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    Studio sull’efficienza di rimozione virale di un impianto di depurazione dei liquami urbani

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    La presenza di virus in diverse matrici ambientali rappresenta un importante problema per la sanità pubblica. In particolare, i reflui civili e agricoli contengono una grande varietà di organismi (batteri, protozoi e virus enterici), molti dei quali responsabili di infezioni a trasmissione oro-fecale. Tra i microrganismi che possono costituire un rischio per la salute dell’uomo, i virus enterici patogeni stanno assumendo sempre maggiore importanza, anche a seguito del miglioramento delle tecniche di analisi che permettono di attribuire a questi molti episodi epidemici prima classificati come ad eziologia sconosciuta. Considerando il ruolo che l’acqua assume come potenziale veicolo di trasmissione di malattie a carattere gastroenterico, risulta importante verificare l’efficienza dei trattamenti di depurazione dei reflui e delle pratiche di disinfezione, utili a prevenire la diffusione dei patogeni nei corpi idrici e la contaminazione ambientale che ne può derivare. Secondo il D.Lgs n°152/99 le acque reflue depurate possono essere riutilizzate per diversi scopi, in particolare nell’irrigazione di colture destinate al consumo umano, di pascoli, ma anche di parchi e aree ricreative. Tuttavia, spesso i trattamenti di tipo convenzionale non sono sufficienti ad abbattere la carica virale e inoltre le normative vigenti a livello nazionale, europeo e internazionale non prevedono il controllo obbligatorio dei reflui riutilizzati, ma prevedono la sola ricerca di batteri indicatori di inquinamento fecale (E. coli ed enterococchi) che, sebbene in grado di rivelare una contaminazione e quindi un rischio indiretto per la salute, non costituiscono parametri correlabili con la presenza di virus enterici. Ciò è dovuto principalmente alle difficoltà legate alla ricerca dei virus nell’ambiente e alla mancanza di metodiche standardizzate adattabili a tutti i virus enterici. Diversi studi hanno dimostrato che tecniche molecolari, quali PCR e Real-Time PCR, risultano essere più sensibili e rapide rispetto alle metodiche tradizionali. Sarebbe quindi necessario sviluppare un sistema di indicatori da affiancare alla ricerca diretta dei virus patogeni. Nuove possibili prospettive si stanno aprendo per quanto riguarda l’utilizzo di indicatori virali come il virus TT e Adenovirus. Lo scopo di questo lavoro è appunto quello di verificare l’efficienza di rimozione virale di un impianto di depurazione dei liquami urbani tramite la ricerca di probabili indicatori virali, TTV, virus a DNA a singolo filamento, e Adenovirus, patogeno molto diffuso in varie matrici ambientali, e di. HAV, uno dei principali virus patogeni ad RNA, molto stabile nei liquami grezzi e presente frequentemente negli effluenti finali degli impianti di depurazione. Prima dell’inizio delle prove sul campo è stata studiata l’efficienza di alcuni protocolli: per l’estrazione degli acidi nucleici, tramite l’allestimento di prove di sensibilità e di recupero virale da campioni artificialmente contaminati, e per la quantificazione della carica virale presente nei campioni. Campioni artificiali di acqua sono stati contaminati con Adenovirus (di tipo 2) a concentrazione nota, sottoposti a concentrazione ed estratti con due metodi di estrazione degli acidi nucleici, kit NucliSens Magnetic Extraction (Biomerieùx) e kit Qiamp DNA (Qiagen). Per effettuare le prove di sensibilità gli estratti sono stati diluiti e sottoposti a PCR qualitativa; la percentuale di recupero è stata calcolata con il metodo MPN e mediante quantificazione degli estratti interi con Real-Time PCR. Dalle prove su campioni artificiali è emerso che il metodo più sensibile è risultato essere il Qiagen mostrando il 38,9% di positività alla diluizione 10-4, rispetto al 16,6% di positività mostrata dal metodo Biomerieùx. Su 24 campioni ambientali di acqua marina, il Qiagen ha rilevato positività in 4 campioni, mentre il metodo Biomerieùx non ha rilevato nessuna positività. Le prove di recupero hanno mostrato una maggiore efficienza del metodo Qiagen rispetto al Biomerieùx sia mediante il calcolo dell’MPN che mediante PCR quantitativa. Il metodo scelto per la fase successiva di monitoraggio è stato il Qiagen. Nella fase di monitoraggio sono stati prelevati campioni di liquami in entrata e in uscita dell’impianto di depurazione di S. Jacopo a Pisa. I risultati del monitoraggio hanno evidenziato la presenza costante di Adenovirus nei campioni prelevati sia in entrata che in uscita dell’impianto; TTVirus è stato rilevato nel 95% (19/20) dei liquami grezzi e nell’85% (17/20) dei campioni in uscita, mentre HAV è stato rilevato soltanto in un campione di liquame grezzo e in un campione prelevato in uscita. Grazie alla quantificazione dei campioni risultati positivi alla PCR qualitativa, è stato possibile verificare l’abbattimento della carica virale determinato dall’impianto nell’effluente finale. L’impianto ha determinato un abbattimento medio di adenovirus e di TTV rispettivamente di 2 Log e 1,58 Log. I risultati delle analisi degli indicatori batterici hanno mostrato un abbattimento medio della carica microbica di E. coli ed Enterococchi rispettivamente di 1,74 Log e di 1,99 Log. Per quanto riguarda i colifagi somatici è stato osservato un abbattimento medio di 2,2 Log. Gli indicatori batterici e fagici hanno mostrato una mancanza di correlazione significativa con la presenza di virus, dimostrandosi insufficienti per la valutazione del rischio per le acque che presentano contaminazione virale

