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    Reati violenti commessi da minorenni. La 'vulnerabilit\ue0 biologica, psichica e sociale del minore'

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    la riflessione si incentra sull'analisi del minore autore di reati violenti, con particolare riferimento alla commissione di violenze di carattere sessuale. attraverso i risultati di una ricerca -realizzata attraverso i dati relativi ai minori trattati al Centro di Giustizia minorile della regione Emilia Romagna ed in particolare presso il centro di prima accoglienza- gli autori svolgono un'analisi del fenomeno sotto il profilo criminogenetico e criminodinamico con un approccio che provilegia, in una prospettiva multifattoriale e relazionale, l'analisi delle dinamiche familiari all'interno delle quali essa assume oggi rilevanza in sede giurisdizional

    Editoriale

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    Editorial

    La testimonianza del minore: riflessioni criminologiche

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    La testimonianza del minore presenta aspetti di specifica complessità e la letteratura criminologica, psichiatrico-forense e giuridica analizza approfonditamente i compiti dell’esperto sotto il profilo metodologico, clinico ed, altresì, deontologico. Si segnala per la sua complessità la particolare situazione che si crea allorché il minore, non di rado all’interno di un reato di gruppo, riveste il duplice ruolo di testimone e di autore di reato. Anche gli importanti cambiamenti che interessano la cultura sociale e le sollecitazioni che derivano dalla comunicazione multimediale possono facilitare ulteriormente l’intrecciarsi dei ruoli di testimone ed autore di reato. Si pongono in tali contesti problemi specifici ai quali la riflessione criminologica può fornire un contributo, segnatamente nella prospettiva della prevenzione primaria e secondaria

    Reati violenti commessi da minorenni. La “vulnerabilità biologica, psichica e sociale del minore”

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    The paper focuses on an analysis of juveniles committing violent crimes, with particular reference to violence of a sexual nature. Using the results of a study carried out on data relating to juveniles dealt with in the Juvenile Centre of Justice of the Emilia Romagna Region (Ministry of Justice, Bologna), and in particular in the Reception Centre, the authors make an analysis of the phenomenon from a criminal-genetic and criminal-dynamic point of view, with an approach (in the light of social-environmental data) that focuses on the family dynamics within which the crime originates from a multifactorial and relational perspective. The analysis, which concerns the nature and social function of family and the historical development of these aspects, also takes account of the current lively debate on the notion of “parenthood”. This theme is - at present - the object of analysis, on behalf of scientific doctrine and literature, from numerous viewpoints, with relation to which it today bears importance in the legal contexts. These considerations are confirmed in the light of results obtained so far through the ongoing research carried out at the Reception Centre in Bologna on juveniles committing violent crimes. These results show an extremely high proportion of youths belonging to disaggregated families, accounting for almost the entire sample (94.3% of cases). The paper so re-establishes the importance of the correlation between “broken homes” and juvenile disease. This phenomenon bears particular significance today: first and foremost, with regard to the measures adopted by operators assigned to treat juveniles in the criminal law sector, where professional experience has already shown the benefits of placing family at the centre of the youth’s resocialisation process. In any case, the analysis of such social factors and dynamics appears to be particularly stimulating also with regard to the scientific debate in criminology, particularly with a view to generating proposals relating to legislation and political-social objectives, i.e. with specific reference to the legislative framework (Law 8 of February 2006, No. 54) which currently regulates cases of family breakdown in our legal system.La riflessione si incentra sull’analisi del minore autore di reati violenti, con particolare riferimento alla commissione di violenze di carattere sessuale. Attraverso i risultati di una ricerca – realizzata attraverso i dati relativi ai minori trattati all’interno dei Servizi afferenti al Centro di Giustizia Minorile della Regione Emilia Romagna (Ministero della Giustizia, Bologna), ed in particolare presso il Centro di Prima Accoglienza – gli A.A. svolgono un’analisi del fenomeno sotto il profilo criminogenetico e criminodinamico, con un approccio che – anche alla luce dei dati di carattere socio ambientale – privilegia in una prospettiva multifattoriale e relazionale l’analisi delle dinamiche familiari all’interno delle quali il reato ha avuto origine. La riflessione, che coinvolge la tematica della natura e della funzione sociale della famiglia considerate anche allaa luce della loro evoluzione storica, si sviluppa tenendo conto del vivace dibattito, attualmente in corso, sulla nozione di “genitorialità”, che in questo momento è oggetto di analisi, da parte della dottrina e della letteratura scientifica, sotto le numerose angolazioni all’interno delle quali essa assume oggi rilevanza in sede giurisdizionale. Tali premesse, circa la rilevanza delle relazioni parento/filiali, appaiono validate anche dai risultati forniti dalla ricerca, ancora in corso di elaborazione, svolta sui minori autori di reati violenti presso il Centro di Prima Accoglienza di Bologna, risultati dai quali emerge che l’appartenenza dei ragazzi ad una famiglia disgregata è così forte da caratterizzare pressoché la totalità del campione (94.3% dei casi). Tale dato riconduce dunque alla problematica delle correlazioni fra “Broken Homes” e disagio minorile, che assume oggi particolare importanza anche in vista della definizione degli indirizzi di intervento che devono essere adottati dai tecnici deputati al trattamento dei minori nel settore dell’esecuzione penale.D’altro canto questi ultimi, in alcune strutture, alla luce della loro esperienza professionale, hanno già scelto linee di intervento nelle quali la famiglia è collocata al centro della strutturazione del percorso risocializzativo del ragazzo. Tuttavia, l’analisi di tali fatti sociali e di tali dinamiche appare particolarmente stimolante anche sul piano del dibattito scientifico in criminologia, in particolare nella prospettiva di fornire spunti di riflessione in tema di tecnica legislativa e di obiettivi di politica sociale, tenuto conto altresì del quadro normativo (l. 8 febbraio 2006, n°54) che attualmente disciplina, nel nostro ordinamento giuridico, i casi di rottura del nucleo familiare

