13 research outputs found

    Capacious Feminism: Intimacy and Otherness in Mina Loy\u27s Poetry

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    This dissertation explores Loy’s interest in the “woman’s cause” to interrogate how the poet was recaptured as an early feminist figure by the academy. After Virginia Kouidis “rediscovered” Loy’s work in the 1980s, the poet has been consistently drafted as a central feminist figure despite her lack of commitment to organized feminist movements of her time. This retrospective lens offers a catachrestic view of Loy’s feminism. I use “catachresis” to refer to the slightly inaccurate use of “feminism,” tinted by current perceptions of the term, but also to hint at Loy’s capacious feminine poetics. While the rise of feminist theories in modernist studies has deplored the period’s rejection of the female Other, Loy’s poems define women’s identity through the liberating dialogue with otherness. I draw on Judith Butler’s theory of gender performativity and textual studies to engage with how Loy’s conception of the page as the space of feminine intimacy and otherness cements her as a multifaceted woman modernist and a model for contemporary modernist studies. I open my analysis with Loy’s contentious “Feminist Manifesto” to understand the framework the poet associates with feminism. I discuss the manifesto as an aesthetic document that seemingly only performs vague demands for political and social reforms but rhetorically asserts women’s marginal status as the ideal artistic identity. Her resistance to traditional reading patterns and gender topoi disturbs the poetic fabric and predicates textual creation on alienation. This leads me to the question of Loy’s publication history and editing practices: the field of Loy’s studies is mostly developed by women yet Loy’s voice has been consistently mediated by men. This dissertation scrutinizes Loy’s archives to propose editing techniques that foster Loy’s feminist resistance. The last chapter takes stock of the modernist anxieties with gender Loy seems to use to draw parallels between Loy’s feminist intentions and that of instapoets. Such a comparison sheds light on the situated nature of Loy’s feminism and her engagement with modernist notions of authorship

    Pensare costruendo. Il cantiere come fase di concepimento dell'architettura tra auspici progettuali e incidenti di percorso

