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    Occurrence and Effects on Weaning From Mechanical Ventilation of Intensive Care Unit Acquired and Diaphragm Weakness: A Pilot Study

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    PurposeLimb intensive care unit (ICU)-acquired weakness (ICUAW) and ICU acquired diaphragm weakness (DW) occur frequently in mechanically ventilated (MV) patients; their coexistence in cooperative and uncooperative patients is unknown. This study was designed to (1) describe the co-occurrence of the two conditions (2) evaluate the impact of ICUAW and DW on the ventilator-free days (VFDs) at 28 days and weaning success, and (3) assess the correlation between maximal inspiratory pressure (MIP) and thickening fraction (TFdi) in patients with DW.MethodsThis prospective pilot study was conducted in a single-center on 73 critically ill MV patients. Muscle weakness was defined as a Medical Research Council score < 48 in cooperative patients or a bilateral mean simplified peroneal nerve test < 5.26 mV in uncooperative patients. Diaphragm dysfunction was defined as MIP < 30 cm H2O or as a TFdi < 29%. Weaning success was defined according to weaning according to a new definition (WIND).ResultsFifty-seven patients (78%) had ICUAW and 59 (81%) had DW. The coexistence of the two conditions occurred in 48 patients (65%), without association (χ2 = 1.06, p = 0.304). In the adjusted analysis, ICUAW was independently related to VFDs at 28-days (estimate difference 6 days, p = 0.016), and WIND (OR of 3.62 for having WIND different than short weaning), whereas DW was not. The linear mixed model showed a significant but weak correlation between MIP and TFdi (p < 0.001).ConclusionThis pilot study is the first to explore the coexistence of ICUAW and DW in both cooperative and uncooperative patients; a lack of association was found between DW and ICUAW when considering both cooperative and uncooperative patients. We found a strong correlation between ICUAW but not DW with the VFDs at 28 days and weaning success. A future larger study is warranted in order to confirm our results, and should also investigate the use of transdiaphragmatic twitch pressure measurement during bilateral anterior magnetic phrenic nerve stimulation for the diagnosis of DW

    Il ruolo dell'esperienza e dell'educazione estetica nella pedagogia fenomenologica: prospettive di ricerca per educare alla complessità.

