86 research outputs found

    L’influenza delle potenze europee sull’Impero ottomano

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    Il 3 marzo 1878 fu siglata la pace di Santo Stefano al termine della guerra russo-turca che causò una lunga crisi politica, finanziaria e militare all’Impero ottomano. Costantinopoli in quegli anni fu aiutata da alcune grandi potenze europee che mirarono a preservare l’equilibrio internazionale. Il trattato di Santo Stefano, però, deluse diverse potenze occidentali, in primis l’Austria-Ungheria e grazie alla leadership della Germania fu organizzato il Congresso di Berlino (1878). L’Impero ottomano riuscì a limitare le perdite territoriali rispetto a quanto deciso a Santo Stefano. Questo il panorama internazionale che fa da cornice allo studio, che prova a ricostruire le vicende della società ottomana alla vigilia della Prima guerra mondiale

    messina earthquake 1908

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    There are many stories, testimonials, articles and books about what was considered one of the greatest disasters in human history. An entire city, rich in history and traditions, was erased forever by the destructive fury of nature. In 37 seconds more than two thousand years of culture and pride disappeared together with the awareness of being a dynamic, historically ancient and rich diverse cultural influences over the centuries embellished Sicily. The social capital of the city crumbled because of the large number of deaths, an entire modus operandi vanished beneath the rubble of the baroque buildings, swept away by waves and finished apocalyptic fires that came copiousone after another. Messina, for many, died that day, but during the days following the great disaster its dynamic and eclectic spirit, which resulted from a story marked by multiculturalism, provided a test of absolute decisiveness. DOI: 10.5901/ajis.2013.v2n2p31

