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    Lares: una rivista nella storia dell'antropologia italiana

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    L’articolo ricostruisce la storia della rivista italiana «Lares», fondata nel 1912 da Lamberto Loria e organo della Società di Etnografia italiana, e ancora oggi attiva. La rivista nasce nel momento di maggior sviluppo degli studi positivistici sul folklore regionale italiano. Le pubblicazioni si interrompono dopo la Grande Guerra, e riprendono durante il periodo fascista con la direzione di Paolo Toschi. Nel secondo dopoguerra la rivista diviene il principale riferimento per gli studi folklorici di impostazione filologico-letteraria; dagli anni ’70 in poi, si caratterizza invece per un più accentuato approccio antropologico, che si afferma definitivamente nei primi anni 2000 con la direzione di Pietro Clemente.«Lares» is the oldest, still-running anthropological journal in Italy. It was founded in 1912 and has been published with only two hiatuses to date, during the World Wars. Summarising its history therefore entails a retracing of critical stages in Italian demo-ethno-anthropological disciplines, particularly around studies of folklore and popular traditions; these have been, until recently, the main focus of the journal. In this essay, I will try to tell the story of «Lares» by dividing it into five phases. Each reflects, to some extent, the personality and intellectual orientation of the scholars who have in turn fulfilled the editor’s role: 1) the positivist and pre-Great War period of the journal’s foundation (1912-1914); the fascist period (1930-1943); the post-Second World War or ‘folkloric’ period (1948-1973); the ‘demological’ period (1974-2003); the anthropological and cultural heritage period (recent years)

    Le riviste di antropologia culturale in Italia: problemi e prospettive

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    Le riviste italiane nel settore M-DEA/01 o11/A5 sono moltissime. Oltre 20 ne classifica l’ANVUR solo nella classe A (contandone anche alcune multidisciplinari);ma ne esistono anche altre che non sono (o non sono ancora) incluse in questo elenco,per scelta o per mancanza di alcuni requisiti oggettivi ma non certo per minore qualità e vivacità. Il costante incremento quantitativo degli ultimi anni è dovuto da un lato al progressivo ampliamento della comunità antropologica (come effetto di una trentina, ormai, di cicli di dottorato di ricerca e di vent’anni di corsi di laurea magistrale, anche se solo una parte minima degli studiosi così formati è stata assorbita dall’università); dall’altro lato, alle opportunità offerte dai formati digitali e dalla rete. La ricchezza del panorama dei periodici è certamente un segno di vivacità intellettuale. Non mancano tuttavia problemi, tensioni e difficoltà, che scaturiscono proprio da quelle nuove forme di produzione, trasmissione e diffusione della conoscenza che negli ultimi venti anni hanno trasformato radicalmente il volto dell’università – in Italia forse più che altrove. Organizzerò le mie osservazioniarticolandole nei seguenti punti: - si scrive troppo e si legge poco; - le valutazioni ANVUR e la natura della produzione scientifica; - l’accessibilità delle riviste, gli editori e la rete; - il sistema della peer review; - La lingua: italiano o inglese

    La proibizione dell'incenso. Saper scrivere all'università

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    Riflessioni sul basso livello di competenza linguistica degli studenti universitari italiani

    Il contagio e i riti funebri: qualche rilettura di antropologia del lutto

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    Uno degli aspetti più tragici della pandemia da Covid-19 che il mondo intero sta attraversando è la sorte dei corpi delle persone decedute. Come in tutte le epidemie, i cadaveri infetti non possono essere restituiti alle famiglie. Non solo i morenti restano soli nei reparti di terapia intensiva: ma a chi sopravvive è negata la possibilità dei riti del cordoglio. È questo l’aspetto forse più disumano di questo esperimento di socialità sospesa cui siamo costretti. Ancora più disumano dell’immaginario distopico di quei filosofi che paventano la nostra riduzione a nuda vita. Nell’ottica antropologica, in realtà, la vita umana non è mai “nuda” finché è sorretta dalla cultura. Neppure la privazione radicale dei diritti di cittadinanza basta a renderla tale. Ma cosa succede quando la morte viene spogliata da ogni dimensione culturale e relazionale? Si può parlare forse di una “nuda morte”

    "Se sentir chez soi". Le sens et le sacré dans la culture matérielle domestique

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    Les objets ordinaires présents dans nos maisons peuvent être étudiés en tant qu’expression de catégories culturelles fondamentales : les relations familiales de filiation et de mariage, les formes de la distinction sociale et la construction d’identités sociales. On peut aussi voir dans ces objets l’engagement et le dévouement aux valeurs « sacrées » et aux « thèmes ultimes », au sens de ces termes dans la théorie de la « religion invisible » de Thomas Luckmann. Cet article propose de fusionner cette théorie avec les « new material culture studies » (« nouvelles tendances de la recherche en culture matérielle »), en analysant la « singularisation » (Igor Kopytoff) ou la « densification » (Annette Weiner) des objets ordinaires de la culture de masse. Plus précisément, certains résultats d’une recherche ethnographique menée dans des foyers de la classe moyenne et de familles populaires de certaines villes de Toscane sont discutés. En particulier, l’analyse se concentre sur les « objets d’affection » ou « reliques personnelles », sur les « archives de la mémoire » et sur les différentes manières dont les photographies sont présentées dans l’environnement domestique