    Il reinserimento sociale del detenuto e la partecipazione della comunitĂ  civica: modelli di intervento

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    The will already expressed by the penal legislature of 1975 to improve the approaches for the social reintegration of the convict by involving the community not directly concerned by the rehabilitation actions, is supported by the European Law which presses for a cooperation between the Organisations of the social fabric and the personnel of the prisons to develop a more efficient social rehabilitation of the convicts. In this optic, to face the changes of the past years in the prison community following the major multi-cultural migration flows, the new implementing regulation of the prison system sends a new stimulus for the creation of a new type of cultural mediation operator, also through new agreements with the local authorities. In the scientific documentation on the reintegration of the author of a crime have been encountered many differences considering the number of studies developed – often by local, political or prison institutions, or by those who for different reasons work in this social context – on these topics and related to the nature of these analysis on the reintegration of the convicts. The analysis on the experience of the Information, Orientation and Cultural Mediation Counters in prison, born from an experimental project launched by the Region of Emilia-Romagna on December 1998, is quite interesting. The activities of these Counters can be resumed in four types of intervention: information on the right of the convicts to have a legal protection (also for obtaining an alternative measure to imprisonment); orientation and support for those in search of a ideal condition to help his social reintegration (job, home reference, data, etc.); observation of the evolution of the prison community and monitor their needs; support through interviews assisted by the cultural mediators. This experience exposed the difficulties and the limits of the procedures used, as well as the instruments and intervention models actually necessary. Analysing these topics in depth could be important at a moment characterized by great difficulties and confusion underlined by the documentation on the research of efficient instruments for the reintegration of the author of the crime.L’orientamento, già espresso dal legislatore penitenziario del ’75, di attuare un allargamento delle prospettive di intervento risocializzativo del detenuto coinvolgendo la comunità esterna nell’azione rieducativa, viene fatto proprio anche dalla normativa europea, che sollecita il ricorso alla cooperazione di organizzazioni del tessuto sociale con il personale degli istituti penitenziari, finalizzato ad un più efficace recupero sociale dei detenuti. Un ulteriore stimolo in questa direzione viene dal nuovo regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario laddove auspica l’intervento di una nuova tipologia di operatori di mediazione culturale, anche attraverso convenzioni con gli enti locali, intervento volto a fronteggiare il mutamento della popolazione detenuta di questi ultimi anni a seguito degli ingenti flussi migratori molto differenziati sul piano culturale. Si registrano peraltro nella letteratura scientifica sul tema della risocializzazione dell’autore di reato oscillazioni anche molto consistenti in rapporto alla quantità degli studi svolti su questi argomenti ed alla natura di tali riflessioni, sovente elaborate in seno alle  istituzioni locali, politiche o penitenziarie, o da soggetti che a diverso titolo operano nel contesto sociale, nel settore del reinserimento dei detenuti. Appare pertanto particolarmente interessante l’analisi dell’esperienza degli Sportelli