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    Antefatto. Come architetti si è portati a trarre insegnamento non solo dall'opera ma anche dall'operare di quegli autori che eleggiamo a nostri maestri e che evochiamo allorquando, chiamati al compito costruttivo, cerchiamo appiglio e supporto per il nostro lavoro. Nel volgere l’interesse contemporaneamente verso prodotto e produzione, la ricerca esprime la necessità di comprendere insieme il cosa fare e il come farlo: di indagare l’architettura nel suo manifestarsi come forma compiuta- mediante l’analisi delle articolazioni compositive, delle connotazioni linguistiche- e di conoscere il lavoro dell’architetto che emerge a partire dalle procedure di cui si serve per configurare la realtà costruita. Di comprendere dunque non solo il lavoro dell’autore- l’opera- ma anche il lavoro del lavoro poiché questo costituisce, a nostro avviso, un aspetto imprescindibile al fine di una conoscenza feconda dell’architettura. Considerazione preliminare Spesso accade, nel tentativo di valutare alcune opere di architettura contemporanea, di constatare che a disegni tanto gratificanti corrispondano realizzazioni deludenti. Per altre opere sarebbe possibile rilevare una condizione opposta e contraria: seppur dotati di grande espressività, dettagliati, opportunamente integrati da scrupolose descrizioni alcuni disegni, che di quelle opere rappresentano caratteri e fattezze, risultino inadeguati al fine di restituire con efficacia e completezza d’informazione la ricchezza dello spazio costruito. Una delle ragioni dello scarto tra la forma disegnata e quella costruita può, a nostro parere, essere ricercata nel lavoro introdotto durante la fase esecutiva, in quello straordinario investimento progettuale profuso in corso d’opera di cui tanta architettura è intrisa. A quel lavoro si riferisce lo studio che segue. L’assunto Collocandosi nell'ambito teorico delle ricerche sulle relazioni tra progetto e costruzione, l’indagine che qui si presenta focalizza un preciso aspetto di questo rapporto: quello relativo al momento del passaggio dalla forma “pensata e disegnata” alla forma “costruita”, un tempo questo durante il quale l’intenzione progettuale si confronta- a volte urta- con le costrizioni connesse al farsi dell’opera. La fase di transizione dall'ideazione all'esecuzione espone l’opera ad eventi cruciali e circostanze imprevedibili: siano queste mosse da una decisione sopraggiunta a cantiere aperto, da un pentimento dell’ultima ora (cause interne al processo di indagine) oppure provocate da un inatteso incidente (agente inintenzionale), possono alterare il disegno che l’ha originata o inflettere le traiettorie di sviluppo del piano iniziale. Prendendo avvio dalla constatazione che alcuni inattesi accadimenti possano costituire motivo di arricchimento per l’opera che li accoglie- che sappia interpretarli come occasioni per interrogare ancora i progetti e dar loro nuove risonanze- la ricerca propone una riflessione sul tema del progetto che, spostandosi dal tavolo da disegno al cantiere, trova le traiettorie del proprio sviluppo, sperimentando, tra invenzioni, approssimazioni e adattamenti, aggiustamenti, la propria definizione ultima. Assumendo poi l’idea che l’operare costruttivo si configuri come un momento integrante e indissolubile per la costituzione di un’opera, la ricerca si costruisce intorno alla necessità di conoscere le modalità attraverso cui si esprime il lavoro in cantiere e dunque di comprendere l’intricata rete di relazioni che lega l’opera all'operare del progettista. L’operare costruttivo Facendo riferimento al lavoro calato nella dialettica aperta dei materiali, dei tempi e delle tecniche di realizzazione, l’operare costruttivo trova espressione all'interno del tracciato in progressione del fare, configurandosi come un lavoro teoretico ed empirico al tempo stesso che, alla logica combinatoria delle relazioni astratte, all'attento calcolo dei pesi, delle spinte e delle misure, affianca le impressioni apprese sui luoghi di esecuzione dell’architettura, apprendimenti che innervano e alimentano il tessuto e la trama dell’opera. Ambito dell'indagine Se il campo delle relazioni tra progetto e costruzione non può certo dirsi inesplorato, il tema dell’operare costruttivo appare invece poco dibattuto dalla critica d’architettura. Così, non potendo avvalersi di una letteratura consolidata di riferimento, la ricerca ha attinto alle testimonianze degli autori chiamati in causa dall'indagine. Il corpus dei materiali oggetto di studio è costituito da una raccolta di contributi che, senza mediazione da parte di critici, lasciano la parola direttamente ai progettisti: attraverso riflessioni, dichiarazioni e racconti, Juan Navarro Baldeweg, Giacomo Borella, Flores & Prats, Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, Adolf Loos, Enric Miralles, Le Corbuiser, Renzo Piano, Stefano Pujatti, Umberto Riva, Carlo Scarpa, Alvaro Siza, Bruno Vaerini, Francesco Venezia, Peter Zumthor descrivono alcune loro opere- e più in generale il proprio lavoro- fornendo il punto di vista di chi è direttamente coinvolto nel processo di produzione dell’architettura. Una prospettiva insolita quella che vuole offrirsi al lettore, a cui viene chiesto di rileggere alcune opere- la cui conoscenza è ampiamente diffusa e consolidata- ma da una posizione orientata alla comprensione dell'intero processo di costruzione, nell'intento di dimostrare come l’operare espresso nel farsi dell’architettura possa essere considerato esso stesso opera. A partire da questo dato si è scelto di accompagnare i contributi con materiale grafico e fotografico, illustrativo dell’intero percorso progettuale: dai primi schizzi ai disegni esecutivi, comprendendo anche i momenti intermedi di esecuzione dell’opera. Struttura dell’argomentazione Con l’intento di restituire compiutamente le diverse implicazioni connesse al tema indagato secondo un quadro sistematico ma al tempo stesso aperto alla possibilità di recepire altri contenuti e inedite chiavi interpretative, la selezione dei contributi viene ordinata secondo quattro itinerari d’indagine. Riferiti al carattere delle procedure che il progetto attiva per orientarsi tra gli ostacoli- per inventarsi a partire dall'accidente e dall'errore, per adattarsi alle contingenze specifiche dei luoghi e delle occasioni- gli itinerari considerano un campo di azioni che si estende dalla programmatica pianificazione di un processo che prende avvio dal disegno per poi svilupparsi in cantiere alla risposta immediata concertata direttamente con le maestranze sui luoghi di esecuzione dell’opera. Pur delimitando confini imprecisi e sfocati- le procedure che si è tentato di descrivere non si fondano sull'attivazione esclusiva di una strategia progettuale né si avvalgono specificatamente di strumenti operativi ma ne coinvolgono simultaneamente più d’uno tra questi- la perimetrazione degli itinerari ha reso possibile un primo avvicinamento al tema indagato, consentendo l’individuazione di chiavi di lettura utili alla comprensione di un lavoro che, seppur troppo spesso trascurato, rivela specifici orientamenti progettuali e operativi. Obiettivi e prospettive Se oggi sempre maggiore appare la distanza tra teoria e prassi, soprattutto nel contesto delle grandi scale di intervento- dove la complessità di gestione che queste comportano sono tali da richiedere il contributo congiunto di équipe di tecnici e di figure specialistiche per la gestione dei diversi momenti del processo di costituzione dell’architettura- le scale minori o gli interventi sull'esistente possono essere assunti quali ambiti privilegiati per una ricerca progettuale che, alle modalità della prefigurazione affianca procedure basate sull'esperienza condotta in cantiere e dunque sulla partecipazione attiva del progettista alle fasi esecutive. In questi casi ancora oggi la fase del progetto e quella della direzione del lavoro in cantiere sono molto spesso appannaggio della stessa figura che, proprio in virtù della maggiore vicinanza alla materia (dimensione primaria nel progetto di piccola scala e in quello sull'esistente) potrà dirsi al contempo del tecnico e dell’artista. Ma se, fino al recente passato, il tema della costruzione ha costituito insieme motivo di interesse teorico e preoccupazione progettuale, sembra oggi particolarmente trascurata la relazione tra pensiero progettuale e operare costruttivo che vada oltre i tecnicismi propri delle discipline specialistiche. Riteniamo invece che la necessità di discutere tale rapporto non sia venuta meno: il problema sembra, a nostro avviso, quello di elaborare un’idea di progetto d’architettura che, pur non negando valore alla specializzazione, guardi al superamento di logiche disciplinari che rischiano di essere miopi di fronte alla complessità degli aspetti formativi dell’architettura.A tal fine lo studio che segue tenta di fornire elementi utili all'affinamento di una teoria dell’Architettura che consideri l'operare costruttivo una parte integrante e indissolubile del processo di costituzione del progetto

