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    Betatrofina:un potenziale nuovo marcatore della funzionalita' beta cellulare nella patologia diabetica

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    Introduzione. Come noto, il diabete è una patologia causata da una disfunzione del metabolismo dei carboidrati dovuto, essenzialmente, a una ridotta secrezione o azione dell’insulina. Questa malattia negli ultimi anni ha visto un aumento del suo tasso di incidenza, con una prevalenza che viene attualmente stimata intorno al 2.8% della popolazione mondiale. Le due principali forme sono rappresentate dal diabete mellito tipo 1, causato da un attacco autoimmune alle beta-cellule pancreatiche, il diabete mellito tipo 2, caratterizzato da insulino-resistenza, ridotta secrezione dell’insulina e morte beta-cellulare. Anche se la patologia può essere controllata attraverso iniezione sottocutanea di insulina o con farmaci antidiabetici, questi trattamenti non offrono lo stesso grado di controllo glicemico come quello dato dalle beta-cellule funzionanti, e non sono in grado di impedire la progressione delle complicanze associate ai tessuti periferici. Negli ultimi anni, l’attenzione dei ricercatori si è incentrata sullo studio di un gene chiamato C19orf80 nell’uomo e Gm6484 nel topo, che regola la secrezione fisiologica di un ormone, comunemente noto come betatrofina. In un lavoro condotto su modelli animali, la betatrofina si poneva come una molecola promettente per la cura del diabete mellito sia di tipo 1 che di tipo 2, poiché aveva un ruolo nello stimolare la formazione di nuove cellule capaci di produrre insulina. Questi dati promettenti sono stati il presupposto per un gruppo di ricercatori svedesi che hanno studiato i livelli di questa molecola in persone con diabete di tipo 1: in questi pazienti, al contrario di quanto ci si aspettasse, la concentrazione dell’ormone è risultata addirittura superiore rispetto ai soggetti sani. Anche se il semplice aumento della betatrofina non sembra, per il momento, essere sufficiente a proteggere le persone dal diabete, tuttavia lo studio ha evidenziato che questa molecola potrebbe rappresentare un meccanismo fisiologico sia di conservazione delle cellule insulino-secernenti sia di protezione dall’insorgenza del diabete stesso. Tuttavia, in letteratura non sono attualmente presenti molti studi sull’uomo e, anche per quanto riguarda il diabete mellito di tipo 2, i pochi lavori pubblicati sono stati condotti prevalentemente su modello animale. Scopo della tesi. Poiché in questi ultimi anni sono stati ottenuti risultati sia entusiasmanti che contrastanti sulla betatrofina, tanto che ancora oggi non sono ben chiari gli effetti e il ruolo di quest’ormone nell’uomo, lo scopo della mia tesi sarà quello di valutare il possibile coinvolgimento della betatrofina nella patologia diabetica. Per questo motivo, verranno arruolati soggetti sani, pazienti diabetici di tipo 1 e 2 e soggetti diabetici che avevano effettuano il trapianto combinato di rene-pancreas o pancreas isolato, afferenti all’U.O.C. di Malattie Metaboliche e Diabetologia. Per ogni paziente verranno raccolti dati anamnestici, antropometrici, nonché parametri di controllo glico-metabolico e un campione di sangue in EDTA, da cui verrà estratto DNA genomico e isolati i linfomonociti per l’estrazione dell’RNA totale. Su plasma verrà quantificata la concentrazione di betatrofina circolante con metodica ELISA e immunoprecipitazione, misurati i livelli di insulina, c-peptide e glucagone, su DNA verrà valutata la lunghezza dei telomeri e l’RNA verrà retrotrascritto per l’analisi dell’espressione di alcuni geni correlati al peptide. Inoltre, poiché la betatrofina si trova nel corrispondente introne del gene DOCK6, l’idea sarà quella di esplorare l’associazione di questo ormone e dei parametri glicometabolici con due polimorfismi a singolo nucleotide, l’rs1541922 (SNP, C/T) e l’rs892066 (C/G)

    Long-Term Drug Survival and Effectiveness of Secukinumab in Patients with Moderate to Severe Chronic Plaque Psoriasis: 42-Month Results from the SUPREME 2.0 Study

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    Purpose: SUPREME, a phase IIIb study conducted in Italy, demonstrated safety and high efficacy of secukinumab for up to 72 weeks in patients with moderate-to-severe plaque-type psoriasis. SUPREME 2.0 study aimed to provide real-world data on the long-term drug survival and effectiveness of secukinumab beyond 72 weeks. Patients and Methods: SUPREME 2.0 is a retrospective observational chart review study conducted in patients previously enrolled in SUPREME study. After the end of the SUPREME study, eligible patients continued treatment as per clinical practice, and their effectiveness and drug survival data were retrieved from medical charts. Results: Of the 415 patients enrolled in the SUPREME study, 297 were included in SUPREME 2.0; of which, 210 (70.7%) continued secukinumab treatment throughout the 42-month observation period. Patients in the biologic-naïve cohort had higher drug survival than those in the biologic-experienced cohort (74.9% vs 61.7%), while HLA-Cw6–positive and HLA-Cw6–negative patients showed similar drug survival (69.3% and 71.9%). After 42 months, Psoriasis Area and Severity Index (PASI) 90 was achieved by 79.6% of patients overall; with a similar proportion of biologic-naïve and biologic-experienced patients achieving PASI90 (79.8% and 79.1%). The mean absolute PASI score reduced from 21.94 to 1.38 in the overall population, 21.90 to 1.24 in biologic-naïve and 22.03 to 1.77 in biologic-experienced patients after 42 months. The decrease in the absolute PASI score was comparable between HLACw6–positive and HLA–Cw6-negative patients. The baseline Dermatology Life Quality Index scores also decreased in the overall patients (10.5 to 2.32) and across all study sub-groups after 42 months. Safety was consistent with the known profile of secukinumab, with no new findings. Conclusion: In this real-world cohort study, secukinumab showed consistently high long-term drug survival and effectiveness with a favourable safety profile
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