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<i>Moechus calvus</i>
Analisi del sintagma moechus calvus e della funzione che gli veniva assegnata nel mimo greco e latino
La «Vita Martini» di Sulpicio Severo: appunti di narratologia agiografica
L'archetipo strutturale della agiografia cristiana, a partire almeno dal IV secolo, è senza dubbio la Vita Antonii, la singolare biografia del fondatore del monachesimo egiziano. Quando Sulpicio Severo intorno al 397, a distanza di quasi quarant'anni, si accinse a tracciare il suo ritratto di Martino di Tours, così come faceva Girolamo all'incirca nel medesimo tempo a Betlemme per le sue biografie semiromanzate, adottò le strutture narrative di quello che ormai era divenuto un «classico» del genere
Il Mestiere dell’incisore: un problema della glittica in Sardegna
L’importanza delle gemme incise in età romana è ormai ben nota, e trova ulteriore conferma nell’altissimo livello di diffusione raggiunto sia in ambito geografico che in quello sociale.
Il fenomeno, ampiamente testimoniato dalle fonti letterarie,
era determinato dalla duplice valenza degli intagli, usati da un lato come anula signatoria, sigilli personali univoci e individuali, dall’altro come complementi di ornamento, sia personale, e quindi incastonati in gioielli di vario tipo, sia su oggetti, i più disparati.
La grandissima quantità di reperti, diffusi in ogni zona dell’Impero, e la richiesta di opere di glittica da parte di quasi tutti gli strati della popolazione portano a ipotizzare che il mestiere dell’incisore fosse piuttosto comune, e che esistessero officine dislocate nei maggiori centri per far fronte alle esigenze di un così vasto e
capillare mercato
<i>Spectator extra fabulam</i>: la nascita del dramma assoluto
Se è vero che il rapporto emittente-destinatario costituisce un
elemento di rilievo nei processi della comunicazione e di quella letteraria
in particolare, e che condiziona la scelta dei contenuti e dei registri
espressivi, come già aveva scoperto la retorica classica quando individuò
il concetto di kairòs e di prepon, a partire almeno dalle teorie
pitagoriche per giungere a quelle stoiche e peripatetiche, è altrettanto
indiscutibile che esso assume una valenza ancora più forte nella produzione
di opere teatrali, soprattutto di quelle concepite pensando ad una
prossima messinscena. Mentre infatti gli autori dei diversi generi, dall'epica
alla narrativa, dalla storiografia alla poesia didascalica o alla lirica,
inviano i loro messaggi a fruitori di solito indistinti e talora lontani
nello spazio e nel tempo, chi scrive opere per il teatro sa di rivolgersi
a destinatari dalle caratteristiche culturali e antropologiche ben definite
e cerca perciò, per quanto possibile, di adeguare la scrittura alle loro
potenzialità e aspettative.
Sulla base di queste considerazioni non è disutile soffermarsi sul
tema delle relazioni emittente-destinatario nel teatro latino arcaico, analizzare i reciproci condizionamenti e cercare di coglierne gli effetti nella
tessitura del testo verbale, considerato che risulta assai problematico rilevare
quelli del testo spettacolare. Ci siamo occupati in un precedente
lavoro del problema in Plauto, ora punteremo l'obiettivo sulla produzione
di Terenzio
I "Phaenomena" di Ovidio
Il presente studio intende indagare e definire attraverso i frammenti sopravvissuti l'argomento,
la fonte e l'estensione dei Phaenomena ovidiani e di accertare se si trattava di composizione originale oppure della ennesima traduzione «artistica» del fortunato libro di Arato
L'Originalità del teatro di Terenzio alla luce della nuova estetica e della politica del circolo scipionico
Favete, adeste aequo animo et rem cognoscite,
ut pernoscatis ecquid spei sit relicuom,
posthac quas faciet de integro comoedias,
spectandae an exigendae sint vobis prius.
Con queste parole Terenzio si rivolge all'instabile pubblico romano
nel concludere il polemico prologo dell'Andria. Mentre
invita gli spettatori ad un giudizio spassionato sulla sua opera, coglie
l'occasione per lanciare l'ultimo strale. Infatti nel momento in cui
preannuncia che comporrà commedie de integro, lascia intendere
che i suoi detrattori non sono capaci di fare altrettanto. La conclusione
della polemica afferma contemporaneamente l'inconsistenza
artistica dello scribere dei suoi avversari e la novità del suo teatro,
nella piena coscienza della propria originalità .