    International Conference “Mina Loy and her Networks”

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    La “macchina del tempio”. Allestimento multimediale del tempio di Alatri nei giardini del Museo nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma

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    Il progetto è l’esito dell’approfondimento esecutivo di uno dei casi studio individuati all’interno di una ricerca universitaria dal titolo “Il museo che cambia. Il ruolo dell'istituzione culturale quale luogo di conoscenze esperite, tra spazio fisico e spazio virtuale. Il caso del Museo Nazionale di Villa Giulia”. Affronta il recupero e la messa in valore di un vecchio dispositivo museografico, uno dei primi esempi di archeologia ricostruttiva in Italia, il cosiddetto tempio di Alatri, edificio edificato nei giardini di Villa Giulia sulla base degli studi dell’archeologo Felice Barnabei, fondatore alla fine del XIX° secolo del Museo nazionale Etrusco di Villa Giulia, che giaceva in uno stato di semi abbandono all’interno degli spazi aperti del museo. Su ideazione museologica del direttore del Museo, Valentino Nizzo, il gruppo di ricerca ha tradotto in termini museografici l’idea di recuperare e valorizzare la struttura ripensandone l’interno come “macchina del tempo”, che in un gioco di parole diviene “macchina del tempio”, sorta di dispositivo spazio-temporale capace di riavvolgere il nastro della storia e portare i visitatori a vivere la sensazione di volare sulle antiche città dell’Etruria di cui il sistema di comunicazione multimediale di tipo “immersivo” racconterà la storia. Il progetto ha sviluppato tutto il sistema museografico-allestitivo riconfigurando la fodera interna dello spazio e il sistema di accesso all’ambiente, coordinando gli interventi architettonici con quelli impiantistici, così importanti per questo tipo di progettazione

