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    Giovanni Sartori e la democrazia della Seconda Repubblica

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    Il saggio ripercorre e analizza criticamente tutti i passaggi istituzionali della cosiddetta Seconda Repubblica, ossia della peculiare democrazia maggioritaria che si imposta in Italia a partire dal 1994. Tali passaggi sono visti all'interno del pensiero di Giovanni Sartori e in particolare della sua teoria della democrazia. Tale pensiero si è manifestato sia attraverso opere scientifiche sia attraverso una continua attività pubblicistica, in particolare dalle colonne, come editorialista, del Corriere della Sera. Dall'esame di questo pensiero emerge una serrata e continua critica dei caratteri istituzionali della peculiare democrazia maggioritaria all'italiana.The essay traces and critically analyzes all the institutional steps of the so-called Italian Second Republic, that is the peculiar majoritarian democracy that is set in Italy since 1994. These steps are seen within the thoughts of Giovanni Sartori and in particular of his theory of democracy . Such thinking has manifested both through scientific works both through continuous publications, in particular from the columns, as a columnist, of the Corriere della Sera. From an examination of this thinking emerges a close and continuous criticism of the institutional character of the distinctive Italian style majoritarian democracy

    Verso le elezioni politiche 2023: Rosatellum o nuova legge elettorale?

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    Fin dalla sua nascita nel 2001, la Fondazione Astrid ha dedicato una parte importante delle sue ricerche e dei suoi paper alle riforme istituzionali e elettorali per ammodernare la democrazia italiana, superare la crisi di rappresentatività delle sue istituzioni e metterle in grado di affrontare i problemi e le sfide del nostro tempo. Rispetto alle precedenti ricerche, questo paper ha una finalità più limitata e più schiacciata sull’attualità politico-istituzionale: valutare se, a meno di un anno dalle elezioni politiche del 2023, vi siano spazi e ragioni per modificare la legge elettorale in vigore (il cosiddetto Rosatellum); e, in caso affermativo, analizzare quali potrebbero essere le soluzioni alternative e i relativi pregi e difetti. Lo facciamo in modo volutamente sintetico, al fine di proporre un quadro di riferimento di facile comprensione per un dibattito che è ancora del tutto aperto, ma che dovrà concludersi, in un senso o nell’altro, in tempi stretti

