49 research outputs found

    Tremiti, Vieste, Bisceglie, Molfetta, Irsina, Tricarico, Ferrandina, Tursi, Valsinni, Atella, Brienza, Rivello, Maratea

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    I capitoli di questo volume dedicati ad alcuni dei principali centri della Puglia e della Basilicata si snodano attraverso un percorso che diacronico teso ad evidenziare da un punto di vista storico-artistico il patrimonio di queste piccole realtà, a partire dalla loro fondazione fino al XIX secolo

    Storia di un edificio della Puglia storica. La chiesa di Santa Maria la Nova a Matera

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    La chiesa di Santa Maria la Nova, fondata intorno al XIII secolo, fu la prima costruzione extra moenia a sorgere sul pianoro dei Sasso Barisano, lungo la direttrice che metteva in comunicazione la città con i vicini nuclei urbani pugliesi. Oggi intitolato a San Giovanni, l’edificio è noto agli studi per essere, insieme alla coeva cattedrale, una delle poche testimonianze dell’architettura medievale sub divo materana. La fabbrica presenta a livello di forme architettoniche linguaggi profondamente diversi, soprattutto tra l’involucro esterno, compatto, ritmato da arcate cieche su paraste con un ricco apparato scultoreo che si distribuisce su portali e finestre e lo spazio interno, arioso impianto basilicale con colonne , coperto a capriate con cupola all’incrocio. La sua fama si deve al leggendario e intricato arrivo a Matera, nel 1231, di un gruppo di monache Penitenti provenienti da Accon in Palestina. Il contributo in esame si inserisce in un volume monografico pubblicato nella collana di studi “Vita regularis. Ordnungen und Deutungen religiosen Lebens im Mittelalter” fondata da Gert Melville, dedicato interamente allo studio della chiesa materana attraverso le testimonianze documentarie, storiche, archeologiche ed artistiche. Lo scopo è stato quello di indagare la facies medievale della fabbrica, in una prospettiva che includesse il rapporto con l'Oriente, terra di provenienza del primo nucleo di religiose, e il contesto pugliese, al cui interno Matera si collocava. A tal fine è stato necessario ricostruire le vicende storiche e storiografiche della chiesa a partire dalla sua fondazione fino ai restauri ed alle indagini archeologiche del secolo scorso, ricerche solo parzialmente edite; analizzare e distinguere le varie trasformazioni avvenute nel corso dei secoli sia per quanto riguarda l'assetto architettonico che per la decorazione scultorea; operare una lettura che tenesse conto degli elementi strutturali e della scultura architettonica, dei differenti modelli, delle concezioni dello spazio architettonico e dell’uso degli spazi liturgici; descrivere ed analizzare nel dettaglio l’ornamentazione . Gli studi condotti fino ad oggi sul monumento hanno indagato quasi esclusivamente l’apparato scultoreo della chiesa, legandolo ad una generica matrice orientale di forme e modelli rielaborati nel contesto della cultura della Terra d’Otranto, mentre sul versante dell’architettura è stato posto l’accento su influenze derivate dall’architettura borgognona, da quella siciliana, abruzzese e pugliese, senza discostarsi di molto dalla lettura che già il Bertaux aveva fatto dell’edificio nel 1903. Il risultato raggiunto dalla ricerca è stato, sul versante dell’architettura, quello di una nuova lettura dell’edificio che ha individuato l’esistenza di due cantieri che, in relazione alle esigenze della committenza, si sono succeduti nel giro di pochi decenni operando separatamente sul corpo della navata e nella zona del transetto, con il risultato della di una sorta di doppia polarità dello spazio in funzione, da un lato, delle adiacenti fabbriche monastiche e dall’altro della città, attraverso la monumentalizzazione di quelle parti dell’edificio rivolte verso la civita materana. Tale lettura spiega anche la distribuzione degli spazi superiori dell’edificio, interamente percorribile tramite scale e ballatoi che mettono in comunicazione l’interno dell’edificio con l’esterno. L’analisi dei documenti ha consentito di precisare meglio la cronologia della chiesa e di individuare nella figura del procuratore dell’ordine materano, Melo Spano, colui che fu investito del compito di seguire ed amministrare il secondo cantiere della chiesa . Sono stati analizzati anche i materiali utilizzati nella costruzione dell’edificio ed il modo con il quale sono stati messi in opera: in relazione agli altri coevi cantieri materani di ambito rupestre, tale indagine ha portato ad avanzare l’ipotesi di un intervento in Santa Maria la Nova di maestranze formatesi nell’ambito dell’architettura ‘scavata’. Il loro intervento giustifica l’estrema libertà formale, ricca di ingenuità ed approssimazioni, che caratterizza i pilastri della chiesa e che è tipica delle soluzioni sperimentate nell’architettura rupestre. Sul versante della decorazione scultorea sono state individuate le diverse botteghe all’opera nella chiesa, alcune che mostrano una cultura artistica di forte ascendenza orientale ( chiesa di Sant’Anna, complesso di Haram al Sharif, edicola dell’Ascensione a Gerusalemme), altre legate al cantiere della cattedrale, a tradizioni nutrite di modelli antichi (soprattutto per alcune lastre reimpiegate della SS. Trinità di Venosa) nonché alle correnti scultoree che si sviluppano nella Terra d’Otranto (con particolare attenzione all’assimilazione di modelli legati alla committenza tancrediana)