    La categoria di medicina popolare nella storia degli studi demologici italiani

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    L’articolo ripercorre alcuni momenti della storia della categoria di “medicina popolare” negli studi folklorici e demologici italiani. Il punto di partenza è la fondazione positivista di questo particolare ambito di studi, con i lavori ottocenteschi di Giuseppe Pitrè e Zeno Zanetti; si passa quindi ad analizzare i presupposti teorici e metodologici del folklorismo degli anni ’30, prendendo spunto da un numero monografico di «Lares» curato da Giuseppe Vidossi, e in particolare dal contributo di Adalberto Pazzini. Per il dopoguerra, Ernesto de Martino e molti suoi seguaci prendono le distanze dal concetto di medicina popolare, interpretando la fenomenologia magico-religiosa popolare attorno alla teoria della crisi e del riscatto rituale della presenza. Sarà invece Tullio Seppilli a reintrodurre negli studi italiani la tematica medica, cercando di valorizzare le peculiari culture del corpo, della salute e della malattia di cui sono portatori i ceti subalterni tradizionali; e facendo infine transitare questa intera tematica nell’ambito della moderna antropologia medica.This paper traces some moments in the history of the category of “folk medicine” in Italian folkloric and demological studies. The starting point is the positivist foundation of this particular field of research, with the nineteenth-century works by Giuseppe Pitrè and Zeno Zanetti; we then move on to discuss the theoretical and methodological assumptions of folklorism of the 1930s, analyzing a LA MEDICINA POPOLARE NELLA STORIA DEGLI STUDI DEMOLOGICI 425 monographic issue of «Lares» edited by Giuseppe Vidossi, with special attention to Adalberto Pazzini’s contribution. For the post-war period, Ernesto de Martino and many of his followers distanced themselves from the concept of popular medicine, using the crisis-of-the-presence theory to interpret popular magic-religious phenomena. In the ’80s, Tullio Seppilli will instead reintroduce the medical theme in Italian studies, trying to understand the peculiar cultures of the body, health and disease of traditional subordinate classes; and, finally, incorporating this whole issue in the field of modern medical anthropolog

    Fabiana Dimpflmeier, Il giro lungo di Lamberto Loria. Le origini papuane dell’etnografia italiana (con una prefazione di Antonino Colajanni e una selezione di testi)

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    Gli ultimi 15 anni hanno visto un notevole incremento degli studi storico-critici su Lamberto Loria. Anzi, più che un incremento, un consistente avvio, che ha il suo punto di partenza nella monografia pubblicata da Sandra Puccini nel 2005, Itala gente dalle molte vite (Roma, Meltemi). Questo precursore dell’antropologia italiana, scomparso nel 1913, era stato per quasi un secolo pressoché ignorato dalla storiografia disciplinare. Eppure aveva compiuto lunghi anni di ricerca sul campo in Melan..

    Giovanni Pizza, Il tarantismo oggi. Antropologia, politica, cultura, Roma, Carocci, 2015, pp. 270

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    Book review of Giovanni Pizza, Il tarantismo oggi. Antropologia, politica, cultura, Roma, Carocci, 2015, pp. 270.Recensione del libro di Giovanni Pizza, Il tarantismo oggi. Antropologia, politica, cultura, Roma, Carocci, 2015, pp. 270

    Francesca Sbardella, Abitare il silenzio: Un'antropologa in clausura, Roma, Viella, pp. 247

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    Book review of Francesca Sbardella, Abitare il silenzio: Un'antropologa in clausura, Roma, Viella, pp. 247.Recensione di Francesca Sbardella, Abitare il silenzio: Un'antropologa in clausura, Roma, Viella, pp. 247

    Etica e antropologia medica. Tullio Seppilli e la moralità della scienza

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    Ethics and medical anthropology. Tullio Seppilli and the morality of science In the vision of Tullio Seppilli, medical anthropology is not only the study of medical representations of the various cultural systems but aims to state the truth about health and disease states, investigating the vast network of their social determinants. Biological determinants and social determinants are not two separate aspects: instead, they are constantly intertwined. Hence the goal, constantly pursued by Seppilli, of overcoming the great disciplinary divide between bio-anthropological sciences and historicalsocial sciences, that is the old nature-history dichotomy, to find a “dialectical unity”. This leads him far from certain trivializations of the criticism of biomedicine, which condemns it as “hegemonic” and “imperialist”, instead valuing medical anthropology as an “alternative”. This article, analyzing different moments of Seppilli’s work, tries to show how for him biomedicine and medical anthropology participate in a common general epistemological foundation, that of the “scientific conception of the world”. His criticism of biomedicine is not being too scientific, but rather being too little: that is, it studies and recognizes only a part of the processes involved in determining health and disease
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