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Storie di ordinaria radicalizzazione. Fattori causali e trigger events nelle narrazioni inconsapevoli dei giovani italiani di seconda generazione
The aim of this paper is to investigate the narratives of radicalization (some- times unintended) throughout the verbalization of everyday experiences by young second generation Italians. The causes of radicalization are still under the scrutiny of contemporary literature: micro, meso, and macro factors combine themselves into a complex puzzle, driving to political and religious extremism. Interviews with 42 young generation Italians with Muslim background, aged between 18-30, have been made. Interviews, based in six different Italian cities (Rome, Boulogne, Milan, Turin, Palermo, and Cagliari), have been conducted in the framework of the project Oltre l’Orizzonte. Contro-narrazioni dai margini al centro, aimed to prevent radicalization. In this paper, the testimonies collected isolating interviewees’ narratives on socio-political alienation, globalization and religion, and international and domestic policies are examined. Iden- tity and cultural claims emerge as distinctive matters, depicting continuous struggles leading to a troubled adaptation between religious and cultural values and citizenship practices
Storie di ordinaria radicalizzazione. Fattori causali e trigger events nelle narrazioni inconsapevoli dei giovani italiani di seconda generazione
The aim of this paper is to investigate the narratives of radicalization (some- times unintended) throughout the verbalization of everyday experiences by young second generation Italians. The causes of radicalization are still under the scrutiny of contemporary literature: micro, meso, and macro factors combine themselves into a complex puzzle, driving to political and religious extremism. Interviews with 42 young generation Italians with Muslim background, aged between 18-30, have been made. Interviews, based in six different Italian cities (Rome, Boulogne, Milan, Turin, Palermo, and Cagliari), have been conducted in the framework of the project Oltre l’Orizzonte. Contro-narrazioni dai margini al centro, aimed to prevent radicalization. In this paper, the testimonies collected isolating interviewees’ narratives on socio-political alienation, globalization and religion, and international and domestic policies are examined. Iden- tity and cultural claims emerge as distinctive matters, depicting continuous struggles leading to a troubled adaptation between religious and cultural values and citizenship practices
La network analysis e le questioni metodologiche. Alle origini del dibattito
Negli ultimi decenni, sia il concetto di rete sociale che le tecniche impiegate nella social network analysis (SNA),hanno catturato in modo crescente l’attenzione da parte di un ampio e variegato insieme di studiosi appartenenti alla comunità delle scienze sociali. Buona parte di questo interesse si deve al magnetismo esercitato dall’elemento principale su cui la SNA si focalizza che corrisponde all’immagine della struttura delle relazioni e dei modelli di interazione che si instaurano tra gli attori sociali. Sono sempre di più gli studiosi che vedono nella prospettiva relazionale della network analysis la possibilità di utilizzare una nuova modalità di indagine, nei confronti delle dinamiche sociologiche, in grado di fornire definizioni strutturali di ordine sociale, politico ed economico
Brain Drain e flussi migratori dei giovani con alta scolarizzazione
La ricerca sui giovani ha ormai una lunga tradizione. Ogni anno sono nu- merosi gli studi pubblicati sul tema. Si è sedimentata nel tempo una comunità sparsa che guarda a questa realtà generazionale sotto vari punti di vista.
I giovani in Italia nel 2015 sono il 21,1 per cento della popolazione, una pre- senza quantitativamente in decrescita, che nel 2050 assottiglierà ulteriormente la sua quantità al 20 per cento (Istat, 2016). Eppure cresce l’attenzione per i gio- vani non solo perché essi rappresentano un’anticipazione della società adulta futura, ma perché in essi si dischiude l’innovazione possibile. Infatti, i giovani non sono solo gli attori del mutamento sociale, perché è un concetto che indica una diferenza rilevabile nel tempo che non necessariamente è caratterizzato da un agire innovativo. I vissuti giovanili rappresentano, invece, una grande occasione per guardare all’innovazione perché, come ricorda Schumpeter, l’in- novazione implica «il fare delle nuove cose, o il fare delle cose che vengono già fatte in un nuovo modo» (Schumpeter, 1947, p. 151).
Mai come questo tempo i giovani sono protagonisti di un cambiamento innovativo: la realtà della comunicazione digitale ha visto questa generazione adottare e costruire concretamente le nuove tecnologie digitali, che hanno avuto un impatto sociale radicale.