    Viaggiare nella storia. Archeo-stazione San Giovanni sulla linea Metro C a Roma

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    La nuova Linea C della metropolitana di Roma ha finalmente raggiunto i margini del centro storico e la stazione San Giovanni è la prima ad adottare dei criteri di allestimento museografico e archeologico. Gli scavi hanno portato alla luce un'eccezionale stratificazione archeologica che raggiunge i 27 metri di profondità, attraversando tutte le epoche storiche di Roma e prima di Roma. Il progetto degli interni interviene su un assetto già definito e su una struttura che ha comportato la rimozione di tutti i rinvenimenti: per questa ragione l'allestimento vuole realizzare un'esperienza immersiva nella storia del luogo mediante un criterio di narrazione che faccia percepire l'attraversamento degli strati della storia. Soffitti e pavimenti assumono quindi un carattere neutro per dare rilievo alle pareti bianche, che diventano un foglio su cui scrivere il racconto della Storia e delle tante storie emerse grazie a più di 40.000 reperti che hanno restituito uno spaccato entusiasmante della vita quotidiana attraverso più di 25 secoli. La discesa nella storia è materialmente visibile grazie ad uno stratimetro che registra graficamente sia la profondità fisica che quella temporale, insieme ad un codice colore che identifica ciascuno dei numerosi strati; le immagini ingrandite dei reperti e la misurazione crono-spaziale avvolgono il passeggero nella Storia, mentre una serie di allestimenti speciali mette in mostra i reperti più significativi al livello in cui sono stati ritrovati, mettendo in luce singole storie segnalate ancora da grandi scritte che identificano specifici ambiti. La sfida è stata quella di elaborare un concetto museografico che invece di misurarsi con le condizioni proprie di una normale esposizione museale deve piuttosto confrontarsi con l'impatto fisico di una massa di passeggeri che ha per prima preoccupazione quella di prendere un treno, assecondando specifici livelli di sicurezza e un livello di attenzione legato alla velocità

    Menzione speciale per un Intervento di nuova costruzione > 5 mln di euro, Premio IN/ARCH - ANCE Abruzzo - Lazio - Molise, 2020

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    La nuova Linea C della metropolitana di Roma ha finalmente raggiunto i margini del centro storico e la stazione San Giovanni è la prima ad adottare dei criteri di allestimento museografico e archeologico. Gli scavi hanno portato alla luce un'eccezionale stratificazione archeologica che raggiunge i 27 metri di profondità, attraversando tutte le epoche storiche di Roma e prima di Roma. Il progetto degli interni interviene su un assetto già definito e su una struttura che ha comportato la rimozione di tutti i rinvenimenti: per questa ragione l'allestimento vuole realizzare un'esperienza immersiva che faccia percepire l'attraversamento degli strati della storia. Soffitti e pavimenti assumono quindi un carattere neutro per dare rilievo alle pareti bianche, che diventano un foglio su cui scrivere il racconto della Storia e delle tante storie emerse grazie a più di 40.000 reperti che hanno restituito uno spaccato entusiasmante della vita quotidiana attraverso più di 25 secoli. La discesa nella storia è materialmente visibile grazie ad uno stratimetro che registra graficamente sia la profondità fisica che quella temporale, insieme ad un codice colore che identifica ciascuno dei numerosi strati; le immagini ingrandite dei reperti e la misurazione crono-spaziale avvolgono il passeggero, mentre una serie di allestimenti speciali mette in mostra i reperti più significativi al livello in cui sono stati ritrovati, mettendo in luce singole storie segnalate ancora da grandi scritte che identificano specifici ambiti. La sfida è stata quella di elaborare un concetto museografico che invece di misurarsi con le condizioni proprie di una normale esposizione museale deve piuttosto confrontarsi con l'impatto fisico di una massa di passeggeri che ha per prima preoccupazione quella di prendere un treno, assecondando specifici livelli di sicurezza e un livello di attenzione legato alla velocità
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