    La Triplice Alleanza e il nuovo modello dell'Esercito Italiano

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    LA TRIPLICE ALLEANZA E IL NUOVO MODELLO DELL’ESERCITO ITALIANO La ricerca analizza gli aspetti militari riguardanti l’esercito italiano tra il 1870, anno contraddistinto dal conflitto franco-prussiano e dalla “presa di Roma”, e la stipula del trattato della Triplice Alleanza (1882), sino al suo ultimo rinnovo del 1912. Lo studio interpreta diversi documenti dell’epoca conservati presso l’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito (AUSSME) e il Centro Simulazione e Validazione dell’Esercito (CeSiVa) di Civitavecchia, oltre ai Documenti Diplomatici Italiani. La prima parte della ricerca precisa lo scenario internazionale entro cui si mosse il Regno d’Italia e il rinnovato interesse per le questioni militari che, in Italia come in Europa, suscitò Sedan nella stampa internazionale. L’esito della guerra franco-prussiana e la “presa di Roma” portarono a una seria riflessione i vertici militari italiani ed europei. L’esercito prussiano, Königlich Preußische Armee, vincitore nel secolo XIX delle guerre contro Danimarca (1864), Austria (1866) e Francia (1870-71), contribuì all’unificazione della Germania e diede vita all’Impero tedesco nel 1871, divenendo un modello di organizzazione ed efficienza per tutte le potenze europee. Durante i dodici anni che separano la “presa di Roma” dalla stipulazione della Triplice Alleanza l’Esercito italiano subì profonde trasformazioni nel quadro di una politica interna ricca di colpi di scena e prodiga nel catapultarsi sul palcoscenico internazionale. Il morale dei soldati italiani alla vigilia degli anni ’70 del XIX secolo era sfibrato, i fallimenti del 1866 mantennero vive le polemiche sugli insuccessi di Custoza e Lissa destinate a riemergere nei dibattiti in parlamento ogni qualvolta si discuteva dei progetti di riforma dell’esercito. La seconda parte della ricerca dedica ampio spazio agli accordi stipulati dalle potenze europee, in particolar modo alle relazioni diplomatiche tra l’Impero austro-ungarico, l’Impero tedesco e il Regno d’Italia che portarono al patto difensivo della Triplice Alleanza e al conseguente riordino dell’Esercito italiano. Il problema da affrontare nello specifico ambito militare dopo Sedan fu la necessità di trasformare l’Esercito italiano secondo il “modello prussiano”. L’approccio alle questioni preminenti, da parte dell’establishment al potere, cambiò decisamente rispetto al passato, la stampa e la politica iniziarono a partecipare con più vigore ai dibattiti sulle strategie e sul ruolo dell’esercito. Vennero pubblicati numerosi opuscoli, saggi, articoli e pamphlet sulle modalità di organizzazione difensiva, sulle possibili forme di reclutamento, sulle strategie da attuare in relazione al quadro internazionale, senza dimenticare lo studio operativo dei confini Nord-Orientali e Occidentali. Si affrontarono i grandi temi di un’auspicabile modernizzazione, dall’assetto difensivo della nazione e le questioni tecniche. Il ventennio successivo fu quindi caratterizzato da un dibattito politico-militare che seguì l’evoluzione delle riforme rispetto ai temi delle fortificazioni, della strategia di mobilitazione e dello spinoso argomento del riordino dell’esercito. Verranno quindi affrontate le complesse dinamiche politico-strategiche relative ai successivi rinnovi dell’alleanza con gli Imperi centrali. La terza parte dello studio affronta gli specifici aspetti della riorganizzazione dell’Esercito Italiano: dal miglioramento delle condizioni di vita delle truppe e degli ufficiali di più alto grado all’equipaggiamento a disposizione, l’evoluzione dei sistemi d’approvvigionamento delle truppe in tempo di pace e durante le mobilitazioni, il progresso e lo sviluppo dei sistemi di comunicazione tra i reparti, il perfezionamento dell’industria bellica e le nuove armi in dotazione alle truppe, la questione alimentare e la sanità, gli aspetti sociali e l’introduzione di più severe norme riguardo l’istruzione dei soldati. Il riassetto delle istituzioni militari è stato analizzato sulla scorta dei documenti disponibili presso l’AUSSME e il CeSiVa. Quest’ultima parte è quindi interpretata nell’ambito di un’idea consolidata nella storiografia contemporanea che vede la Triplice Alleanza un patto difensivo voluto principalmente dall’Italia ansiosa di rompere il proprio isolamento internazionale dopo la riformulazione dei confini europei successiva al Congresso di Berlino (1878) e l’occupazione francese della Tunisia (1881), alla quale Roma aspirava. In seguito, con il mutarsi dello scenario continentale, l’alleanza fu sostenuta soprattutto dall’Impero tedesco nel tentativo di bloccare le iniziative francesi. Nel corso della ricerca per ampliare il quadro interpretativo sono stati comparati alcuni documenti dell’epoca redatti da ufficiali tedeschi e italiani relativi a studi sugli eserciti “nemici”. Queste testimonianze rappresentano delle guide essenziali per la comprensione del pensiero dominante del tempo, delle paure e disaccordi che dopo il lungo periodo di pace, a cavallo fra i due secoli, portò allo scoppio del primo conflitto mondiale. La nuova realtà determinata dalla guerra franco-prussiana impose un processo di adeguamento che andava ben oltre i semplici studi, quindi tra il 1871 e il ’73 fu pensato un diverso assetto per l’Esercito italiano e l’ordinamento “modello” fu quello dell’esercito prussiano. R. Sciarron

    Reportage e giornalismo italiano nel corso della Grande Guerra

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    After William H. Russell, the Irish reporter for The Times of London and Ferdinando Petruccelli della Gattina, the forerunner of American reportage and correspondent for La Presse – defined by Indro Montanelli as “the most brilliant Italian journalist of the nineteenth century”– the twentieth century saw protagonists Luigi Barzini and Arnaldo Fraccaroli, both war correspondents for Corriere della Sera. These two correspondents are in the focus of this study that seeks to trace the career path, the style and the descriptive accuracy of the most important Italian reporters on that terrible occasion. Barzini, who had already witnessed some conflicts from 1899 for the newspaper from Solferino street – and continued to describe the wars until 1921 – had a great capacity for work that allowed him to write his articles at night after a day spent at the front. Reports, rich in detail and wrapped in an aura of unmatched descriptions, were written by an exceptional journalist, whose value was