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    Il presente lavoro di tesi si propone di indagare il possibile contributo che un’educazione che possa dirsi estetica, incentrata su una concezione dell’esperienza estetica fenomenologicamente orientata, può offrire sia alla pedagogia fenomenologica sia all’educazione tout court nell’era della complessità.\ud Per la realizzazione del progetto di ricerca sono stati impiegati metodi di natura qualitativa. Nello specifico, le metodologie utilizzate inizialmente al fine di vagliare la letteratura scientifica esistente in materia sono di tipo euristico-ermeneutico. In particolare, tramite esse si è indagata l’eventualità del rapporto tra pedagogia ed estetica, a muovere dal concetto di esperienza, individuando così punti di contatto e reciproco arricchimento tra la teoria dell’arte e la teoria dell’educazione utili ad illustrare e legittimare alcune dimensioni d'interazione che facilitano il divenire educativo nell'età della complessità. Una volta fondate le basi dal punto di vista epistemologico, usufruendo di fonti relative a studi prevalentemente estetici e filosofici, oltre che pedagogici, perlopiù ad indirizzo fenomenologico, la ricerca si è addentrata con una crescente gradualità, per mezzo di metodologie critico-argomentative, nell’ambito più strettamente educativo, perimetrando più da vicino i confini della didattica estetica laboratoriale, analizzata mediante i classici criteri di critica pedagogica. \ud In questo senso, dopo aver analizzato il concetto di esperienza estetica “a partire da J. Dewey”, l’enfasi posta sulle reazioni organiche in sede di fruizione estetica ha consentito un collegamento con il ruolo del corpo in educazione. Tali aspetti sono stati confermati da alcuni studi di natura fisiologica sull’esperienza estetica, chiamando in causa lo stesso F. Schiller, che sin dallo scritto Grazia e Dignità era interessato alla retorica e al potere espressivo del corpo.\ud Sul valore del linguaggio estetico come linguaggio pedagogico, e dunque sui concetti di esempio e di testimonianza offerti dal corpo dell’educatore si è soffermato P. Bertolini, ma lo stesso interesse si ritrova anche in alcune ricerche che hanno tentato di interpretare in un’ottica decostruzionista il pensiero di I. Kant e Schiller. Così si è potuto delineare un concetto di educazione estetica che consiste nella possibilità per l’educando di sviluppare la propria autonomia di giudizio, seguendo il modello riflessivo offerto dall’insegnante, che entra in scena con tutta la propria corporeità, e soprattutto con la forza retorica della voce, sfruttando una sorta di empatia per così dire asimmetrica, dissonante e dunque “ironica”. Si parla, quindi, di “voci del corpo” e la corporeità costituisce la “dimensione estetica della paideia”, con la possibilità di applicare in sede didattica una metodologia narrativa che si serve di biografie e di autobiografie. Inoltre, considerando l’epoché dal punto di vista pedagogico come un processo di autochiarificazione verso i propri vissuti, si è dimostrato come la metodologia narrativa possa coniugare fenomenologia e pedagogia dal lato dell’educazione estetica, in quanto è la stessa dimensione estetica dell’esperienza ad avere un’essenza narrativa. Concentrare l’educazione estetica sull’impatto visivo dell’insegnante ha consentito di introdurre la tematica dei neuroni specchio, che tramite la neuroestetica si riallaccia persino ai recenti studi sulla didattica. \ud La stretta somiglianza tra vedere estetico e vedere fenomenologico permette di considerare l’epoché uno sguardo che educa, e del resto è la stessa età della complessità ad essere stata definita l’età della visibilità, di cui l’arte contemporanea sembra offrirne una valida rappresentazione, poiché utilizza le moderne tecnologie e, a partire dalle avanguardie, si è concentrata sugli idoli della società consumistica, mettendo in scena la progressiva standardizzazione della società. L’educazione estetica consiste, allora, nel far comprendere quanto del proprio giudizio sia autentico oppure indotto dalle mode, rafforzando negli educandi quel “sé selettivo forte”, come lo definisce A. Nanni, che sembra possa essere educato proprio “lavorando” nell’area relazionale come sostiene E. Fraunfelder. Non a caso l’estetica relazionale di N. Bourriaud parla, infatti, della capacità dell’arte contemporanea di creare delle zone di prossimità, di far in modo che lo spettatore completi l’opera d’arte partecipandone attivamente con tutta la propria corporeità, realizzando nella pratica il concetto deweyano di “arte come esperienza”. \ud Non solo “tutte le arti tendono alla performance”, ma oggi si parla anche di didattica come di una “tecnologia della performance” o “tecnologia dello sguardo”, sfruttando le ricerche sull’enazione e sul costruttivismo. Interessante allora parlare con Damiano di una “didattica seduttiva”, proprio nell’età della seduzione, come direbbe J. Baudrillard, o del disincanto, come l’ha definita F. Cambi, in cui a seguito delle tecnologie multimediali, il soggetto sembra subire una progressiva perdita di esperienza, un fenomeno a cui si sta assistendo anche in ambito didattico, dove quella che può essere definita una democrazia dell’informazione, rischia di annullare la distanza esperienziale tra maestro e allievo. Se a proposito di mimesi si era parlato di esemplarità, sembra quanto mai utile riflettere su una didattica che si avvalga proprio della dimensione affettiva nascosta nel corpo del docente, colui che, attraverso la mediazione, dovrebbe costruire la conoscenza dell’allievo ed essere solo a quel punto definito un “maestro”, mantenendo così la propria autorità anche in contesti didattici che privilegiano l’autonomia e il ruolo attivo dell’educando. Quel pathos-estetico che sembra oggi costruire comunità effimere, come sostiene Z. Bauman, potrebbe allora essere sfruttato in ambito didattico proprio dall’insegnante per infondere valori eticamente validi, favorendo così il passaggio dall’idolo all’icona, perché mentre l’idolo cattura lo sguardo, l’icona permette di accentuarne il potere di trascendenza. \ud L’Art education può, allora, costituire un valido alleato della Media education, sperimentabile proprio attraverso un’impostazione di natura ermeneutica da applicare persino alle moderne tecnologie, nell’ambito del contesto laboratoriale, dove, però, il docente, attraverso il proprio stile educativo, come sostiene R. Albarea, e dunque con il potere educativo della mimesi, dovrebbe far sì che la formazione possa ancora definirsi tale, e non ridursi alla mera informazione.\u

    Il 'lavoro' pedagogico della forma. Uno studio preliminare

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    This paper intends to demonstrate that artistic form can carry out a true educational action, in the lifelong learning point of view, coherently with the foucaultian concept of cura sui. Style is always the result of a dialectic conflict between universality and singularity, showing the constance despite change. To dialogue with the forms offered by tradition allows the subject to participate of culture and to use new expressive modalities. That is the pedagogical power of art therapy (or dance and music therapy too) which, especially in the immaterial era, allows to recover the matter virtual power, because able of infinite metamorphosis. Even in organizational contexts, a formation which we can define humanistic, based on narrative methodologies and artistic performance, is a vehicle of transformation and change, in the foucaultian esthetics of existence perspective, allowing to avoid bio-political traps.Il presente articolo vuole dimostrare come la forma artistica possa svolgere una vera e propria azione educativa, nell’ottica della formazione lifelong, coerentemente con il concetto foucaultiano di cura sui. Lo stile è sempre il risultato di uno scontro dialettico tra universalità e singolarità, mostrando la costanza nonostante il cambiamento. Dialogare con le forme offerte dalla tradizione consente al soggetto di partecipare al mondo della cultura e di avvalersi di inedite modalità espressive. Ecco dunque la valenza pedagogia dell’arte-terapia (o anche della danza e musico-terapia) che, specialmente nell’era dell’immateriale, permette di recuperare il potere virtuale della materia, in quanto capace di infinite metamorfosi. Anche nei contesti organizzativi, una formazione che possa definirsi umanistica, basata su metodologie narrative e performance artistiche, si fa veicolo di trasformazione e cambiamento, nella prospettiva foucaultiana di estetica dell’esistenza, permettendo di sfuggire alle trappole “bio-politiche”