di informazione, orientamento e mediazione culturale in carcere, nati da un progetto sperimentale della Regione Emilia Romagna del dicembre 1998. L’attività di questi Sportelli si riassume in quattro tipologie d’intervento: un’azione di informazione sui diritti di tutela giuridica dei detenuti, anche in rapporto alla fruizione dei percorsi alternativi alla detenzione; un’azione di orientamento e supporto di tali soggetti nella ricerca di condizioni idonee a facilitarne il reinserimento sociale (lavoro, riferimento domiciliare, documentazioni, etc.); un’azione di osservazione dell’evoluzione della popolazione detenuta e di monitoraggio dei suoi bisogni; un’azione di sostegno, realizzata mediante colloqui facilitati dalla presenza di mediatori culturali. Tale esperienza ha consentito di mettere in luce difficoltà e limiti delle modalità operative utilizzate, ma anche strumenti e modelli di intervento funzionali alle reali possibilità di trattamento. L’approfondimento di tali tematiche può rivestire specifica rilevanza in un momento, come quello attuale, caratterizzato da innegabili difficoltà e disorientamento, evidenziati anche dalla letteratura, circa l’individuazione di efficaci strumenti per il reinserimento dell’autore di reato

    La genitorialitĂ  reclusa: essere padri in carcere

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    Essere padri detenuti rientra nella categoria di genitorialità a rischio, in quanto la condizione di detenzione fa venire meno alcuni presupposti fondamentali dell’esercizio della funzione genitoriale. Il genitore dovrebbe riuscire trasmettere al bambino fiducia nelle sue capacità di crescita perché il bambino si nutre di questo e non di tutte le cose che gli possono essere date materialmente (Bouregba, 2004)1. Per i detenuti, la famiglia, molto spesso, costituisce la più importante fonte di speranza, benessere e legame con l’esterno (Magaletta, Herbst, 2001)2. Ma l'ingresso in carcere interrompe ed altera la natura bidirezionale e reciproca dello scambio comunicativo e interattivo genitore-figlio. Un padre detenuto non può esercitare nella contiguità fisica, spaziale e temporale il ruolo di genitore. Va inoltre considerato che stereotipi e pregiudizi possono contribuire a creare una rappresentazione culturalmente condivisa del detenuto come soggetto incapace di essere un buon genitore, e ciò potrebbe determinare, nei soggetti in questione, un vissuto di fallimento e di inadeguatezza rispetto alla percezione di sé come padre e al proprio ruolo (Cassibba, Luchinovich, Montatore, Godelli, 2008)3. Inoltre l’assenza di modelli di riferimento adeguati, le condizioni iniziali di svantaggio, la povertà degli strumenti cognitivi, comunicativi e relazionali disponibili, uniti all’esperienza di un contesto restrittivo quale il carcere, rendono difficile la costruzione e il mantenimento di un legame fra padre-figlio adeguato alle esigenze di sviluppo del minore e stabile nel tempo (Cassibba et al, op cit, 2008). Sulla base di tale impostazione teorico-concettuale, l'obiettivo del presente contributo è quello di presentare i dati preliminari di una ricerca che ha visto la collaborazione tra l'Università di Bari e di Modena e Reggio Emilia, coinvolgendo nel contempo le amministrazioni penitenziarie delle due rispettive regioni, con lo scopo di indagare l'auto-percezione del ruolo paterno in padri in stato detentivo, esplorando nel contempo la relazione tra tale forma di auto-percezione e lo stile di attaccamento dei partecipanti alla ricerca. Dal punto di vista metodologico, per la misurazione delle variabili in oggetto sono stati utilizzati l'Attachment Style Questionnaire- ASQ (Feeney, Noller e Hanrahan, 1994) e il questionario sull'Auto-percezione del Ruolo Paterno (Harter, 1982)

