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    Gli operatori dei centri vaccinali. Gli occhi

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    Una delle attività più significative per contrastare la diffusione del virus SARS-CoV-2, che provoca la malattia COVID-19, è rappresentata dalla campagna vaccinale. Gli operatori dei centri vaccinali provengono da realtà/reparti diversi. Per buona parte non si conoscevano prima, ma la condivisione dell’obiettivo di prevenzione ha fatto sì che si sia creato un clima di grande collaborazione e reciproco rispetto, indipendentemente dalla professione e dal ruolo gerarchico. La cosa che ha colpito di più gli autori del presente testo è il fatto che la maggior parte di queste persone non conoscano il volto di chi gli sta vicino e che si sia creata una nuova “gerarchia di identificazione”, basata sui gesti, sull’accento della voce, sull’acconciatura dei capelli (in alcuni casi sulla mancanza di qualsivoglia possibile acconciatura) e, elemento principale: gli occhi. La prima cosa che si cerca in una persona è il viso, ma in questa situazione è impossibile, e quando capita di vedere per la prima volta un operatore del Centro senza mascherina, talvolta si resta completamente spiazzati, quasi come si fosse di fronte ad una persona sconosciuta, completamente diversa da quella che ci eravamo mentalmente raffigurati, come i bimbi che non riconoscono più il padre che si è tagliato la barba. Quando questa lotta al virus sarà finita la maggior parte di noi si cercherà guardandosi negli occhi, cercando di isolare dalla propria percezione la parte restante del volto. E proprio dagli occhi siamo partiti per creare un momento che ci identificasse, che ci unisse nel riconoscerci mentre indossiamo con fatica, per tutta la giornata le mascherine filtranti. Questi occhi trasmettono determinazione, gioia, malinconia, stanchezza e, perché no, tristezza per il tempo passato. Il tutto come percezione soggettiva ovviamente, ma si è creata quasi una modalità di lettura, come se in quegli occhi fosse scritta una storia che noi ora, osservandoli, abbiamo imparato a leggere

    Crisi e cultura della sicurezza

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    Life events, coping styles, and psychological well-being in children living with parents who harmfully consume alcohol

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    Introduction Children living with parents who harmfully consume alcohol might experience more life events, in particular negative, than children living with parents who do not harmfully consume alcohol. They also primarily use less adaptive coping styles and often demonstrate lower resilience. No studies evaluated whether coping styles or psychological well-being might influence the risk of life events occurrence in children living with parents who harmfully consume alcohol. Methods Forty-five children living with parents who harmfully consume alcohol and 45 children living with parents who do not harmfully consume alcohol, matched for sex and age, were assessed via the Appendix Life Events of the Minnesota Multiphasic Personality Inventory-Adolescent, the Coping Inventory for Stressful Situations, and the Psychological Well-Being scales. Results Children living with parents who harmfully consume alcohol had more life events in the 6-month period before the assessment, mostly negative and neutral, and lower levels of psychological well-being than children living with parents who do not harmfully consume alcohol. The risk of having experienced at least one negative or neutral life event was higher in children living with parents who harmfully consume alcohol than in their peers and in those with lower psychological well-being. The risk of having had a positive life event was not related to parents' consumption of alcohol but to avoidant coping and low self-acceptance behaviours. Conclusions Children living with parents who harmfully consume alcohol need interventions aimed at improving psychological well-being to protect them from life events, especially from negative ones
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