16 research outputs found

    Immune Checkpoints as Therapeutic Targets in Autoimmunity

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    Antibodies that block the immune checkpoint receptors PD1 and CTLA4 have revolutionized the treatment of melanoma and several other cancers, but in the process, a new class of drug side effect has emerged—immune related adverse events. The observation that therapeutic blockade of these inhibitory receptors is sufficient to break self-tolerance, highlights their crucial role in the physiological modulation of immune responses. Here, we discuss the rationale for targeting immune checkpoint receptors with agonistic agents in autoimmunity, to restore tolerance when it is lost. We review progress that has been made to date, using Fc-fusion proteins, monoclonal antibodies or other novel constructs to induce immunosuppressive signaling through these pathways. Finally, we explore potential mechanisms by which these receptors trigger and modulate immune cell function, and how understanding these processes might shape the design of more effective therapeutic agents in future

    A homozygous variant disrupting the PIGH start-codon is associated with developmental delay, epilepsy, and microcephaly.

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    Defective glycosylphosphatidylinositol (GPI)-anchor biogenesis can cause a spectrum of predominantly neurological problems. For eight genes critical to this biological process, disease associations are not yet reported. Scanning exomes from 7,833 parent-child trios and 1,792 singletons from the DDD study for biallelic variants in this gene-set uncovered a rare PIGH variant in a boy with epilepsy, microcephaly, and behavioral difficulties. Although only 2/2 reads harbored this c.1A > T transversion, the presence of ∼25 Mb autozygosity at this locus implied homozygosity, which was confirmed using Sanger sequencing. A similarly-affected sister was also homozygous. FACS analysis of PIGH-deficient CHO cells indicated that cDNAs with c.1A > T could not efficiently restore expression of GPI-APs. Truncation of PIGH protein was consistent with the utilization of an in-frame start-site at codon 63. In summary, we describe siblings harboring a homozygous c.1A > T variant resulting in defective GPI-anchor biogenesis and highlight the importance of exploring low-coverage variants within autozygous regions

    Analysis of exome data for 4293 trios suggests GPI-anchor biogenesis defects are a rare cause of developmental disorders.

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    Over 150 different proteins attach to the plasma membrane using glycosylphosphatidylinositol (GPI) anchors. Mutations in 18 genes that encode components of GPI-anchor biogenesis result in a phenotypic spectrum that includes learning disability, epilepsy, microcephaly, congenital malformations and mild dysmorphic features. To determine the incidence of GPI-anchor defects, we analysed the exome data from 4293 parent-child trios recruited to the Deciphering Developmental Disorders (DDD) study. All probands recruited had a neurodevelopmental disorder. We searched for variants in 31 genes linked to GPI-anchor biogenesis and detected rare biallelic variants in PGAP3, PIGN, PIGT (n=2), PIGO and PIGL, providing a likely diagnosis for six families. In five families, the variants were in a compound heterozygous configuration while in a consanguineous Afghani kindred, a homozygous c.709G>C; p.(E237Q) variant in PIGT was identified within 10-12 Mb of autozygosity. Validation and segregation analysis was performed using Sanger sequencing. Across the six families, five siblings were available for testing and in all cases variants co-segregated consistent with them being causative. In four families, abnormal alkaline phosphatase results were observed in the direction expected. FACS analysis of knockout HEK293 cells that had been transfected with wild-type or mutant cDNA constructs demonstrated that the variants in PIGN, PIGT and PIGO all led to reduced activity. Splicing assays, performed using leucocyte RNA, showed that a c.336-2A>G variant in PIGL resulted in exon skipping and p.D113fs*2. Our results strengthen recently reported disease associations, suggest that defective GPI-anchor biogenesis may explain ~0.15% of individuals with developmental disorders and highlight the benefits of data sharing

    Artrite reumatoide e antigeni citrullinati: memoria immunologica o attivazione continua da stimolo persistente?

