3,206 research outputs found

    Epidemics of Liquidity Shortages in Interbank Markets

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    Financial contagion from liquidity shocks has being recently ascribed as a prominent driver of systemic risk in interbank lending markets. Building on standard compartment models used in epidemics, in this work we develop an EDB (Exposed-Distressed-Bankrupted) model for the dynamics of liquidity shocks reverberation between banks, and validate it on electronic market for interbank deposits data. We show that the interbank network was highly susceptible to liquidity contagion at the beginning of the 2007/2008 global financial crisis, and that the subsequent micro-prudential and liquidity hoarding policies adopted by banks increased the network resilience to systemic risk---yet with the undesired side effect of drying out liquidity from the market. We finally show that the individual riskiness of a bank is better captured by its network centrality than by its participation to the market, along with the currently debated concept of "too interconnected to fail"

    The Italian primary school-size distribution and the city-size: a complex nexus

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    We characterize the statistical law according to which Italian primary school-size distributes. We find that the school-size can be approximated by a log-normal distribution, with a fat lower tail that collects a large number of very small schools. The upper tail of the school-size distribution decreases exponentially and the growth rates are distributed with a Laplace PDF. These distributions are similar to those observed for firms and are consistent with a Bose-Einstein preferential attachment process. The body of the distribution features a bimodal shape suggesting some source of heterogeneity in the school organization that we uncover by an in-depth analysis of the relation between schools-size and city-size. We propose a novel cluster methodology and a new spatial interaction approach among schools which outline the variety of policies implemented in Italy. Different regional policies are also discussed shedding lights on the relation between policy and geographical features.Comment: 16 pages, 10 figure

    From innovation to diversification: a simple competitive model

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    Few attempts have been proposed in order to describe the statistical features and historical evolution of the export bipartite matrix countries/products. An important standpoint is the introduction of a products network, namely a hierarchical forest of products that models the formation and the evolution of commodities. In the present article, we propose a simple dynamical model where countries compete with each other to acquire the ability to produce and export new products. Countries will have two possibilities to expand their export: innovating, i.e. introducing new goods, namely new nodes in the product networks, or copying the productive process of others, i.e. occupying a node already present in the same network. In this way, the topology of the products network and the country-product matrix evolve simultaneously, driven by the countries push toward innovation.Comment: 8 figures, 8 table