    Costituzione: quale riforma? La proposta del Governo e la possibile alternativa

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    Il paper muove dalla premessa che esistono ragioni che giustificano una riforma della forma di governo italiana. Esse richiederebbero la disponibilità di tutti a ragionevoli compromessi, fermo restando il limite invalicabile del rispetto dei principi e degli istituti che, come la divisione dei poteri, l’indipendenza della magistratura, il ruolo e i poteri delle istituzioni di garanzia, garantiscono le libertà e i diritti dei cittadini, la tutela delle minoranze e la struttura democratica dell’ordinamento. Si tratta, essenzialmente, di due ragioni, connesse alla necessità di rendere il nostro sistema istituzionale capace di affrontare le sfide del mondo di oggi: da un lato occorre risolvere il problema della instabilità dei Governi, dall’altro lato si tratta di ripristinare la rappresentatività delle istituzioni democratiche e riattivare o reinventare strumenti di partecipazione che assicurino un effettivo consenso intorno alle scelte politiche adottate e una collaborazione diffusa nella loro attuazione. Sulla base di questa premessa, il Paper si articola in due Parti. Nella prima si passano in rassegna le diverse forme di governo offerte dal panorama internazionale che prevedono l’elezione diretta del vertice dell’esecutivo, raffrontandole con la proposta presenta dal Governo Meloni. Se ne trae un giudizio negativo e si propone un diverso approccio, più conforme alla tradizione costituzionale italiana. Nella seconda parte, sulla base di tale approccio, si formula una proposta alternativa, capace di rispondere più efficacemente alle necessità di riforma che il nostro sistema manifesta. In particolare, nella prima parte, la rassegna delle forme di governo con elezione diretta del vertice dell’esecutivo (Cap. 2) mette in luce due caratteri costanti. Si tratta di forme di governo che non risolvono necessariamente il tema della stabilità dell’azione di governo, perché possono sempre produrre una dualità di indirizzi politici tra il vertice dell’esecutivo e gli organi legislativi, e che non sembrano particolarmente adatte a un sistema politico molto frammentato e anche polarizzato come quello italiano (ma, negli ultimi tempi, non solo). In ogni caso, in tutte queste esperienze straniere, esistono sistemi di separazione dei poteri, che, a fronte dell’elezione diretta del vertice dell’esecutivo, offrono un articolato sistema di checks and balances, come l’elezione sempre autonoma e separata del Parlamento, nonché limitazioni del potere di scioglimento delle Camere. È privo di queste caratteristiche, invece, il sistema italiano di elezione dei Sindaci, che, non a caso, non è adottato a livello statale da nessuna democrazia consolidata, e che, se trasposta a livello nazionale, sembra estraneo alla tradizione del costituzionalismo liberale e democratico. In quel sistema, infatti, l’elezione dell’organo rappresentativo è una derivata dell’elezione del vertice dell’esecutivo, dal quale dipende anche per la sua permanenza in carica. Nel Cap. 3 si constata che il Progetto del Governo Meloni sembra ispirarsi proprio a quest’ultimo modello. In effetti si propone l’elezione diretta del Presidente del Consiglio con la conseguente composizione, costituzionalmente obbligata, delle Camere nel senso che in entrambe deve essere assicurata una maggioranza del 55% dei seggi a favore di parlamentari collegati al Presidente del Consiglio eletto. Sulla base del progetto, invero, si consente, per una volta, che il Presidente del Consiglio scelto dagli elettori sia sostituito da un parlamentare eletto nelle sue file per attuare il programma enunciato dal Presidente eletto. È una soluzione – si consenta – bizzarra, che comunque non consente di distaccare sostanzialmente il modello proposto da quello della elezione diretta dei Sindaci, già giudicato incompatibile con i principi supremi se trasposto a livello statale. Infatti, la crisi del secondo Governo della legislatura, nella proposta governativa, produrrebbe l’automatico scioglimento delle Camere. La riforma proposta, pertanto, produrrebbe un ulteriore indebolimento del Parlamento, composto “a rimorchio” del Premier con un premio di maggioranza senza soglia e dunque distorsivo della volontà popolare in misura potenzialmente illimitata. Inoltre, a fronte dell’elezione popolare diretta del Presidente del Consiglio, diversamente dagli esempi offerti dal diritto comparato, non prevede alcuno dei checks and balances necessari e anzi finisce persino per indebolire la funzione di garanzia del Capo dello Stato. Senza quei “freni e contrappesi”, la riforma finisce quindi per oltrepassare quei limiti che rendono l’elezione diretta compatibile con i principi dello Stato democratico e di diritto che la Corte costituzionale ha ritenuto immodificabili. Nel Cap. 4, invece, si offre una prospettiva di riforma completamente diversa: le ragioni a giustificazione di una riforma degli assetti istituzionali non richiedono di stravolgere le linee fondamentali della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione. Se proprio, si tratta di completare quel disegno, nel senso di sviluppare alcuni spunti di razionalizzazione che il costituente aveva già fornito nel 1947. Sulla base della conclusione del Cap. 4, la seconda parte del lavoro offre la proposta di Astrid per la riforma delle istituzioni, che suggerisci non eversivi a livello costituzionale ma più pervasivi e completi a livello legislativo. Nel Cap. 5 si afferma l’utilità di riformare la nostra forma di governo, mentendone il carattere parlamentare ma proponendone una razionalizzazione sulla base dell’esperienza costituzionale tedesca. Si tratterebbe di introdurre l’istituto della sfiducia costruttiva, in modo da stabilizzare il governo, originariamente eletto in sede parlamentare. Il meccanismo, infatti, rende impossibile mettere in crisi l’esecutivo se non attraverso una mozione di sfiducia costruttiva, che richiede la formazione di una nuova maggioranza che individui un nuovo Presidente del Consiglio. In caso di dimissioni volontarie del Presidente del Consiglio o di reiezione di una questione di fiducia, il Parlamento dovrebbe essere automaticamente sciolto a meno che, entro un termine predeterminato (21 giorni in Germania), il Parlamento non dia luogo a una nuova “maggioranza costruttiva” eleggendo un nuovo Presidente del Consiglio. È un meccanismo che rafforza la stabilità del Governo senza incidere sulla centralità del Parlamento, che è sempre in grado di imporsi all’esecutivo, a condizione però, che sia capace di esprimere una “maggioranza costruttiva”. L’assetto bicamerale del nostro Parlamento, che, in questa sede, non si ritiene di dover modificare, richiede qualche adattamento rispetto al modello tedesco, a partire dall’individuazione delle Camere in seduta comune come luogo della relazione fiduciaria Parlamento Governo. Dell’esperienza tedesca, poi, dovrebbe mantenersi il potenziamento della figura del Presidente del Consiglio, a partire dal riconoscimento del potere di nominare e revocare i ministri. Nel Cap. 6 si affronta quindi il tema del rafforzamento del ruolo del Parlamento, che giace già ora in una condizione di forte delegittimazione tanto sul piano della sua capacità rappresentativa quanto su quella dell’esercizio dei poteri legislativi, di indirizzo e di controllo. Nel contesto di un forte irrobustimento della figura e della stabilità del Presidente del Consiglio, infatti, è essenziale una cura ricostituente per il Parlamento. Il Capitolo presenta varie proposte e, in particolare, si cura di contrastare l’abuso della decretazione d’urgenza, che, di fatto, trasferisce il potere legislativo dal Parlamento al Governo in misura non compatibile con un ordinamento costituzionale liberale e democratico (due terzi della legislazione italiana è prodotta attraverso uno strumento previsto in Costituzione come eccezionale). Nel settimo Capitolo si affronta il tema della legge elettorale. Si spiegano le ragioni per le quali non sembrano più sussistere le condizioni per tornare a una legge uninominale maggioritaria sul modello del Mattarellum (di cui non si dà per la verità un cattivo giudizio) e quelle per le quali i sistemi elettorali con premio di maggioranza sono considerati dannosi sia per la stabilità dei governi che per la capacità rappresentativa del Parlamento, constatando che, invece, sulla base della proposta governativa, proprio questo sistema sarebbe l’unico consentito. Si propone all’opposto di puntare su un sistema proporzionale selettivo, volto a ricostruire un sistema dei partiti più ordinato anche se plurale, come dimostrano gli effetti di un simile sistema elettorale in Germania. Si sottolinea inoltre, che agli scopi di maggior stabilità degli esecutivi e di maggior rappresentatività del Parlamento che ci si propone è indispensabile introdurre un sistema di restituzione agli elettori del potere di selezionare i candidati alle Camere. Infine, nell’ottavo capitolo, a garanzia di un buon funzionamento del nuovo sistema incentrato sulla sfiducia costruttiva e della proposta legge elettorale selettiva, nonché allo scopo di rafforzare la capacità rappresentativa delle istituzioni politiche e della partecipazione dei cittadini alla determinazione della politica nazionale, si raccomanda l’adozione di una articolata disciplina pubblicistica dei partiti politici e di un nuovo sistema di finanziamento della politica. In sostanza, il paper ritiene che sia possibile risolvere le problematicità del funzionamento della nostra forma di governo – sia in termini di stabilità degli esecutivi che in termini di legittimazione popolare delle decisioni pubbliche – restando nell’ambito della tradizione costituzionale italiana, sfuggendo alle suggestioni di semplificazioni verticistiche e plebiscitarie che rischiano di allontanarci dai principi che connotano il costituzionalismo liberale e democratico

