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    Il monitoraggio immunologico nella sepsi

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    La sepsi rappresenta il principale problema sanitario a livello mondiale: nel 2012 è stata calcolata una prevalenza di più di 20 milioni di pazienti a livello mondiale, con una mortalità delle forme più gravi (sepsi severa e shock settico) stimata intorno al 30% in Europa e negli Stati Uniti. Sebbene i processi pro- ed anti-infiammatorio siano innescati contemporaneamente dall’insulto settico, generalmente si assiste ad una predominanza iniziale della fase iperinfiammatoria (SIRS), sulla quale i nuovi approcci terapeutici hanno avuto un impatto importante. Il successivo shift verso una risposta prevalentemente anti-infiammatoria (CARS) provoca uno stato netto di immunosoppressione, che riduce sensibilmente la capacità del paziente di eradicare l’infezione e predispone ad infezioni secondarie, nonostante l’utilizzo di terapie antibiotiche specifiche ed appropriati protocolli di prevenzione. L’osservazione che più del 70% delle morti per sepsi si osserva dopo i primi 3 giorni dall’onset, e molte di esse avvengono dopo settimane, permette di comprendere l’importanza di questo shift verso l’immunoparalisi. Infatti l’intensità e la durata delle disfunzioni immunitarie indotte dalla sepsi sono state associate con aumentato rischio di eventi sfavorevoli (aumento della mortalità o infezioni secondarie acquisite in UTI). Il ruolo dell’immunoparalisi nella fisiopatologia della sepsi e nel determinare la mortalità dei pazienti affetti da sepsi severa e shock settico costituisce il razionale per l’inizio di trials che testino farmaci immunostimolanti. Lo studio nasce con l’obiettivo di documentare le alterazioni del sistema immunitario presenti in corso di sepsi severa e shock settico attraverso il monitoraggio nel tempo di alcuni parametri immunologici. Nello studio sono stati considerati diversi parametri immunologici per valutare alcune delle alterazioni dell’immunità sia innata che adattativa che si verificano in corso di sepsi severa e di shock settico. Sono stati valutati più biomarkers per fornire un quadro dello stato immunitario dei pazienti che fosse il più completo possibile, considerando le complesse interazioni tra le diverse componenti del sistema immunitario. In particolare nei pazienti ricoverati in UTI con diagnosi di sepsi severa/shock settico, attraverso prelievi ematici, sono stati monitorati l’espressione di CD64 sui neutrofili, l’espressione di HLA-DR sui monociti, la conta dei linfociti T e delle relative sottopopolazioni (CD4+, CD8+, NK, Tregolatori) e l’espressione del recettore per IL7(CD127) sui linfociti TCD4+ e CD8+, la conta dei linfociti B totali e della sottopopolazione CD19+CD23+, i livelli di Ig plasmatiche (in particolare IgM, IgA, IgG) ed i livelli di alcune citochine circolanti (IL10, TNFa, IFNg). I prelievi sono stati effettuati, per ogni paziente, in tre diversi tempi (entro 12 ore dall’ammissione in UTI, al terzo-quarto giorno ed al settimo-ottavo di degenza) per valutare l’andamento nel tempo dei diversi parametri. Lo studio dei suddetti parametri è stato associato a quello di marcatori utilizzati routinariamente in UTI, quali il dosaggio ematico di procalcitonina, proteina C reattiva, lattati ematici, ed al calcolo degli scores clinici SOFA e SAPS II. Infine si è cercato di stabilire una correlazione tra le alterazioni immunitarie riscontrate e l’outcome dei pazienti, valutando la durata della degenza in terapia intensiva e il tasso di mortalità durante il monitoraggio e a 28 giorni. Dall’osservazione del nostro campione si riscontra uno stato di immunosoppressione precoce nel decorso della malattia, in corrispondenza con l’insorgenza dello shock settico. L’analisi complessiva dei profili immunologici specifici evidenzia lo stato di immunoparalisi, che caratterizza i pazienti con shock settico e che può non esser rilevato dagli indicatori classici del sistema immunitario. Infatti, analizzando i parametri standard si assiste ad una disomogeneità dei valori spesso forviante per la valutazione della competenza immunitaria di questi pazienti. Dallo studio condotto emerge chiaramente come i marcatori immunologici possano rilevarsi utili sia per la diagnosi dell’immunodepressione, presente nei pazienti con shock settico, sia come indicatori prognostici. Ovviamente essendo lo studio basato su una popolazione di pochi pazienti i dati riscontrati richiedono conferme in un campione più ampio. Inserire tale “immunomonitoraggio” nella pratica clinica potrebbe rivelarsi utile per stratificare il rischio dei pazienti settici, individuando sottogruppi di pazienti ad alto rischio di mortalità o di infezioni nosocomiali, e per identificare con maggiore precisione la fase immunosoppressiva della sepsi e quindi selezionare i pazienti che potrebbero ricevere maggior beneficio dai trattamenti immunostimolanti

    Misurazione diretta della pressione pleurica nei pazienti pediatrici con cardiopatia congenita. FattibilitĂ  della tecnica e possibili applicazioni cliniche

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    Nell’ambito cardiochirurgico l’interazione cuore-polmone riveste un’importante rilevanza fisiopatologica. Tuttavia, la misura della pressione pleurica, parte fondamentale di questa interazione, non rientra nella routine clinica. La misura diretta della pressione pleurica nei pazienti pediatrici sottoposti a cardiochirurgia può rappresentare un utile dato nella complessa gestione cardiorespiratoria di questi pazienti. Nei pazienti ventilati meccanicamente, la misura della pressione pleurica fornisce informazioni importanti riguardanti le pressioni di ventilazione applicate e quindi la meccanica respiratoria. La sua misura diretta, però, risulta troppo invasiva. Come surrogato stata utilizzata la pressione esofagea, misurata attraverso un pallone esofageo. Questa tecnica è stata ampiamente descritta in letteratura. Tuttavia la pressione esofagea rimane un surrogato della pressione pleurica e presenta dei limiti. Inoltre in ambito pediatrico i palloni esofagei disponibili sul mercato non hanno ottenuto grande diffusione. L’ obiettivo primario dello studio è verificare la fattibilità dell’utilizzo del drenaggio toracico come tecnica di misura diretta della pressione pleurica e la riproducibilità di questo metodo

    Regional citrate-calcium anticoagulation during polymyxin-B hemoperfusion: A case series

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    Introduction: So far, only heparin-based anticoagulation has been proposed during polymyxin-B hemoperfusion. However, postsurgical septic patients can be at high risk of bleeding due to either surgical complications or septic coagulation derangement. Consequently, heparin should not represent in some cases the anticoagulation regimen of choice in this type of patients. Methods and results: We present a case series of four postsurgical septic patients treated with polymyxin-B hemoperfusion using regional citrate anticoagulation. All the treatments were performed without complications. During each treatment, there were no episodes of filter clotting, no bleeding, and no metabolic complications for any of the patients. Conclusion: To our knowledge, this is the second published report on the use of citrate anticoagulation during polymyxin-B hemoperfusion. Our case series continued to show that regional citrate anticoagulation regimen is feasible and safe during polymyxin-B hemoperfusion treatment in postsurgical septic patients
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