La storia di Internet è tutto questo. Infatti, furono i giovani studenti ad avere un ruolo decisivo nel progettare Arpanet e nel forgiare d’idealismo la spinta a lavorare per la rete, per i quali la difusione dei computer e dei proto- colli comunicativi non sarebbe potuta avvenire senza la libera distribuzione di software e dell’uso cooperativo delle risorse e delle informazioni. Ovviamen- te quegli studenti, che non a caso erano tutti californiani, non erano certo at- tivisti del movimento della controcultura che nasceva in quel periodo proprio a San Francisco. Quei giovani, infatti, erano ossessionati e assorbiti dalla loro avventura tecnologica, vedevano il mondo mediante le possibilità oferte dai computer e non avevano problemi di alcun tipo a lavorare per il Pentagono durante la guerra in Vietnam. Tuttavia erano animati, nel loro lavoro, dalla ri- cerca della libertà per ogni individuo, dal pensiero autonomo e indipendente, dal cooperare con i loro pari, tutti valori che caratterizzavano la controcultura dei campus universitari degli anni sessanta che si preparavano alla imminente contestazione giovanile, prima nel settembre del 1964 a Berkeley e quattro anni più tardi a Parigi (Draper, 1968). Molti di loro costituirono proprie reti comunicative nelle quali manifestavano le loro idee politiche, il paciismo e a volte istanze radicali antisistema, vedendo in quella modalità comunicativa
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di libero scambio di idee uno strumento di liberazione dal potere, sul modello dei Diggers1.
Fu in questo clima culturale, che vide come protagonisti i giovani studen- ti, che maturò il movimento controculturale degli hackers (Himanen, 2001). Innanzitutto c’è da dire che gli hackers non sono ciò che i media dicono di loro. Essi, infatti, non entrano nei sistemi per distruggerli o comunque non sono quelli che bloccano il funzionamento dei computer. Coloro i quali sono dediti a questo lavoro distruttivo sono i cosiddetti ‘crackers’, i quali si contrappongono alla cultura hackers. Per Lévy gli hackers sono gli eroi della rivoluzione infor- matica (Lévy, 1996) gli antesignani dell’attuale fenomeno freeware2 e sharewa- re3, liberi cioè dalle preoccupazioni dei diritti d’autore. Il signiicato letterale del verbo ‘to hack’ comunica ‘tagliare, fare a pezzi’ o anche ‘scribacchino’, da cui è possibile dedurre che è colui che ritaglia e trascrive. La prima generazione nasce nel corso degli anni sessanta al MIT, quando un gruppo di giovani fonda il Tech Model Railroad (TMRC) con il motto ‘Information wants to be free’ (l’informazione deve essere libera), in un’ottica di accesso universalista.
Il movimento ‘open source’ può essere considerato l’efetto migliore della cultura hacker, ovvero la creazione e lo sviluppo del primo sistema operativo Unix, attraverso cui ogni utente poteva scrivere altro software, per aggiunge- re o togliere funzioni (DiBona et al., 1999). Fu così che si ebbe dal protocollo TCP/IP lo sviluppo della rete Usenet, il protocollo Modem e i browsers Mo- saic e Navigator. Furono i giovani californiani a dare il via a questo fenome- no, localizzati nella Baia di San Francisco e che presto si trasformarono in audaci imprenditori.
Le ricerche raccolte in questo libro rappresentano il lavoro di diversi stu- diosi accomunati dal tema giovani. Qui presentiamo i risultati su diversi fe- nomeni che descrivono sia il mutamento che l’innovazione in atto in alcuni ambiti sociali.
Due saggi si occupano del sistema formativo, l’uno di Silvia Cataldi e l’altro di Giuseppe Anzera. La prima scrive un capitolo sulle scelte e le aspi- razioni scolastiche e universitarie degli studenti delle scuole superiori. Eppu- re decisioni e desideri non possono essere considerati solo frutto di percor- si razionali e traiettorie individuali; essi sono invece socialmente costruiti e indirizzati. Ciò vale anche per l’ambito dell’istruzione. Su questi aspetti si focalizza il capitolo che analizza le scelte giovanili in merito alle transizioni
1 Famoso gruppo underground localizzato nell’incrocio tra Hight Road e Ashbury Park, nella Baia di San Francisco impegnati nella creazione di una Città Libera.
2 Software protetto da copyright la cui copia e distribuzione è libera e senza nessun costo (Microsoft Press, 1994).
3 Software che può essere provato gratuitamente ma che prevede una tariffa per la licenza d’uso, qualora l’utente decida di continuare a utilizzarlo dopo il periodo di prova (ibidem.).
