32 research outputs found

    Between a rock and a hard place: Environmental and engineering considerations when designing coastal defence structures

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    Coastal defence structures are proliferating as a result of rising sea levels and stormier seas. With the realisation that most coastal infrastructure cannot be lost or removed, research is required into ways that coastal defence structures can be built to meet engineering requirements, whilst also providing relevant ecosystem services—so-called ecological engineering. This approach requires an understanding of the types of assemblages and their functional roles that are desirable and feasible in these novel ecosystems. We review the major impacts coastal defence structures have on surrounding environments and recent experiments informing building coastal defences in a more ecologically sustainable manner. We summarise research carried out during the THESEUS project (2009–2014) which optimised the design of coastal defence structures with the aim to conserve or restore native species diversity. Native biodiversity could be manipulated on defence structures through various interventions: we created artificial rock pools, pits and crevices on breakwaters; we deployed a precast habitat enhancement unit in a coastal defence scheme; we tested the use of a mixture of stone sizes in gabion baskets; and we gardened native habitat-forming species, such as threatened canopy-forming algae on coastal defence structures. Finally, we outline guidelines and recommendations to provide multiple ecosystem services while maintaining engineering efficacy. This work demonstrated that simple enhancement methods can be cost-effective measures to manage local biodiversity. Care is required, however, in the wholesale implementation of these recommendations without full consideration of the desired effects and overall management goals

    Effects of a mucilage event on the Mediterranean gorgonian Paramuricea clavata. I - Short term impacts at the population and colony levels.

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    A Paramuricea clavata population thriving between 29 and 39 m depth on a shoal at the northern entrance to the Strait of messina was affected by mucilage coverage at the end of summer 1993. Mucilage become entangled in projecting branches and necrotized the coenenchyme below, leaving the axial skeleton bare. The entire population was heavily affected, extent of injuries being negatively correlated with size of colonies.Colony size, scale and location of damage were related to successful regeneration after six months