    Primary prevention inititives in family contexts: the changing family

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    Il lavoro si propone l'analisi del mutamento che sta attualmente investendo la famiglia in Italia, con riguardo ai diversi momenti che costituiscono il "ciclo vitale " di quest'ultima. In tale ottica vengono esaminate le differenti fasi della costituzione del nucleo e della sua evoluzione dinamica, attraverso l'analisi dei cambiamenti che in esse sì registrano sul piano culturale, nonché dei fattori che facilitano il passaggio dal cambiamento al conflitto, nell'obiettivo di individuare i fattori rilevanti ai fini della strutturazione delle iniziative di prevenzione primaria

    DifficoltĂ  interpretative e prospettive di evoluzione nella recezione giurisprudenziale della diagnostica psichiatrico-forense

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    L'A. analizza il percorso compiuto dalla giurisprudenza sulla problematica della rilevanza, sulla capacità di intendere e di volere, dei disturbi psichici che non rientrano in un quadro psicopatologìco nosografìcamente inquadrabile in una patologia maggiore.Vengono esaminate, in tal senso, posizioni interpretative che realizzano una adeguata combinazione del criterio c.d. "diagnostico" (primario), con il criterio "valutativo" (secondario), ossia che recepiscono una metodologia della perizia psichiatrico-forense rispondente alla particolare ottica che tale valutazione assume rispetto agli altri settori di intervento medico-legale. Si osserva, pertanto, come tale indirizzo consenta di realizzare l'esigenza, nella perizia psichiatrica, di una dimensione criminologica nonché dell'applicazione di una corretta metodologia medico-legale

    Problematiche giuridiche, criminologiche e psichiatrico forensi del figlicidio

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    L\u2019A. analizza l\u2019evoluzione storica e normativa del figlicidio, caratterizzato dalla sua costante presenza nella cultura dell\u2019uomo fin dalle epoche pi\uf9 antiche, e sottoposto a conseguenze giuridiche che oscillano fra gli opposti estremi della depenalizzazione o della sottoposizione alle sanzioni capitali.Si esamina poi la disciplina vigente, che appare scarsamente fruibile per la eccessiva rigidit\ue0 delle due sole alternative presenti sul piano sanzionatorio: delitto di omicidio (art. 585 c.p.), o delitto di infanticidio (art. 578 c.p.), il secondo dei quali \ue8 inoltre applicabile solo ad una limitata parte dei casi di uccisione del figlio.Il disagio che scaturisce da tale situazione sul piano normativo si ripercuote in primo luogo nella prassi psichiatrico-forense: una ricerca svolta dall\u2019Autore sui casi di figlicidio prosciolti per vizio di mente nel periodo 1977-1987 evidenzia infatti, in base al frequentissimo ricorso operato a diagnosi di situazioni di \u201cstati-limite\u201d, che integrano il \u201cvalore di malattia\u201d piuttosto che una vera e propria infermit\ue0 mentale, il disagio del perito e del magistrato di fronte alla dicotomica alternativa imposta dall\u2019ordinamento
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