    Prenatal Biochemical and Ultrasound Markers in COVID-19 Pregnant Patients: A Prospective Case-Control Study

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    This prospective observational study aimed to evaluate whether women with SARS-CoV-2 infection during the first trimester of pregnancy are at higher risk of noninvasive prenatal screening test alterations and/or of congenital fetal anomalies at the second-trimester fetal anatomy scan. Maternal symptoms were secondly investigated. The study was carried out on 12-week pregnant women admitted for noninvasive prenatal testing (16 April and 22 June 2020). The cohort had seromolecular tests for SARS-CoV-2, after which they were divided into a positive case group and a negative control group. Both groups had 20-week ultrasound screening. Seventeen out of the 164 women tested positive for SARS-CoV-2 (10.3%). There were no significant differences in mean nuchal translucency thickness or biochemical markers (pregnancy-associated plasma protein A, alpha-fetoprotein, human chorionic gonadotropin, unconjugated estriol) between cases and controls (p = 0.77, 0.63, 0.30, 0.40, 0.28) or in the fetal incidence of structural anomalies at the second-trimester fetal anatomy scan (p = 0.21). No pneumonia or hospital admission due to COVID-19-related symptoms were observed. Asymptomatic or mildly symptomatic SARS-CoV-2 infection during the first trimester of pregnancy did not predispose affected women to more fetal anomalies than unaffected women. COVID-19 had a favorable maternal course at the beginning of pregnancy in our healthy cohort

    MicroRNA 193b-3p as a predictive biomarker of chronic kidney disease in patients undergoing radical nephrectomy for renal cell carcinoma

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    Background: A significant proportion of patients undergoing radical nephrectomy (RN) for clear-cell renal cell carcinoma (RCC) develop chronic kidney disease (CKD) within a few years following surgery. Chronic kidney disease has important health, social and economic impact and no predictive biomarkers are currently available. MicroRNAs (miRs) are small non-coding RNAs implicated in several pathological processes. Methods: Primary objective of our study was to define miRs whose deregulation is predictive of CKD in patients treated with RN. Ribonucleic acid from formalin-fixed paraffin embedded renal parenchyma (cortex and medulla isolated separately) situated >3 cm from the matching RCC was tested for miR expression using nCounter NanoString technology in 71 consecutive patients treated with RN for RCC. Validation was performed by RT–PCR and in situ hybridisation. End point was post-RN CKD measured 12 months post-operatively. Multivariable logistic regression and decision curve analysis were used to test the statistical and clinical impact of predictors of CKD. Results: The overexpression of miR-193b-3p was associated with high risk of developing CKD in patients undergoing RN for RCC and emerged as an independent predictor of CKD. The addition of miR-193b-3p to a predictive model based on clinical variables (including sex and estimated glomerular filtration rate) increased the sensitivity of the predictive model from 81 to 88%. In situ hybridisation showed that miR-193b-3p overexpression was associated with tubule-interstitial inflammation and fibrosis in patients with no clinical or biochemical evidence of pre-RN nephropathy. Conclusions: miR-193b-3p might represent a useful biomarker to tailor and implement surveillance strategies for patients at high risk of developing CKD following RN

    What's in a Name? Shifting Identities of Traditional Organized Crime in Canada in the Transnational Fight against the Calabrian ‘Ndrangheta

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    The Italian antimafia authorities have warned Canadian law enforcement about the risks and the growing concerns for the infiltration of clans of the Calabrian mafia, known as ‘ndrangheta, in Eastern Canada. The alarm linked to the rise of the ‘ndrangheta challenges the paradigms of traditional organized crime in Canada, because the ‘ndrangheta is presented as traditional but also innovative and more pervasive than other mafia-type groups. Through access to confidential investigations and interviews to key specialist law enforcement teams in Toronto and Montreal, this article investigates today's institutional perception of mafia – the ‘ndrangheta in particular – in Canada when compared to Italian conceptualizations. I will argue that the changes in narratives in Canada can be read in relation to changes in the Italian identity in the country, moving towards regionalization and specialist knowledge of ethnic differences
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