    Harpacticoida

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    L’ordine degli Harpacticoida è uno dei nove ordini della sottoclasse Copepoda (Boxhall & Halsey, 2004); che insieme con altre sei sottoclassi costituisce la classe dei Maxillopoda (Huys & Boxshall, 1991; Huys et al., 1996). Le specie di Arpatticoidi descritte finora sono oltre 3620, distribuite in 554 generi e 52 famiglie (Boxshall & Halsey, 2004). La maggior parte di esse sono a vita libera con alcune ectoparassite o commensali su spugne, coralli, cefalopodi, altri crostacei, tunicati e persino balene (fam. Balaenophilidae). Tre famiglie, con più di 1000 specie, sono esclusivamente di acqua dolce mentre dal mare o da ambienti salmastri sono state descritte finora oltre 2500 specie. Delle forme marine poche sono le planctoniche, mentre la maggior parte di esse vivono a contatto con il fondo, risultando particolarmente abbondanti nei sedimenti mobili e sulla vegetazione (alghe e fanerogame).In ecologia marina gli Arpatticoidi sono considerati un importante componente delle comunità meiobentoniche (gli esemplari raramente eccedono il millimetro) dove costituiscono generalmente il secondo taxon per abbondanza numerica, secondi solo ai nematodi; essi tendono tuttavia a dominare nei sedimenti grossolani e sulle alghe (Hicks e Coull, 1983). L’abbondanza degli Arpatticoidi generalmente decresce con la profondità: densità massime, da 105 ind./ m2 a 106 ind./ m2 sono state riportate per sedimenti intertidali mentre nel “deep-sea” la densità può raggiungere solo 104 ind./m2 (Coull et al., 1977). La lista che segue include circa 210 specie marine e salmastre ed è stata redatta sulla base di una revisione critica della precedente checklist delle specie italiane di Copepodi Arpatticoidi (Argano et al., 1996) aggiornata con i rinvenimenti più recenti o di cui il precedente lavoro non aveva tenuto conto (es. Zangheri, 1966; Cottarelli e Forniz, 1995; Stoch, 1994; Huys e Todaro, 1997; Todaro, 1999; Colangelo et al., 2001; Berera et al., 2005); sono segnalate anche alcune specie di acqua dolce rinvenute in ambiente interstiziale di foce e/o appartenenti a famiglie o generi prevalentemente marini (es. Arenoponzia, Delamarella e Itunella vedi Cottarelli et al., 1984, 1999; Berera et al., 2001; Berera e Cottarelli, 2003). In quest’occasione si è ritenuto opportuno, oltre che riportare le famiglie in ordine alfabetico, citare solo i taxa formalmente descritti e/o identificati a livello di specie (o sottospecie), con l’unica eccezione di Parevansula sp., poiché unico rappresentante del genere in Italia. Rispetto alla precedente checklist (Argano et al., 1996), in quella attuale compaiono ben 33 specie, 14 generi e 4 famiglie nuove per la fauna italiana, tenuto conto anche delle numerose revisioni sistematiche succedutesi nell’ultimo decennio (cf. Boxshall e Halsey, 2004). Tra le “novità” sistematiche di particolare rilevanza si segnalano: a, l’abolizione della famiglia Diosaccidae con il trasferimento di generi e specie nella famiglia Miracidae; b, il formale riconoscimento della famiglia Euterpinidae con il conseguente trasferimento del genere Euterpina in precedenza affiliato alla famiglia Tachidiidae; c, il formale riconoscimento della famiglia Orthopsyllidae con i trasferimento in essa del genere Orthopsyllus, prima collocato tra i Canthocamptidae; d, tra i Cylindropsyllidae l’elevazione a rango di famiglia per le sottofamiglie Leptastacinae e Leptopontiinae, con conseguente trasferimento di alcuni generi dalla famiglia originaria: Leptastacus, Minervella, Paraleptastacus e Psamathea alla famiglia Leptastacidae e Leptopontia, Syrticola Arenopontia, Psammopsyllus, Ichnusella e Psammopsyllus alla famiglia Leptopontiidae. Per la distribuzione geografica delle specie rivenute nel nostro Paese prima del 1950, di enorme aiuto è stata l’opera monografica di Lang (1948), per i rinvenimenti successivi, ma non solo, ci si è basati sugli articoli originali (es. Grandori, 1912, 1913; Pesta 1920, 1959; Battaglia 1953; Lang, 1965; Ceccherelli e Rossin, 1979; Volkman, 1979a, b; Ceccherelli, 1988; Cottarelli e Venanzetti; 1989; Ceccherelli e Mistri, 1990; Cottarelli e Forniz, 1990, 1994; Sandulli e De Nicola, 1991; Cottarelli et al., 1992; Huys e Todaro, 1997; Todaro, 1999; Colangelo et al., 2001). Come nella precedente edizione della checklist, anche in quest’occasione vogliamo evidenziare come le conoscenze della fauna italiana ad Arpatticoidi siano lontane dall’essere complete poiché ricerche relativamente approfondite sono state condotte finora solo nell’Alto Adriatico (principalmente a Venezia e nel Delta del Po), ed in forme più occasionali a Genova, in Sardegna e nel golfo di Napoli. Alla quasi totale mancanza d’indagini si deve infatti se molte aree geografiche compaiono solo sporadicamente nella presente lista. Una reale limitazione della distribuzione biogeografia degli Arpatticoida, così come di altri organismi meiobentonici, appare infatti molto improbabile (per i Gastrotrichi vedi Todaro et al., 2003). Anche il numero di specie presenti lungo le coste italiane è destinato ad aumentare se a ricerche relative a questo gruppo di organismi verrà dato nuovo vigore. Il rinvenimento di numerose specie, tra cui alcune nuove per la scienza, presso le secche della Meloria, Livorno (M. A. Todaro, dati non pubblicati), in grotte marine semisommerse del litorale salentino (M. A. Todaro, G. Belmonte, dati non pubblicati) e sui substrati rocciosi dei promontori del Conero e di Gabicce e lungo il litorale triestino (V.U. Ceccherelli, dati non pubblicati) autorizza questa previsione
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