    Gli affreschi di Angelo Solimena nella 'cappella delle donne'della chiesa del SS. Salvatore di Calvanico

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    Il contributo in esame prende in considerazione un ciclo di affreschi eseguiti da Angelo Solimena per una cappella della chiesa del SS. Salvatore di Calvanico, paese campano conosciuto per la presenza del santuario micaelico di San Michele in Cima. Viene ricostruita la storia della chiesa nel contesto insediato del territorio, identificando le diverse fasi costruttive dell’edificio e le possibili committenze per passare all'analisi della decorazione della volta del cappellone della Madonna del Rosario, costruita come prolungamento del braccio destro del transetto, dove il pittore Angelo Solimena, padre del più celebre Francesco, interviene nel 1669. L’artista realizza un complesso programma iconografico incentrato sull’esaltazione del ruolo della Vergine nella storia della salvezza attraverso episodi della sua vita accompagnati da una serie di iscrizioni tratte dalle Laudi e dall’Antico Testamento che sottolineano il ruolo di Maria come madre di Cristo. Ai lati delle singole scene otto figure di sante martiri, che incarnano le virtù di Maria, celebrano la Vergine quale regina martirum. Delle figure delle sante sono identificate iconografia e fonti agiografiche, ispirate agli antichi Martirologi che riletti e riportati in auge tra XVI e XVII secolo (è del 1586 l’edizione commentata del Martyrologium romanum del Baronio) riflettono il principio teologico generatore della storia tipico del pensiero riformista. L’ultima parte del contributo si rivolge ad analizzare le fonti pittoriche ed i modelli culturali del pittore, che traduce nelle sue opere aspetti devozionali improntati ad un profondo rigorismo morale. Allievo del celebre pittore solofrano Francesco Guarino, Angelo Solimena rappresenta, nell’ambito del naturalismo seicentesco meridionale, un autentico interprete delle istanze affermatesi nella capitale partenopea nella prima metà del secolo e rivisitate a partire dalla fine degli anni ’60 alla luce delle esperienze di schietta matrice classicista. Nel ciclo di Calvanico Solimena sperimenta per la prima volta la tecnica dell’affresco: da questa esperienza è probabile che il pittore si sia affermato anche come frescante, impegnandosi successivamente nelle più importanti imprese di Salerno, di Nocera e di Sarni. Il pittore era dotato, secondo quanto narrano fonti a lui contemporanee, anche di una certa cultura letteraria, che gli consentiva di frequentare accademie letterarie come quella dei Famelici di Gravina (mentre era impegnato nell’impresa della cappella del Purgatorio),dove probabilmente conobbe il duca di Gravina, Vincenzo Maria Orsini, del ramo di Solofra, futuro papa Benedetto XIII, legandosi ai circoli culturali promossi dagli Orsini e soprattutto all’erudito Pompeo Sarnelli il più autentico e fedele interprete del pensiero dell’Orsini, ed autore, tra l’altro, di uno sterminato epistolario dal titolo Lettere ecclesistiche, tra cui figura anche una lettera al Solimena stesso. Attraverso l’analisi di questi testi può affermarsi che a Calvanico Solimena traduce in immagini il pensiero riformatore dell’Orsini, che già da lungo tempo aveva avuto modo di conoscere e di approfondire

