underwent STI were retrospectively defined, according to the ability to spontaneously control HIV replication (Controller and Non-controller). Plasma cytokine levels were analyzed by multiplex analysis. CD8 T cell differentiation was determined by polychromatic flow cytometry. Antigen-specific IFN-Γ production was analyzed by ELISpot and intracellular staining after stimulation with HIV-peptides. Long-term Elispot assays were performed in the presence or absence of IL-15. Plasma IL-15 was found decreased over a period of time in Non-Controller patients, whereas a restricted response to Gag (aa.167–202 and 265–279) and Nef (aa.86–100 and 111–138) immunodominant epitopes was more frequently observed in Controller patients. Interestingly, in two Non-Controller patients the CD8-mediated T cells response to immunodominant epitopes could be restored in vitro by IL-15, suggesting a major role of cytokine homeostasis on the generation of protective immunity. In early-treated HIV+ patients undergoing STI, HIV replication control was associated to CD8 T cell maturation and sustained IL-15 levels, leading to HIV-specific CD8 T cell responses against selected Gag and Nef epitopes

    Total hip replacement infected with Mycobacterium tuberculosis complicated by Addison disease and psoas muscle abscess: a case report

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    Abstract Introduction Prosthetic joint infection due to Mycobacterium tuberculosis is occasionally encountered in clinical practice. To the best of our knowledge, this is the first report of a prosthetic joint infection due to Mycobacterium tuberculosis complicated by psoas abscesses and secondary Addison disease. Case presentation A 67-year-old immunocompetent Caucasian woman underwent total left hip arthroplasty because of osteoarthritis. After 18 months, she underwent arthroplasty revision for a possible prosthetic infection. Periprosthetic tissue specimens for bacteria were negative, and empirical antibiotic therapy was unsuccessful. She was then admitted to our department because of complications arising 22 months after arthroplasty. A physical examination revealed a sinus tract overlying her left hip and skin and mucosal pigmentation. Her levels of C-reactive protein, basal cortisol, adrenocorticotropic hormone, and sodium were out of normal range. Results of the tuberculin skin test and QuantiFERON-TB Gold test were positive. Computed tomography revealed a periprosthetic abscess and the inclusion of the left psoas muscle. Results of microbiological tests were negative, but polymerase chain reaction of a specimen taken from the hip fistula was positive for Mycobacterium tuberculosis. Our patient's condition was diagnosed as prosthetic joint infection and muscle psoas abscess due to Mycobacterium tuberculosis and secondary Addison disease. She underwent standard treatment with rifampicin, ethambutol, isoniazid, and pyrazinamide associated with hydrocortisone and fludrocortisone. At 15 months from the beginning of therapy, she was in good clinical condition and free of symptoms. Conclusions Prosthetic joint infection with Mycobacterium tuberculosis is uncommon. A differential diagnosis of tuberculosis should be considered when dealing with prosthetic joint infection, especially when repeated smears and histology examination from infected joints are negative. Clinical outcomes of prosthetic joint infection by Mycobacterium tuberculosis are unpredictable, especially given the limited literature in this field and the uncertainty of whether medical treatment alone can eradicate the infection without prosthesis removal. Furthermore, this case report raises interesting issues such as the necessity of a follow-up evaluation after treatment based on clinical conditions, the utility of a more standardized length of treatment for periprosthetic tuberculous infection, and the importance of a high diffusion capacity of anti-mycobacterial agents in order to eradicate the infection.</p

    A case of pulmonary tuberculosis presenting as diffuse alveolar haemorrhage: is there a role for anticardiolipin antibodies?

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    <p>Abstract</p> <p>Background</p> <p>Diffuse alveolar haemorrhage (DAH) has been rarely reported in association with pulmonary infections.</p> <p>Case Presentation</p> <p>We report the case of a 43 year old immunocompetent man presenting with dyspnoea, fever and haemoptysis. Chest imaging showed bilateral ground glass opacities. Microbiological and molecular tests were positive for <it>Mycobacterium tuberculosis </it>and treatment with isoniazid, rifampicin, ethambutol and pyrazinamide was successful. In this case the diagnosis of DAH relies on clinical, radiological and endoscopic findings. Routine blood tests documented the presence of anticardiolipin antibodies. In the reported case the diagnostic criteria of antiphospholipid syndrome were not fulfilled.</p> <p>Conclusions</p> <p>The transient presence of anticardiolipin antibodies in association with an unusual clinical presentation of pulmonary tuberculosis is intriguing although a causal relationship cannot be established.</p

    Haemolytic anaemia in an HIV-infected patient with severe falciparum malaria after treatment with oral artemether-lumefantrine

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    Intravenous (i.v.) artesunate is now the recommended first-line treatment of severe falciparum malaria in adults and children by WHO guidelines. Nevertheless, several cases of haemolytic anaemia due to i.v. artesunate treatment have been reported. This paper describes the case of an HIV-infected patient with severe falciparum malaria who was diagnosed with haemolytic anaemia after treatment with oral artemether-lumefantrine

    Marked increase in etravirine and saquinavir plasma concentrations during atovaquone/proguanil prophylaxis

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    The case of a 32-year-old Caucasian female with multi-drug resistant HIV-1 subtype B infection treated with a salvage regimen including maraviroc, raltegravir, etravirine and unboosted saquinavir who started atovaquone/proguanil prophylaxis, is reported. The potential interactions between atovaquone/proguanil and these anti-retroviral drugs are investigated. Pharmacokinetic analyses documented a marked increase in etravirine and saquinavir plasma concentrations (+55% and +274%, respectively), but not in raltegravir and maraviroc plasma concentrations. The evidence that atovaquone/proguanil significantly interacts with etravirine and saquinavir, but not with raltegravir and maraviroc, suggests that the mechanism of interaction is related to cytochrome P450

    Leishmania infantum leishmaniasis in corticosteroid – treated patients

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    BACKGROUND: The number of leishmaniasis cases associated with immunosuppression has increased regularly over the past 20 years. Immunosuppression related to HIV infection, immunosuppressive treatment, organ transplantation, and neoplastic diseases increases the risk for Leishmania-infected people to develop visceral illness. CASE PRESENTATION: Three cases of Leishmania infantum leishmaniasis in corticosteroid (CS)-treated patients are reported: an isolated lingual leishmaniasis in a farmer treated with CS for asthma, a severe visceral leishmaniasis associated with cutaneous lesions in a woman with myasthenia gravis, and a visceral involvement after cutaneous leishmaniasis in a man receiving CS. CONCLUSION: Physicians should recognise CS-treated patients as a population likely to be immunesuppressed. In immunodeficiency conditions, unusual forms of leishmaniasis can develop and foster the risk of a diagnostic delay and of poor response to therapy
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