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scolastiche, con l’intento di mettere in luce le connessioni esistenti con la persistenza delle disuguaglianze sociali. Il capitolo evidenzia i processi entro i quali si realizzano le decisioni dei giovani, con un focus speciico sui fattori più inluenti nelle transizioni tra istruzione secondaria e istruzione terziaria, concludendo che la scelta deve essere considerata un “efetto di campo”, in cui alcune variabili strutturali, come le caratteristiche della famiglia d’origi- ne, il capitale culturale e il genere, giocano un ruolo centrale. Giuseppe Anze- ra si occupa, invece, del tema brain drain, la mobilità forzata o meno di sog- getti con elevata scolarizzazione e alte qualiiche professionali, una questione all’interno del più ampio tema delle politiche migratorie. Il saggio utilizza dati secondari e ha un taglio globale per analizzare un tema innovativo che solo recentemente è stato oggetto di attenzione. Infatti, le ricerche sistemati- che e i dati aidabili, su questa forma di emigrazione, sono ancora limitate. Nello studio si segnala che il brain drain, per i paesi più poveri, può costitu- ire un problema grave, causando la perdita di giovani che sono stati formati impiegando risorse economiche limitate e quindi preziose; d’altronde per le aree capaci di attrarre cervelli (brain gain), il processo può costituire una utile fonte di crescita per un paese, mentre per i paesi sviluppati rappresenta un indicatore di apertura alla logica globalizzante della mobilità.
Un secondo blocco di “istantanee” ruota intorno al tema del consumo. Il terzo capitolo di Gennaro Iorio, dal titolo Giovani e povertà, riguarda la questione della giovanilizzazione della povertà che inizia ad avere rilevanza statistica negli anni Ottanta per poi rilevarsi in maniera allarmante negli studi sulla povertà estrema dei primi anni Novanta. Il capitolo segue questo ilo ed evidenzia, utilizzando dati secondari, come ormai il fenomeno si sia stabiliz- zato e caratterizzi i processi di deprivazione anche negli anni della lunga crisi inanziaria, non ancora conclusa.
Il capitolo di Metastasio e Biraglia «I processi di inluenza nelle scelte di consumo degli adolescenti» è un contributo di ricerca in diversi contesti urbani che afronta il tema-chiave del consumo in relazione alle scelte di una fascia di età il cui studio è quanto mai complesso: l’adolescenza. Gli Autori mettono in evidenza gli aspetti comunicativi del consumo, considerato un processo attivo, in cui si afermano e si costruiscono le identità sociali. Il processo della socializzazione ai consumi è analizzato in relazione a quattro determinanti: la pubblicità, la famiglia, il gruppo dei pari e il brand. Nella se- conda parte del capitolo vengono presentati i dati di una ricerca sull’inluenza interpersonale nelle abitudini di consumo degli adolescenti condotta in due diverse realtà italiane, nello speciico una grande città e un piccolo centro, da cui si evince come gli adolescenti tendano a deinirsi meno inluenzati da altri signiicativi all’aumentare dell’età e come la suscettibilità all’inluenza
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del gruppo dei pari si diferenzi nelle diverse aree geograiche dove la ricerca è stata efettuata.
Geraldina Roberti in «Giovani adulti e pratiche di fruizione» analizza un campione di studentesse fuori sede universitaria, presentando i dati di uno studio sugli stili di vita e di consumo nella fase di transizione all’adultità. In particolare, lo studio si concentra sulle studentesse fuori sede che cercano di coniugare i vincoli economici con i desideri di consumo attraverso strategie di acquisto orientate ad uno stile di vita sobrio. Lo studio utilizza cinque focus group e quindici interviste semi-strutturate.
Inine, Simona Tirocchi nel sesto capitolo presenta i risultati di una ricer- ca empirica sul tema della sicurezza sul lavoro all’interno di un intervento sistemico di comunicazione formativa sul tema della cultura della sicurezza mediante linguaggi della creatività digitale, media literacy e web 2.0. Il tema riguarda la più vasta rilessione sul rischio nelle società complesse. La ricerca sul target giovanile è consistita nella realizzazione di focus group in alcune scuole medie superiori di Torino e ha consentito di analizzare i punti di vista di un campione di soggetti (adolescenti, giovani e giovani adulti) sul tema della sicurezza sul lavoro e di registrare alcuni spunti riguardanti la realizza- zione di interventi di comunicazione e formazione sul tema.