    Le applicazioni scultoree del Mausoleo di Boemondo a Canosa

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    I capitelli che decorano il mausoleo di Boemondo a Canosa non sono mai stati oggetto di una sistematica e puntuale analisi, se non per quanto riguarda il consapevole recupero di componenti antiche, di ispirazione romana e bizantina (Patrizio Pensabene), o l'affiorare di elementi attribuibili alla prima scultura di età normanna (Valentino Pace), al contrario dell'architettura del piccolo tempio marmoreo e della problematica porta bronzea che ne chiude l'accesso. In questo contributo è preso in considerazione l'intero corredo scultoreo, tanto esterno quanto interno, allo scopo di identificare maestranze e modelli , analizzare i materiali di reimpiego e puntualizzare i dati cronologici. Il quadro che emerge mostra quanto il medium della scultura, in conseguenza dei nuovi assetti istituzionali derivati dalla Conquista, registra l'immissione di forme plastiche nuove difficilmente spiegabili escludendo le regioni d'origine dei Normanni che andarono ad innestarsi su un persistente substrato di cultura classica, tardoantica e longobarda. Una parte della ricerca si è anche orientata ad analizzare la documentazione relativa ai restauri del secolo scorso, in parte inedita, utile per valutare la decorazione scultore del cupolino , distinguendo gli elementi frutto di restauro

    Secundum regulam Beati Augustini: storia delle domenicane di Barletta (secc. XIII-XV)

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    The essay investigate the history of the first Dominican community in the city of Barletta between the end of the 13th and the 15th centuries. Through the study of edited sources emerges the life of a female community able to relate to the city’s reality through a political cowardship of relationships with the urban patriziate and a careful acquisition and management strategy of goods. On the artistic level, the evidences conserved, in particular a cycle of late-gotich frescoes show in the choice of iconographic themes and in the adoption of models a culmination of the Paladina de Riso belonging to one of the most visible families of nobility of Barletta

    IL PASTORALE D'AVORIO

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    L’unica testimonianza superstite della scultura trecentesca dell’edificio è costituita da un pregevole pastorale in avorio conservato al Museo del Bargello di Firenze, dove pervenne in seguito alla vendita, nel 1880, per eseguire alcuni lavori di restauro della chiesa riguardanti la navata centrale dell’edificio. Di quest’opera è attentamente ricostruita la storia antiquaria, l’iconografia e l’ambiente artistico-culturale in cui fu realizzata. Il pastorale fa parte di un gruppo di avori italiani eseguiti in una stessa bottega, probabilmente veneziana, nel XIV secolo. Di questo gruppo fanno parte due pastorali provenienti da Volterra, conservati nel Victoria and Albert Museum di Londra e nell’abbazia di San Giusto. I caratteri stilistici di queste opere si riallacciano alla fiorente attività delle botteghe veneziane del XIV secolo, di cui rimangono numerose testimonianze, e contribuiscono a chiarire ulteriormente i problemi legati alla produzione italiana di avori ed a spiegare anche il successo ottenuto, di lì a poco dalla bottega degli Embriachi

    Storia di un insediamento monastico femminile: le domenicane in Santa Lucia a Barletta

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    This essay aims to investigate the story of the first community of Dominican nuns through the remaining artistic evidence in the city of Barletta between the end of the XIII and XV centuries. This settlement appears to be the second to formally get into the Dominican Order in Southern Italy after that of St. Anna in Nocera. The holy building shows many signs of a medieval story. These include an interesting cycle of Late Gothic frescoes, revealing a culturedpatronage dating back to the abbess Paladina de Riso, belonging to one of the most prominent noble familiesof Barletta and in contact with the papal court and with other monastic settlements in the territory