    Diagnosi microbiologica di infezione sistemica: metodi a confronto

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    Nel mondo, le infezioni sistemiche costituiscono una rilevante causa di morbilità e mortalità. La tempestività dell’intervento terapeutico, inclusa la somministrazione di antibiotici attivi sull’agente eziologico, risulta decisiva ai fini prognostici. Le linee guida includono, tra le raccomandazioni, la rapida somministrazione di terapia empirica ad ampio spettro, entro un’ora dalla diagnosi. In letteratura, numerosi studi dimostrano che la precoce somministrazione di antibiotici è associata ad una riduzione della mortalità. Tuttavia, una corretta terapia antibiotica empirica, in assenza della diagnosi microbiologica, non è sempre facile da individuarsi e, spesso, contribuisce all’instaurarsi di resistenze e all’aumento dei costi di trattamento. Quindi, una diagnosi microbiologica rapida e accurata è fondamentale per i clinici che devono scegliere se proseguire la terapia empirica instaurata o se modificarla. Generalmente, la diagnosi microbiologica di sepsi si basa su sistemi di classificazione dei sintomi e dei segni clinici, sul dosaggio di biomarker correlati alla sepsi (citochine, proteina C-reattiva e procalcitonina) e sull’identificazione del microrganismo responsabile. Attualmente, il metodo diagnostico di riferimento è l’emocoltura che, sebbene permetta di identificare i microrganismi e di saggiarne la suscettibilità agli antibiotici, presenta diversi limiti e fornisce i risultati non prima di 48 ore. Al fine di ridurre il tempo richiesto per l’identificazione dell’agente patogeno, negli ultimi decenni sono stati proposti diversi test aggiuntivi, che includono tecniche molecolari e tecniche di spettrometria di massa (MALDI-TOF), eseguibili su emocolture positive o su campioni di sangue. Lo scopo di questa tesi è stato quello di valutare e confrontare i diversi metodi disponibili per la diagnosi di infezione sistemica, molecolari e non (SeptiFast, PCR multiplex, ibridazione fluorescente in situ PNA FISH, metodo colturale rapido), saggiati presso il Laboratorio della U. O di Microbiologia Universitaria della Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, e di metterli a confronto con il metodo colturale tradizionale. Da questo studio è emerso che sia il metodo colturale rapido che i metodi molecolari saggiati, in particolare il test SeptiFast e il test FISH, identificano i microrganismi responsabili di infezione sistemica in tempi più rapidi, rispetto al metodo colturale tradizionale. Soltanto il metodo colturale rapido è in grado di fornire contemporaneamente anche il dato relativo alla suscettibilità agli antibiotici, con un anticipo di 12-24 ore. Il numero di marker di resistenza individuabile mediante la PCR multiplex real-time (Magicplex Sepsis Real-Time PCR) è piuttosto limitato. Un’alternativa valida ai convenzionali sistemi di identificazione, sia biochimici che molecolari, è rappresentata dalla spettrometria di massa MALDI-TOF (Matrix-Assisted Laser Desorption/Ionization-Time of Flight), un metodo rapido che necessita di una minima preparazione del campione e utilizza reagenti a basso costo, consentendo risultati accurati in pochi minuti. In conclusione, l’emocoltura rimane il metodo di riferimento per la diagnosi di infezione sistemica, consentendo l’isolamento dell’agente eziologico e di saggiarne la suscettibilità antimicrobica, ma l’associazione con un metodo molecolare o con la spettrometria di massa MALDI-TOF fornisce un valido contributo alla tempestività della diagnosi microbiologica