Le ricerche pubblicate in questo libro rappresentano, quindi, “istantanee”, mediante le quali si intravedono aspetti della vita dei giovani, prevalentemen- te con un riferimento italiano, ma spesso accompagnati da una comparazione internazionale di analisi dei fenomeni. Le rilessioni hanno approcci sia quan- titativi che qualitativi. Gli autori nelle loro ricerche utilizzano dati secondari e focus group, presentano risultati di survey originali o fatte da altri, analizzano dati qualitativi di interviste in profondità o derivanti da questionari strutturati.
Emerge quindi un quadro ricco e composito, che incrementa la conoscenza di una realtà giovanile contemporanea sempre più individualizzata e diicile da cogliere nei suoi tratti di regolarità
Le tecniche di de-radicalizzazione in Europa e in Italia
La minaccia terroristica di matrice religiosa rappresenta uno dei più gravi
problemi a livello internazionale dell’era contemporanea. Questa forma di
estremismo opera impiegando modalità e strumenti, in parte, nuovi rispetto al
passato. La conversione a una forma di religione radicalizzata rappresenta uno
degli strumenti fondamentali su cui poggiano le tecniche di reclutamento delle
organizzazioni terroristiche, rendendo centrale la corretta comprensione del
fascino esercitato dal discorso estremista (soprattutto verso gli adepti più
giovani) per poter concentrare gli sforzi istituzionali di prevenzione del
fenomeno, a sostegno delle comunità ritenute vulnerabili, e per implementare
tecniche efficaci di de-radicalizzazione
1° corso di formazione per giornalisti della Libyan national channel;
Il corso ha lo scopo di rafforzare le competenze di professionisti della radiotelevisione libica, vettore chiave nella transizione democratica del Paese. I partecipanti tratteranno diversi temi, quali la libertà d'espressione, il pluralismo, la copertura mediatica delle tematiche sensibili e i nuovi media. http://www.libyantv-training.org/news/news-libyan-tv
“Il controllo del mare clausum: i modelli geopolitici e la prassi della politica di potenza nel contesto del Mediterraneo”
Il contesto mediterraneo ha recentemente recuperato la tradizionale rilevanza geopolitico di cui ha goduto per lunghi secoli con il susseguirsi di ascesa e declino delle più importanti civiltà del mondo antico.
Del resto una peculiare configurazione geopolitica rende il Mediterraneo un ambito regionale senza pari sul pianeta.
Uno spazio acquatico appartentemente aperto, ma chiuso da tre choke points di fondamentale importanza geoeconomica corrispondenti allo Stretto di Gibilterra, al Bosforo/Dardanelli e al Canale di Suez. Questi stretti non solo mettono in contatto l’Atlantico con l’Oceano Indiano e il lontano Oriente e forniscono l’accesso agli spazi oceanici per i paesi dello spazio postsovietico, ma consentono quasi di dimezzare i percorsi marittimi dall’Asia ai paesi dell’Europa occidentale.
Il Mediterraneo, crocevia di traffici economici e di spostamenti migratori rilevanti tra Europa e Africa, tra mondo occidentale e Oriente, con oltre venti paesi che si affacciano sullo stesso mare costituisce, dunque, un ambiente geopolitico senza pari sul nostro pianeta.
Ma come è stato considerato il “mare nostrum” dalle grandi teorie geopolitiche?
Volendo sintetizzare è possibile affermare che, attorno al Mediterraneo, ruotano almeno tre quesiti rilevanti di ordine geopolitico.
Il primo riguardo la considerazione dello spazio acquatico come frattura o come via di comunicazione: il Mediterraneo divide civiltà e paesi rallentandone il processo di integrazione o è un potente spazio di condivisione che alimenta i contatti tra culture e paesi diversi? La risposta ruota attorno alla capacità o meno di una cultura egemone di accelerare o rallentare questo processo. L’impero romano, ad esempio, riuscì nell’intento mentre altri potenti conquistatori, come gli ottomani, riuscirono ad acquisirne un controllo solo transitorio. Per avvicinarci ai giorni nostri, gli Stati Uniti, durante il periodo della Guerra Fredda ebbero un ruolo egemonico di rilievo nello spazio mediterraneo non solo includendo nella Nato le tre grandi penisole settentrionali, Spagna, Italia e Turchia, ma finendo per stringere accordi anche con importanti paesi della sponda meridionale a cominciare dall’Egitto. In un periodo come quello attuale, caratterizzato da un relativo disimpegno della pressione egemonica statunitense dal MENA (Middle East- North Africa), l’Unione Europea è chiamata naturalmente ad aumentare la propria influenza nel Mediterraneo attraverdso politiche di partnership e di inclusione progressiva verso gli stati della sponda sud: un compito reso difficoltoso non solo dalle transizioni di potere in Tunisia, Egitto e Libia, ma anche dalla crisi economico-finanziaria globale e dalla politica estera “multicefala” dell’Unione, quale riflesso dei principali paesi membri a cominciare dal quartetto composto da Regno Unito, Francia, Germania e Italia.