    Note sul Colosso di Barletta

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    Nella città di Barletta esiste una statua colossale in bronzo, raffigurante un imperatore bizantino conosciuto come Eraclio . Nonostante l’eccezionalità del manufatto – unico bronzo tardoantico ancora esposto all’aperto - negli ultimi anni non si sono registrati significativi interventi critici, a causa di una sorta di impasse della ricerca dovuta alle troppe ipotesi messe in campo circa la sua identità e il suo arrivo nella cittadina pugliese. Su questa ‘seconda vita’ del Colosso si incentra il presente contributo, che ripercorre le fonti documentarie, letterarie e figurative delle complesse vicende della statua, dei suoi spostamenti e della collocazione dinanzi alla chiesa del Santo Sepolcro. L’inserimento con funzione di arredo urbano del colosso identificato come l’imperatore Eraclio (610 641), ovvero colui che aveva riconquistato ai Persiani il sacro legno della croce restituendolo alla chiesa di Gerusalemme trova la sua motivazione nel rapporto ‘intimo’ che l’opera stabilisce con l’edificio dinanzi al quale è collocata, simbolo degli intensi rapporti che legarono la città costiera all’Outremer crociato. La ripresa del culto della croce e della ‘nuova’ propaganda contro l’avanzata dei Turchi Ottomani sui Balcani e la minaccia, concretizzatasi nel 1453, di giungere a Costantinopoli sono tra le motivazioni di tale trasferimento. La ricostruzione di queste vicende sono anche l’occasione per presentare alcune inedite raffigurazioni del Colosso a partire del XVII secolo

    Federico dopo Federico. La committenza manfrediana e alcune note sul busto di Barletta

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    Nonostante il considerevole numero di studi promossi in occasione dell’ VIII centenario della nascita di Federico II, solo marginalmente è stato affrontato il problema della committenza dei suoi diretti discendenti, in particolare di Manfredi che fu per sedici anni (1250-1266) protagonista della vita politica e culturale della penisola. L’effetto catalizzatore che la potente personalità di Federico II ha esercitato rispetto a tutte le grandi innovazioni, politiche, culturali ed artistiche che hanno caratterizzato il Regno, ha finito per negare al prediletto figlio naturale qualsiasi ruolo nella storia dell’arte dell’Italia meridionale, con la sola eccezione della produzione libraria (codice Vat. Pal. Lat. 1071). Un problema fortemente condizionante è dato dall’esiguità di opere sicuramente databili ai decenni 1250-1266. Lo scopo di questo studio è quello di verificare se si può parlare per questo breve arco cronologico di una produzione artistica di committenza manfrediana (escludendo l’ambito librario), che abbia caratteri di originalità ed autonomia rispetto a quella federiciana. In tale contesto questa ricerca sopperisce alla mancanza di uno studio storico- artistico complessivo e analitico sull’età di Manfredi, che non si limiti al solo studio sulle miniature del De arte venandi cum avibus. o alla generica idea di una continuità di esperienze artistiche al passaggio fra l’età sveva ed i primi decenni di quella angioina. Vengono analizzati alcuni soffitti lignei siciliani (tra le opere sicuramente legate alla committenza manfrediana); le esigue tracce di fondazione della città di Manfredonia (di recente restituita alla più realistica committenza di Manfredi Maletta zio materno dello stesso Manfredi ); ed infine l’architettura castellana, in particolare il castello di Lombardia, la cosidetta Torre di Federico ad Enna, il castello di Lagopesole e la domus di Palazzo San Gervasio in Basilicata. Particolare attenzione viene rivolta alle testimonianze scultoree ed in particolare al tema del ritratto, ambito nel quale matura in età sveva una dimensione dell’operare artistico di carattere europeo. Alla luce di una serie di elementi attentamente sondati vengono analizzati alcuni busti ‘federiciani’, in particolare il noto busto del museo civico di Barletta insieme ad altri due esemplari ad esso collegati dalla critica, di recente esposti alla mostra di Mannheim del 2010/2011. Il quadro che emerge consente di ridefinire la cronologia di questi ultimi due busti in collezione privata e la provenienza di almeno uno di essi, riconoscibile in una vecchia foto del loggiato del rinascimentale Palazzo Vulpano-Sylos a Bitonto. Circa il busto barlettano, attraverso una serie di analisi ed osservazioni che prendono in considerazione tanto il contesto del territorio in cui è stata rinvenuta l’opera quanto alcune fonti cronachistiche medievali e rinascimentali, viene avanzata la proposta che possa trattarsi di un ritratto commissionato dallo stesso Manfredi, nell’ambito di una committenza che, analogamente a quanto accertato nell’ambito degli studi sulla miniatura, coniuga alla rinascita dell’antico istanze di più intenso e patetico naturalismo di matrice gotica europea. Nella parte finale dello studio viene valutato l’impatto di queste novità nell’ambito dell’edilizia sacra, in particolare in relazione a due gruppi plastici sulle testate del transetto della cattedrale di Trani
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