Ma che cosa si nasconde dietro queste affermazioni? Quale
poetica, quali ricerche tecniche, quali battaglie culturali? A noi resta
solo il traguardo di una strada che Terenzio dovette percorrere,
come egli stesso ci lascia intravvedere dietro il conciso enunciato.
Ripercorrere quella strada è appunto l'oggetto della presente
ricerca. Sebbene il tema non sia nuovo per la critica filologica,
appare comunque meritevole di ulteriore approfondimento per le
problematiche che contiene e i suggestivi spiragli che apre sull'epoca
degli Scipioni. Non si tratta tanto di scoprire in quale misura Terenzio
sia stato autonomo nei confronti degli esemplari greci,
quanto di capire per quale motivo egli ritenesse di aver raggiunto
una propria originalitÃ
Materiali per un'indagine sul pubblico teatrale: alla ricerca dello spirito comunitario nell'Atene del V secolo
Se il testo letterario è, in ultima analisi, la risultante del rapporto fra il sistema dei codici che compongono organicamente la noosfera di un popolo e l'ingenium di uno scrittore, la sua lettura critica non può limitarsi ad esplorare il solo versante dell'emittente, secondo ben noti parametri interpretativi, ma deve essere integrata, mediante una prospettiva multifocale, anche con il
punto di vista del destinatario.
Se questo è vero in generale, lo è a maggior ragione in rapporto alla produzione teatrale, ed oggi anche a quella cinematografica, per loro natura destinate ad una immediata fruizione e quindi ad un altrettanto immediato giudizio
del pubblico. La dialettica fra chi occupa i due versanti del testo, verbale e spettacolare, assume allora caratteri di tangibile concretezza: il successo o l'insuccesso offrono in termini economici e di fama la misura della riuscita o meno dell' operazione artistica.
Poiché non è possibile, anche in rapporto allo spazio concesso, toccare in modo adeguato tutti gli argomenti, ci limiteremo in questa sede a raccogliere alcuni 'materiali' utili per individuare e definire il concetto di spirito comunitario di identità , un elemento basilare che unifica scena e cavea dall'Atene dell'inizio di secolo a quella di Pericle e Socrate. Più tardi gli scenari cambieranno
radicalmente, ma ciò riguarda altri discorsi. La dimensione del lavoro obbliga a preferire un taglio essenziale nella
esposizione delle problematiche e a scartare a priori la pretesa della completezza e della esaustivitÃ
Mimografi, mimi e mime nell'età imperiale
Excursus sui mimografi, mimi e mime dal I secolo d.C. sino al VI secolo d.C., inclusi alcuni attori in ordine sparso di cui si ignora la relativa cronologia
Spectator in fabula <i>Ut aeque mecum sitis gnarures</i> (<i>Poen.</i> 47)
La collocazione del pubblico ora quasi all'interno della fabula ora
decisamente all'esterno ora in una posizione mediana, con le relative duplicitÃ
o unicità dei ruoli dei prologanti e dei personaggi, riproduce con
molta probabilità il rapporto scena-cavea che era negli originali greci, ma segnala
anche, con il suo pendolarismo, l'incertezza degli scrittori latini,
almeno fino a Plauto, di fronte alle formule strutturali ereditate e la loro
difficoltà a scegliere soluzioni più coerenti.
Non sorprende, dati i tempi e la fresca esperienza nonché il clima
di festa paesana propria dei ludi, la reazione acquiescente del pubblico
romano dell'epoca, il quale non era, com'è noto, quello selezionato,
silenzioso e attento delle nostre sale, ma quello più variegato e chiassoso
descritto nel Poenulus. Esso accettò il ruolo assegnatogli dal commediografo,
senza porre e porsi troppe domande né indagare sulle fratture
della logica narrativa. Quelle erano per lui le regole dello spettacolo, si
divertiva ed era soddisfatto.
Plauto lo sapeva perfettamente. Quando raggiungeva l'obiettivo,
ogni altra cosa passava in seconda linea. Era «solo letteratura»
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