Il secondo quesito di carattere geopolitico riguarda l’essenza stessa della regione mediterranea come realtà unitaria. Sulla questione il dibattito è ancora aperto e mette a confronto autori come Saul Bernard Cohen, che ritengono il mediterraneo un contesto unitario in base a determinati parametri (contiguità geografica, politica, culturale e militare, background storico e migratorio) a studiosi, come Bjorn Hettne, che segnalano la mancanza di una identità specifica mediterranea. Tuttavia, anche se il processo di Barcellona verso una unificazione politica economica del contesto mediterraneo procede lentamente (e il fallimento di iniziative come quello della Unione per il Mediterrano non hanno aiutato a fare progressi) appare difficile sostenere che non esista un ambito regionale mediterraneo che, al contrario ha delle basi non solo geografiche, ma anche storico-economiche.
Il terzo quesito, che affonda nell’essenza dei vari modelli geopolitici, riguarda, infine, la necessità di focalizzazione sulla terra o sul mare rispetto alla valutazione del Mediterraneo. La questione, nello specifico, oppone teorie geopolitiche di correnti diverse che potremmo sinteticamente etichettare come tradizione geopolitica “terrestre” e tradizione geopolitica “navalista”.
Per fare un esempio di tradizione terrestre, possiamo prendere a esempio il modello interpretativo del padre della geopolitica ovvero Halford Mackinder. Secondo Mackinder i destini del mondo erano definiti dal controllo di una specifica porzione del globo terrestre, definita Heartland, corrispondenti ad una parte della Russia contemporanea e caratterizzata dalla ricchezza del sottosuolo e dalla posizione relativamente periferica che ne rendeva difficile la conquista. Per Mackinder i giochi politici ed egemonici tra le potenze erano destinati a subire l’influenza del tentativo di controllare l’Heartland o di impedire che questo fosse dominato da un attore unitario di grande potenza. In questo “gioco tra le potenze” il Mediterraneo era destinato ad avere un ruolo periferico e a godere di bassa considerazione e centralità.
Un esempio di geopolitica navalista, invece, viene dal modello geopolitico di Nicholas Spykman che riprendendo, e modificando le teorie di Mackinder riusciì a prevedere non solo l’avvento della Guerra Fredda, ma anche dinamiche ed assi strategici tuttora presenti nel mondo contemporaneo. Secondo Spykman, i destini politici del mondo risentivano della continua frizione tra sistemi egemonici terrestri (l’Heartland) e sistemi egemonici oceanici in grado di controllare uno specifico spazio marittimo (il Midland Ocean) che, invece di dividere, univa realtà politico-economiche destinate a una continua integrazione: tali contesti erano corrispondenti agli Stati Uniti e all’Europa Occidentale. La continua rivalità tra potenze terrestri e oceaniche avrebbe creato una enorme “cintura” di attrito (Rimland) che, partendo dall’Europa Occidentale e passando per il Medio Oriente e l’Asia sudorientale, terminava in Giappone (le teorie di Spykman peraltro, influenzeranno moltissimo la strategia del “containment” attuata dagli Usa dalla fine degli anni ’40). In questo modello geopolitico il Mediterraneo occupa un ruolo essenziale, non solo perché area vitale di connessione tra contesti marini diversi, e quindi vitale per le potenze oceaniche, ma anche per il suo ruolo di unione tra due porzioni fondamentali del Rimland (l’Europa Occidentale e il Medio Oriente). In questa logica era imperativo che, durante il periodo della Guerra Fredda, le potenze oceaniche, e segnatamente gli Usa, acquisissero un fermo controllo dello spazio mediterraneo sia attraverso la continua integrazione militare (Nato, Cento) sia attraverso l’esercizio di un progressivo controllo politico-economico dei paesi mediorientali.
Ora che il confronto bipolare è terminato le teorie di Spykman potrebbero sembrare superate e invece rimangono più attuali che mai anche se trasferite da un egemone “lontano” (gli Usa) ad uno “locale” (l’Unione Europea); tuttavia, anche se gli imperativi geopolitici rimangono gli stessi, sono ben differenti le attuali capacità unificatrici ed egemoniche dell’Ue appaiono decisamente inadeguate all’impresa
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