    Costituzione quale riforma? La proposta del Governo e la possibile alternativa

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    La democrazia italiana non gode di buona salute: lo dimostrano il crescente astensionismo e la diffusa sfiducia dei cittadini verso le istituzioni. Ma il problema non è solo quello della stabilità dei governi. Le sfide della nostra epoca (il cambiamento climatico, le migrazioni di massa, la competizione economica e tecnologica, l’invecchiamento della popolazione, le guerre ibride) richiedono scelte coraggiose e lungimiranti che solo governi stabili possono fare. Ma vincere queste sfide richiederà da tutti sacrifici impegnativi: dunque occorre anche che queste decisioni siano assistite da un largo consenso popolare e siano sentite come legittime dalla gran parte della popolazione, in modo che la loro attuazione possa contare sul concorso convinto dei cittadini, dei corpi intermedi e delle imprese. Occorre anche, dunque, ripristinare la rappresentatività delle istituzioni e riattivare o reinventare gli strumenti della partecipazione democratica. La proposta di riforma del Governo italiano non risolve questi problemi, anzi li aggrava. Concentra tutti i poteri in capo al premier, senza i contrappesi che bilanciano i sistemi presidenziali; indebolisce il ruolo di garanzia ed equilibrio del Presidente della Repubblica; rende il Parlamento ancor più succube del Governo; contrasta con i principi supremi di democrazia e stato di diritto che neppure una riforma costituzionale può violare. Questo piccolo libro, prodotto della riflessione collegiale di molti dei più autorevoli costituzionalisti italiani, non si limita però ad un’analisi critica del progetto del Governo. Delinea anche un progetto di riforma alternativo, basato sull’esperienza delle democrazie europee. In questo progetto, la stabilità del governo è accompagnata dalla difesa del ruolo di garanzia del Capo dello Stato, dal rilancio del Parlamento, dalla riconsegna ai cittadini del potere di scegliere i parlamentari, dal recupero degli strumenti della partecipazione democratica. Non affossa, ma rilancia la democrazia italiana
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