    Time matter(s): Invention and re-imagination in built conservation: The unfinished drawing and building of St. Peter’s, the Vatican

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    Even though the idea of altering an existing building is presently a well established practice within the context of adaptive reuse, when the building in question is a ‘mnemonic building’, of recognized heritage value, alterations are viewed with suspicion, even when change is a recognized necessity. This book fills in a blind spot in current architectural theory and practice, looking into a notion of conservation as a form of invention and imagination, offering the reader a counter-viewpoint to a predominant western understanding that preservation should be a ‘still shot’ from the past. Through a micro-historical study of a Renaissance concept of restoration, a theoretical framework to question the issue of conservation as a creative endeavor arises. It focuses on Tiberio Alfarano’s 1571 ichnography of St. Peter’s Basilica in the Vatican, into which a complex body of religious, political, architectural and cultural elements is woven. By merging past and present temple’s plans, he created a track-drawing questioning the design pursued after Michelangelo’s death (1564), opening the gaze towards other possible future imaginings. This book uncovers how the drawing was acted on by Carlo Maderno (1556-1629), who literally used it as physical substratum to for new design proposals, completing the renewal of the temple in 1626. Proposing a hybrid architectural-conservation approach, this study shows how these two practices can be merged in contemporary renovation. By creating hybrid drawings, the retrospective and prospective gaze of built conservation forms a continuous and contiguous reality, where a pre-existent condition engages with future design rejoining multiple temporalities within continuity of identity. This study might provide a paradigmatic and timely model to retune contemporary archit

    Time matters: Invention and (Re)Imagination in Conservation : Invention and Re-Imagination in Built Conservation

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    Even though the idea of altering an existing building is presently a well established practice within the context of adaptive reuse, when the building in question is a 'mnemonic building', of recognized heritage value, alterations are viewed with suspicion, even when change is a recognized necessity. This book fills in a blind spot in current architectural theory and practice, looking into a notion of conservation as a form of invention and imagination, offering the reader a counter-viewpoint to a predominant western understanding that preservation should be a 'still shot' from the past. Through a micro-historical study of a Renaissance concept of restoration, a theoretical framework to question the issue of conservation as a creative endeavor arises. It focuses on Tiberio Alfarano's 1571 ichnography of St. Peter's Basilica in the Vatican, into which a complex body of religious, political, architectural and cultural elements is woven. By merging past and present temple's plans, he created a track-drawing questioning the design pursued after Michelangelo’s death (1564), opening the gaze towards other possible future imaginings. This book uncovers how the drawing was acted on by Carlo Maderno (1556-1629), who literally used it as physical substratum to for new design proposals, completing the renewal of the temple in 1626. Proposing a hybrid architectural-conservation approach, this study shows how these two practices can be merged in contemporary renovation. By creating hybrid drawings, the retrospective and prospective gaze of built conservation forms a continuous and contiguous reality, where a pre-existent con

    Translations and dislocations of architectural media at the Fabric of St Peter's, the Vatican

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    Time matter(s): Invention and re-imagination in built conservation: The unfinished drawing and building of St. Peter's, the Vatican

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    This book fills in a blind spot in current architectural theory and practice, looking into a notion of conservation as a form of invention and imagination, offering the reader a counter-viewpoint to a predominant western understanding that preservation should be a 'still shot' from the past. Through a micro-historical study of a Renaissance concept of restoration, this book provides a theoretical framework to question the issue of conservation as a possible creative endeavour, when a mnemic building is concerned, entailing conservation of memory within changes. It focuses on Tiberio Alfarano's 1571 ichnography of St. Peter's Basilica in the Vatican, into which was woven a complex body of religious, political, architectural and cultural elements

    Galileo’s limit: Mechanical sciences’ technologies of sight and the translation of analogical representations into diagrammatic illustrations

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    The historical study of graphic notations and representations related to the mechanical sciences during the sixteenth to seventeenth centuries shows the development of new technologies of vision that evolved out of merging physiological knowledge and Galilean mechanics. The visual language associated with a newly interpreted Vitruvian firmitas is nurtured by Renaissance humanistic culture with a new impulse offered by anatomical studies. A study of the evolution of the provisional frames used in the narrative development of the firmitas in the sixteenth to seventeenth centuries is essential in understanding the translations taking place from anthropomorphic architecture to mechanical engineering
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