    Rapid and reliable identification of Gram-negative bacteria and Gram-positive cocci by deposition of bacteria harvested from blood cultures onto the MALDI-TOF plate

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    BACKGROUND: Rapid identification of the causative agent(s) of bloodstream infections using the matrix-assisted laser desorption/ionization time-of-flight (MALDI-TOF) methodology can lead to increased empirical antimicrobial therapy appropriateness. Herein, we aimed at establishing an easier and simpler method, further referred to as the direct method, using bacteria harvested by serum separator tubes from positive blood cultures and placed onto the polished steel target plate for rapid identification by MALDI-TOF. The results by the direct method were compared with those obtained by MALDI-TOF on bacteria isolated on solid media. RESULTS: Identification of Gram-negative bacilli was 100 % concordant using the direct method or MALDI-TOF on isolated bacteria (96 % with score > 2.0). These two methods were 90 % concordant on Gram-positive cocci (32 % with score > 2.0). Identification by the SepsiTyper method of Gram-positive cocci gave concordant results with MALDI-TOF on isolated bacteria in 87 % of cases (37 % with score > 2.0). CONCLUSIONS: The direct method herein developed allows rapid identification (within 30 min) of Gram-negative bacteria and Gram-positive cocci from positive blood cultures and can be used to rapidly report reliable and accurate results, without requiring skilled personnel or the use of expensive kits

    Diagnosis of bloodstream infections by mass spectrometry : present and future

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    Rapid identification and antimicrobial susceptibility testing of the causative agent(s) of bloodstream infections may impact on the clinical outcome of patients, which is directly related to the prompt administration of an effective antimicrobial therapy. Empirical antimicrobial therapy is chosen on the basis of clinical and epidemiological data and it is administered immediately after blood sampling but, in a significant number of cases, it has to be streamlined on the basis of the microbiological report. Rapid identification has a clinically relevant impact on the timely selection of an appropriate antimicrobial therapy, especially in low-prevalence areas for antimicrobial resistance. Recently, the identification process of isolated bacteria has been revolutionized by the introduction of mass spectrometry (MS), particularly MALDI-TOF, in clinical microbiology laboratories. Furthermore, MALDI-TOF is one of the most promising techniques for the identification of bacterial and fungal infectious agents directly from positive blood cultures and a potentially useful tool for the detection of antimicrobial resistance, specifically that conferred by -lactamases. Although blood culture remains, at present, the gold standard to diagnose bloodstream infections, newly developed MALDI-TOF methods are useful adjunctive tests to fasten the diagnostic process and further increase the diagnostic yield

    A new rapid method for direct antimicrobial susceptibility testing of bacteria from positive blood cultures

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    Background: Rapid identification and antimicrobial susceptibility testing (AST) of the causative agent(s) of bloodstream infections can lead to prompt appropriate antimicrobial therapy. To shorten species identification, in this study bacteria were recovered from monomicrobial blood cultures by serum separator tubes and spotted onto the target plate for direct MALDI-TOF MS identification. Proper antibiotics were selected for direct AST based on species identification. In order to obtain rapid AST results, bacteria were recovered from positive blood cultures by two different protocols: by serum separator tubes (further referred to as PR1), or after a short-term subculture in liquid medium (further referred to as PR2). The results were compared with those obtained by the method currently used in our laboratory consisting in identification by MALDI-TOF and AST by Vitek 2 or Sensititre on isolated colonies. Results: The direct MALDI-TOF method concordantly identified with the current method 97.5 % of the Gram-negative bacteria and 96.1 % of the Gram-positive cocci contained in monomicrobial blood cultures. The direct AST by PR1 and PR2 for all isolate/antimicrobial agent combinations was concordant/correct with the current method for 87.8 and 90.5 % of Gram-negative bacteria and for 93.1 and 93.8 % of Gram-positive cocci, respectively. In particular, 100 % categorical agreement was found with levofloxacin for Enterobacteriaceae by both PR1 and PR2, and 99.0 and 100 % categorical agreement was observed with linezolid for Gram-positive cocci by PR1 and PR2, respectively. There was no significant difference in accuracy between PR1 and PR2 for Gram-negative bacteria and Gram-positive cocci. Conclusions: This newly described method seems promising for providing accurate AST results. Most importantly, these results would be available in a few hours from blood culture positivity, which would help clinicians to promptly confirm or streamline an effective antibiotic therapy in patients with bloodstream infections

    The N-Terminus of Human Lactoferrin Displays Anti-biofilm Activity on Candida parapsilosis in Lumen Catheters