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    L’artrite reumatoide (AR) è una delle malattie autoimmuni più diffuse: può colpire fino all’1% della popolazione mondiale nell’età adulta. Da circa 10 anni è nota una classe di anticorpi altamente specifici per l’AR; si tratta degli anticorpi anti-filaggrina (AFA), che reagiscono esclusivamente con la filaggrina deiminata; questi anticorpi vengono rilevati con metodiche immunoenzimatiche che utilizzano sulla fase solida un peptide citrullinato derivato dalla filaggrina sintetizzato in forma ciclica, il CCP (Cyclic Citrullinated Peptide); la filaggrina non è però espressa nella sinovia e gli AFA riconoscono diverse proteine deiminate nel tessuto sinoviale, principalmente il fibrinogeno deiminato, ma anche la vimentina, il collagene, l’enolasi. Quindi esiste una famiglia di anticorpi altamente specifica per l’AR, che riconosce una serie di proteine deiminate; questa famiglia di anticorpi è stata collettivamente definita ACPA. È stato recentemente dimostrato nel nostro laboratorio che anche una proteina di origine virale, l’EBNA I, deiminata in vitro o in vivo, è riconosciuta dagli ACPA: EBNA I infatti contiene una sequenza caratterizzata da 6 doppiette glicina-arginina; la sequenza sintetizzata sostituendo le arginine con citrulline, è riconosciuta da circa il 50% dei pazienti AR, e non da soggetti sani o affetti da altri stati morbosi. Gli anticorpi prodotti durante una risposta immunitaria vanno incontro a due processi che sono fra loro intimamente connessi e necessitano della presenza di linfociti T helper (CD4+) con la stessa specificità: la maturazione dell’affinità e la variazione dell’isotipo; infatti i primi anticorpi rilasciati sono generalmente IgM, caratterizzate da una bassa affinità di legame con l’antigene; nel corso della risposta immune vengono prodotti anticorpi di isotipo IgG, caratterizzati da una affinità maggiore e la produzione di IgM cala rapidamente. Nelle malattie autoimmuni, invece, sono descritti infatti auto-anticorpi di isotipo IgM o IgA ad alta affinità (classicamente il fattore reumatoide) che rimangono elevati nel corso del tempo, assieme ad anticorpi con la stessa specificità di isotipo IgG. Un’altra caratteristica che differenzia gli autoanticorpi dagli anticorpi diretti verso antigeni esogeni sembra essere la maturazione dei linfociti B: nelle risposte immuni “classiche”, la maturazione dell’affinità e lo switch isotipico avvengono nei centri germinativi dei linfonodi drenanti il sito dell’infezione; in alcune malattie autoimmni è stata descritta la formazione di centri germinativi anche negli organi bersaglio (esempio la sinovia nell’AR od i reni nel LES), oltre che nei linfonodi. Le plasmacellule generate durante una risposta immune migrano nel midollo osseo e qui trovano fattori che ne permettono la sopravvivenza anche per lunghi periodi; secondo alcuni autori queste plasmacellule a lunga emivita sono responsabili della memoria umorale. Altri autori sostengono che questa sia garantita dalla attivazione dei linfociti B memoria durante le periodiche attivazioni del sistema immune. Nelle malattie autoimmuni è stato osservato che i siti dell’infiammazione (esempio sinovia nell’AR, reni nel LES) possono supportare la maturazione dei linfociti B a plasmacellule e la sopravvivenza delle plasmacellule stesse; Lo scopo di questa tesi è stato quello di caratterizzare, alla luce di queste osservazioni, la risposta immune al peptide virale citrullinato in pazienti affetti da AR, analizzando il titolo e l’isotipo degli anticorpi anti-VCP, ricercando le cellule B e T specifiche per il VCP, studiando la frequenza delle cellule B della memoria e delle plasmacellule specifiche. In prima istanza sono stati ricercati anticorpi anti-VCP di isotipo diverso dalle IgG; come atteso sono stati individuati nei sieri di pazienti con AR anticorpi con questa specificifità anche di isotipo IgA ed IgM; IgA ed IgM anti-VCP sono in grado di distinguere pazienti con AR da soggetti sani o affetti da altre artriti croniche o malattie del connettivo, anche se la sensibilità di questi anticorpi è inferiore rispetto alle IgG anti-VCP; la maggior parte dei pazienti presenta IgG anti-VCP, ma esistono anche pazienti singoli positivi per IgA od IgM, o con diverse combinazioni degli isotipi in questione; IgM anti-VCP sono presenti anche in pazienti con malattia di lunga durata. Test di inibizione in vitro hanno mostrato che IgA ed IgM anti-VCP sono anticorpi con bassa affinità, mentre IgG anti-VCP mostrano alta affinità per il peptide virale citrullinato. Il confronto dei livelli e delle variazioni nel tempo di ACPA e anticorpi contro antigeni esogeni ha mostrato che le due popolazioni di anticorpi non sono correlate. Abbiamo poi cercato di individuare, nel sangue periferico, linfociti B della memoria specifici per il VCP: stimolando i mononucleati del sangue periferico con stimoli policlonali di diversa natura, non è stato possibile individuare cellule B della memoria specifiche per il VCP; invece la coltura di PBMC su monostrati di sinoviociti ha evidenziato la presenza di cellule producenti anticorpi anti-VCP. Come descritto per altre proteine citrullinate, sono presenti nel liquido sinoviale di pazienti con AR, plasmacellule che producono anti-VCP di isotipo IgG ed IgM, mentre queste non si ritrovano nel sangue periferico. La ricerca di linfociti T helper specifici per il peptide virale citrullinato non ha dato esito positivo, nonostante siano stati utilizzate metodiche diferenti e stimoli atti ad aumentare la sensibilità di questi test. In sintesi i dati a nostra disposizione sembrerebbero suggerire la produzione di anti-VCP da parte di linfociti B continuamente reclutati dal circolo, che trovano preferenzialmente nella sinovia l’ambiente per maturare e trasformarsi in plasmacellule secernenti anticorpi anti-VCP. La presenza di IgM anti-VCP in pazienti con malattia di lunga durata, il mancato reperimento di cellule B della memoria o linfociti T helper specifici per i peptidi citrullinati, e il differente andamento rispetto a anticorpi diretti contro antigeni esogeni, confermano la visione secondo cui gli ACPA non sono il prodotto di una memoria immunologica, ma il risultato di una costante attivazione del sistema immunitario nei confronti di antigeni espressi su molecole endogene. La citrullinazione delle proteine è un fenomeno costante nei siti infiammatori, inclusa la sinovia dei pazienti artritici; inoltre i sinoviociti sono in grado di sostenere la attivazione dei linfociti B e la sopravvivenza delle plasmacellule; è possibile quindi che il linfocita B, giunto nella sinovia infiammata, trovi stimoli sufficienti a indurre la attivazione, la maturazione e la trasformazione in plasmacellule; la sinovia in quanto tale potrebbe poi rappresentare una nicchia per la sopravvivenza a lungo termine delle plasmacellule, anche dopo la risoluzione del processo infiammatorio. Studi ulteriori sono necessari per valutare se stimoli pro-infiammatori possano contribuire alla maturazione dei linfociti B in modo così incisivo da permettere una loro maturazione in assenza di linfociti T helper