    Rilevanza sistemica e struttura di network finanziario

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    L’ultima grave crisi finanziaria globale del 2007-2009 ha messo in luce come e soprattutto in situazione di stress il grado di interconnessione tra le istituzioni finanziarie svolga un ruolo chiave innescando il fenomeno della propagazione dei rischi tra le istituzione del network finanziario che, a sua volta, può portare al fallimento dell’intero sistema. E’ quindi strategico poter disporre di una misura di rilevanza sistemica dell’istituzione finanziaria che tenga in considerazione la particolare struttura di dipendenza all'interno del network finanziario. In altri termini, occorre avere una misura che riesca ad identificare in maniera statisticamente rilevante i canali di potenziale trasmissione dei rischi estremi (o di coda) tra le istituzioni che compongono il network finanziario. Tuttavia, mentre esiste ampio consenso sulla necessità che un’adeguata politica regolamentare prudenziale debba tener conto delle conseguenze delle interdipendenze di network all'interno del sistema finanziario, attualmente un’implementazione trasparente che prenda in considerazione simultaneamente il rischio individuale, il rischio di spillover e la rilevanza sistemica non è disponibile. A tal fine, il presente contributo offre una prima analisi investigativa su una nuova misura di rilevanza sistemica in grado di prendere in considerazione proprio il grado di interconnessione all'interno del sistema finanziario. Tale misura quantifica il rischio di fallimento della specifica istituzione e dell’intero sistema finanziario facendo riferimento alle code delle rispettive distribuzioni dei rendimenti azionari e, quindi, ai quantili estremi condizionali. Tale metrica è costruita sul popolare concetto di Value-at-Risk (VaR) condizionale, ben nota misura di rischio di coda della distribuzione dei rendimenti finanziari, che qui è funzione di un numero minimo di “drivers rilevanti di rischio di coda”. Tali driver di rischio sono: fondamentali economici, caratteristiche specifiche dell’istituzione, ed effetti di ricaduta dei rischi (risk spillovers) dai competitors e da altre istituzioni. Il contributo al rischio sistemico di ciascuna istituzione (il systemic risk beta) è quindi definito come l’effetto totale che un incremento del rischio specifico di coda della singola istituzione produce sul VaR dell’intero sistema finanziario condizionale sia alla posizione dell’istituzione all’interno del network che alle condizioni del mercato. Inoltre, valutando il VaR condizionale di un’istituzione in funzione dei rispettivi driver di rischio di coda, è possibile ottenere una misura del rischio idiosincratico dell’istituzione in presenza di effetti di ricaduta dei rischi estremi idiosincratici provenienti dalle altre istituzioni del network. Gli studi empirici qui riportati confermano anche l’esistenza di una forte interconnessione tra le società finanziarie (nello specifico statunitensi), evidenziando importanti canali di diffusione dei rischi specifici di coda delle società. A tal fine, nella struttura di network, si distinguono le società investigate in tre categorie: le società riceventi il rischio; le società produttrici di rischio; le società sia produttrici che riceventi il rischio. Le società finanziarie in qualunque momento possono essere ordinate secondo il loro grado di contributo al rischio sistemico, misurato dal systemic risk beta, dato il loro ruolo e la loro posizione nel network finanziario. Monitorare la rilevanza sistemica di ciascuna società nel tempo è quindi fondamentale per individuare quali istituzioni siano più rilevanti per la stabilità del sistema finanziario. Dal punto di vista della supervisione bancaria, il secondo gruppo di società facenti parte del network, ossia i semplici destinatari del rischio, hanno il minore impatto sistemico ma un loro attento monitoraggio può fornire preziose informazioni sui problemi nascosti delle società che agiscono come loro driver di rischio. In ogni caso, i risk manager di queste società “destinatarie del rischio” dovrebbero tenere in debita considerazione la possibile minaccia indotta dal forte grado di dipendenza dalle società “trasmettitrici di rischio”. Ovviamente, la maggiore attenzione delle autorità di supervisione dovrebbe riguardare le società che appaiono soprattutto come trasmettitrici di rischio ed altamente interconnesse alle altre società del sistema. In particolare, queste società si posizionano al centro del network presentandosi come società “troppo interconnesse per fallire”. D’altro canto, anche le società che si collocano al confine del network e sono collegate a poche società ma trasmettitrici di rischio e pesantemente connesse con altre società del network, sono importanti produttrici di rischio. Mentre il particolare disegno della rete di rischio sistemico fornisce un’informazione di tipo qualitativo sui canali di rischio e sul ruolo delle società all’interno del network, la stima dei systemic risk beta permette di quantificare la rilevanza sistemica di ciascuna società completando l’intera struttura della rete finanziaria. Un’efficace risposta regolamentare al rischio sistemico richiede comunque un intervento di natura macroprudenziale sulle banche. Una possibile soluzione potrebbe essere l’introduzione, tra i requisiti microprudenziali di capitale di primo pilastro di Basilea, di uno Stress Test Buffer calcolato per mezzo di stress test macroprudenziali. Lo Stress Test Buffer sarebbe utile in quanto permetterebbe alle banche di coprire le perdite derivanti dal rischio sistemico con un apposito cuscinetto macroprudenziale di capitale e non aggiungendo ulteriori cuscinetti di capitale di natura microprudenziale. Si propone pertanto alle autorità di vigilanza nazionali e internazionali di tenere in considerazione questa possibilità e di orientare la ricerca verso l’individuazione di modelli di stress testing che incorporino un adeguato meccanismo di feedback tra il settore reale ed il settore finanziario

    Prefazione

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    Detecting early signs of the 2007-2008 crisis in the world trade