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    Candida parapsilosis is a major cause of hospital-acquired infection, often related to parenteral nutrition administered via catheters and hand colonization of health care workers, and its peculiar biofilm formation ability on plastic surfaces. The mortality rate of 30% points to the pressing need for new antifungal drugs. The present study aimed at analyzing the inhibitory activity of the N-terminal lactoferrin-derived peptide, further referred to as hLF 1-11, against biofilms produced by clinical isolates of C. parapsilosis characterized for their biofilm forming ability and fluconazole susceptibility. hLF 1-11 anti-biofilm activity was assessed in terms of reduction of biofilm biomass, metabolic activity, and observation of sessile cell morphology on polystyrene microtiter plates and using an in vitro model of catheter-associated C. parapsilosis biofilm production. Moreover, fluctuation in transcription levels of genes related to cell adhesion, hyphal development and extracellular matrix production upon peptide exposure were evaluated by quantitative real time RT-PCR. The results revealed that hLF 1-11 exhibits an inhibitory effect on biofilm formation by all the C. parapsilosis isolates tested, in a dose-dependent manner, regardless of their fluconazole susceptibility. In addition, hLF 1-11 induced a statistically significant dose-dependent reduction of preformed-biofilm cellular density and metabolic activity at high peptide concentrations only. Interestingly, when assessed in a catheter lumen, hLF 1-11 was able to induce a 2-log reduction of sessile cell viability at both the peptide concentrations used in RPMI diluted in NaPB. A more pronounced anti-biofilm effect was observed (3.5-log reduction) when a 10% glucose solution was used as experimental condition on both early and preformed C. parapsilosis biofilm. Quantitative real time RT-PCR experiments confirmed that hLF 1-11 down-regulates key biofilm related genes. The overall findings suggest hLF 1-11 as a promising candidate for the prevention of C. parapsilosis biofilm formation and to treatment of mature catheter-related C. parapsilosis biofilm formation

    348 Uric acid is associated with acute heart failure and cardiogenic shock at presentation in acute coronary syndrome patients

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    Abstract Aims we focused on the role of Uric Acid (UA) as a possible determinant of Heart Failure (HF) related issues in Acute Coronary Syndromes (ACS) patients. Main outcome were acute HF and cardiogenic shock at admission, secondary outcomes were the need of Non Invasive Ventilation (NIV) use and the admission Left Ventricular Ejection Fraction (LVEF). Methods and results we consecutively enrolled 1269 ACS patients admitted to the cardiological Intensive Care Unit of the Niguarda and San Paolo hospitals (Milan, Italy) from June 2016 to June 2019. Hyperuricaemia was defined as a value higher than 6 mg/dl for females and 7 mg/dl for males. All the evaluated outcomes occurred more frequently in the hyperuricemic subjects (n = 292): acute HF 35.8 vs. 11.1% (P < 0.0001), cardiogenic shock 10 vs. 3.1% (P < 0.0001), NIV 24.1 vs. 5.1% (P < 0.0001) with lower admission LVEF (42.9 ± 12.8 vs. 49.6 ± 9.9, P < 0.0001). By multivariable analyses, UA was confirmed to be significantly associated with all the outcomes with the following odds ratio (OR): acute HF OR = 1.119; 95% CI: 1.019–1.229; cardiogenic shock OR = 1.157; 95% CI: 1.001–1.337; NIV use OR = 1.208; 95% CI: 1.078–1.354; LVEF β = −0.999; 95% CI: −1.413 to − 0.586. Conclusions The main result of our study was the finding of a significant association between UA and acute HF, cardiogenic shock, NIV use and LVEF. Due to the cross-sectional nature of our study no definite answer on the direction of these relationship can be drawn and further longitudinal study on UA changes over time during an ACS hospitalization are needed

    Pulmonary Artery Catheter Monitoring in Patients with Cardiogenic Shock: Time for a Reappraisal?

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    Cardiogenic shock represents one of the most dramatic scenarios to deal with in intensive cardiology care and is burdened by substantial short-term mortality. An integrated approach, including timely diagnosis and phenotyping, along with a well-established shock team and management protocol, may improve survival. The use of the Swan-Ganz catheter could play a pivotal role in various phases of cardiogenic shock management, encompassing diagnosis and haemodynamic characterisation to treatment selection, titration and weaning. Moreover, it is essential in the evaluation of patients who might be candidates for long-term heart-replacement strategies. This review provides a historical background on the use of the Swan-Ganz catheter in the intensive care unit and an analysis of the available evidence in terms of potential prognostic implications in this setting
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