    Immune Checkpoints as Therapeutic Targets in Autoimmunity

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    Antibodies that block the immune checkpoint receptors PD1 and CTLA4 have revolutionized the treatment of melanoma and several other cancers, but in the process, a new class of drug side effect has emerged-immune related adverse events. The observation that therapeutic blockade of these inhibitory receptors is sufficient to break self-tolerance, highlights their crucial role in the physiological modulation of immune responses. Here, we discuss the rationale for targeting immune checkpoint receptors with agonistic agents in autoimmunity, to restore tolerance when it is lost. We review progress that has been made to date, using Fc-fusion proteins, monoclonal antibodies or other novel constructs to induce immunosuppressive signaling through these pathways. Finally, we explore potential mechanisms by which these receptors trigger and modulate immune cell function, and how understanding these processes might shape the design of more effective therapeutic agents in future

    A Deiminated Viral Peptide to Detect Antibodies in Rheumatoid Arthritis

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    The data presented suggest that a deiminated viral peptide is specifically recognized by antibodies contained in rheumatoid arthritis (RA) sera. Antipeptide antibodies are not associated with the presence or severity of specific manifestations of RA, but are more frequent in subjects with erosive arthritis. Taking into account the association with rheumatoid factor and with erosive arthritis, we can conclude that antipeptide antibodies are markers of severe forms of RA. Our data also show familial aggregation of anticitrullinated peptide antibodies
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