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    Since 2007, several contributions have tried to identify early-warning signals of the financial crisis. However, the vast majority of analyses has focused on financial systems and little theoretical work has been done on the economic counterpart. In the present paper we fill this gap and employ the theoretical tools of network theory to shed light on the response of world trade to the financial crisis of 2007 and the economic recession of 2008-2009. We have explored the evolution of the bipartite World Trade Web (WTW) across the years 1995-2010, monitoring the behavior of the system both before and after 2007. Our analysis shows early structural changes in the WTW topology: since 2003, the WTW becomes increasingly compatible with the picture of a network where correlations between countries and products are progressively lost. Moreover, the WTW structural modification can be considered as concluded in 2010, after a seemingly stationary phase of three years. We have also refined our analysis by considering specific subsets of countries and products: the most statistically significant early-warning signals are provided by the most volatile macrosectors, especially when measured on developing countries, suggesting the emerging economies as being the most sensitive ones to the global economic cycles.Comment: 18 pages, 9 figure

    Struttura bancaria e rischio sistemico

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    L’ultima crisi finanziaria globale ha acceso il dibattito sulla “migliore struttura” di cui una banca può dotarsi per contribuire alla solidità del sistema finanziario globale. Tale struttura per essere “ottima” deve avere un livello di attività bancarie (ampiezza), un modello di funding e un modello di business coerente con l’obiettivo di rafforzamento della stabilità del sistema finanziario globale. All'interno di questo dibattito s’inquadra questo contributo che propone uno studio sulle variabili driver del rischio sistemico riconducibili sia a diverse caratteristiche della struttura bancaria, quali: l’ampiezza delle attività, il livello di capitalizzazione, il modello di finanziamento ed il modello di attività; che ad alcune misure tradizionali di performance bancaria, quali la volatilità ed il rendimento dei prezzi delle azioni bancarie. Un importante contributo di questo studio è quello di utilizzare diverse misure di rischio sistemico, come il SRISK di Acharya et al. (2012) ed il ΔCoVaR di Adrian e Brunnermeier (2012) per valutare i driver del rischio sistemico, anziché le tradizionali misure di performance bancaria (volatilità e rendimento medio azionario) che tendono a sottovalutare l’influenza dell’ampiezza bancaria sul rischio sistemico. Inoltre, il lavoro analizza le determinanti del rischio sistemico facendo riferimento sempre ad un ampio campione globale costituito da grandi banche appartenenti a paesi diversi e prendendo in considerazione anche la presenza o meno in ciascun paese di uno schema di assicurazione dei depositi bancari. Relativamente alla relazione tra scelte di struttura bancaria e fragilità del sistema finanziario, le analisi empiriche confermano come la dimensione delle attività bancarie sia effettivamente un pericoloso driver di rischio sistemico. Inoltre, le scelte di funding da parte delle banche non sembrerebbero incidere direttamente sulle misure di rischio sistemico; mentre i modelli di business risulterebbero impattare solo sulla misura di rischio SRISK. In altri termini, un modello di business tradizionale, ossia più orientato al lending, potrebbe ridurre l’esposizione al rischio sistemico delle banche. L’indagine sulle variabili tradizionali della volatilità e del rendimento azionario confermano come la dimensione bancaria incida positivamente sulla volatilità e negativamente sulla redditività, mentre la capitalizzazione bancaria incida positivamente sulla redditività. La capitalizzazione relativa alle grandi banche avrebbe inoltre anche un impatto negativo sulla volatilità azionaria. Le scelte di struttura bancaria sembrano quindi influenzare significativamente rendimento e volatilità bancaria; il finanziamento tramite depositi incide negativamente sulla volatilità e positivamente sul rendimento, mentre il modello di business orientato prevalentemente all’attività di lending riduce il rendimento bancario ed aumenta la volatilità. Guardando alle tradizionali misure di performance bancaria, la migliore struttura bancaria potrebbe essere quella caratterizzata da una prevalenza di finanziamento tramite depositi e da una maggiore attività di trading sui mercati assieme ad una dimensione (in termini di attività) non eccessiva e ad una adeguata capitalizzazione bancaria proporzionale al volume di attività. Rimane aperto il quesito su quale sia il livello massimo di ampiezza o dimensione bancaria tale da non alimentare la fragilità del sistema finanziario. Relativamente all'impatto del sistema di assicurazione dei depositi sul rischio di sistema, le analisi empiriche sembrano confermare la relazione positiva e statisticamente significativa tra tale caratteristica e le misure di rischio sistemico, così pure la volatilità azionaria

    Postfazione

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    Analisi del rischio sistemico a livello globale

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    Uno studio del rischio sistemico a livello globale è reso necessario dagli effetti della crescente globalizzazione che rendono le grandi banche internazionali parte di un network bancario globale. Di conseguenza, la fragilità finanziaria all’interno di questo network globale non influenza i mercati a livello di singolo paese ma interessa i mercati di più paesi diversi. In questo capitolo si analizzano in particolare i risultati di un interessante studio di Bostandzic, Pelster e Weiss (2014) condotto sulle determinanti del rischio sistemico utilizzando un campione internazionale di grandi banche che permette loro di analizzare il rischio sistemico a livello globale, anziché limitarsi ad uno studio del rischio sistemico a livello di area geografica e/o paese. Gli autori, potendo analizzare il rischio sistemico attraverso sistemi regolamentari e di supervisione eterogenei nel mondo, tentano di identificare i fattori sotto il diretto controllo delle autorità regolamentari che guidano la fragilità finanziaria globale. Il quesito dal quale parte il dibattito recente (nel quale si colloca questo contributo) è in che misura la regolamentazione e la vigilanza bancaria internazionale possano contenere l’alimentazione del rischio di instabilità del sistema finanziario? L’evidenza empirica disponibile mostra come una regolamentazione e una vigilanza più stringenti possano ridurre il grado di accettazione del rischio delle banche (vedi Barth et al., 2004; Buch e DeLong, 2008; Laeven e Levine, 2008) e, di conseguenza, rafforzare la solidità del sistema finanziario. D’altro canto, le richieste anche da parte dell’opinione pubblica di regole e controlli più severi sulle banche hanno sollevato le proteste dei grandi manager bancari. Questi ultimi lamentano che i recenti obblighi (Basilea 3) così onerosi in termini di qualità e quantità di capitale regolamentare minimo bancario abbiano un’influenza negativa sulla performance delle banche deteriorando la redditività bancaria e quindi, in seconda battuta, anche la stabilità del sistema finanziario. Dagli anni ‘90 la letteratura finanziaria evidenzia come livelli più alti di capitale bancario possano funzionare come cuscinetti contro le perdite, rendendo i fallimenti bancari meno probabili e allineando maggiormente gli interessi di azionisti, creditori e depositanti della banca (vedi Keeley e Furlong, 1990; Dewatripont e Tirole, 1994; Berger et al., 1995; Acharya et al., 2011; Herring e Calomiris, 2011). Tuttavia, la teoria economica ha anche sottolineato come elevati requisiti di capitale possano, diversamente, incentivare la banca ad accettare livelli di rischio più elevati minando la stabilità finanziaria globale (vedi Koehn e Santomero, 1980; Kim e Santomero, 1988; Besanko e Kanatas, 1996; Calem e Rob, 1999). Il maggior risultato al quale perviene questo studio sui driver di rischio sistemico sotto il diretto controllo delle autorità regolamentari bancarie è l’esistenza di una relazione negativa tra livello di capitale (Tier 1) bancario e rischio sistemico e di una relazione positiva tra ampiezza o dimensione della banca e alimentazione del rischio sistemico. Le implicazioni politiche di questi risultati empirici sono duplici. La prima è che la scelta politica intrapresa dalle autorità a livello mondiale di innalzare l’ammontare di capitale di tipo Tier1 va nella giusta direzione di ridurre il contributo delle banche al rischio sistemico, come misurato coerentemente dalle diverse misure di fragilità finanziaria analizzate. La seconda è che anche la decisione di monitorare in maniera particolarmente stringente le caratteristiche della dimensione e del grado di interconnessione delle grandi banche, fino all’eventualità di dividerle se too-big-to-fail, è pienamente giustificata dalla necessità di contrastare la fragilità del sistema finanziario nella sua globalità. Questi risultati scientifici sembrano quindi concordano con la scelta attualmente intrapresa dalle autorità regolamentari di imporre alle grandi banche dei requisiti di capitalizzazione aggiuntivi che tengono conto di alcune caratteristiche bancarie, prime tra tutte, l’ampiezza e l’interconnessione, oltre che di indicatori contabili strettamente legati al modello di business e di finanziamento adottato dalle banche
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