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    Tolerability of vortioxetine compared to selective serotonin reuptake inhibitors in older adults with major depressive disorder (VESPA): a randomised, assessor-blinded and statistician-blinded, multicentre, superiority trial.

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    BACKGROUND Major depressive disorder (MDD) is prevalent and disabling among older adults. Standing on its tolerability profile, vortioxetine might be a promising alternative to selective serotonin reuptake inhibitors (SSRIs) in such a vulnerable population. METHODS We conducted a randomised, assessor- and statistician-blinded, superiority trial including older adults with MDD. The study was conducted between 02/02/2019 and 02/22/2023 in 11 Italian Psychiatric Services. Participants were randomised to vortioxetine or one of the SSRIs, selected according to common practice. Treatment discontinuation due to adverse events after six months was the primary outcome, for which we aimed to detect a 12% difference in favour of vortioxetine. The study was registered in the online repository clinicaltrials.gov (NCT03779789). FINDINGS The intention-to-treat population included 179 individuals randomised to vortioxetine and 178 to SSRIs. Mean age was 73.7 years (standard deviation 6.1), and 264 participants (69%) were female. Of those on vortioxetine, 78 (44%) discontinued the treatment due to adverse events at six months, compared to 59 (33%) of those on SSRIs (odds ratio 1.56; 95% confidence interval 1.01-2.39). Adjusted and per-protocol analyses confirmed point estimates in favour of SSRIs, but without a significant difference. With the exception of the unadjusted survival analysis showing SSRIs to outperform vortioxetine, secondary outcomes provided results consistent with a lack of substantial safety and tolerability differences between the two arms. Overall, no significant differences emerged in terms of response rates, depressive symptoms and quality of life, while SSRIs outperformed vortioxetine in terms of cognitive performance. INTERPRETATION As opposed to what was previously hypothesised, vortioxetine did not show a better tolerability profile compared to SSRIs in older adults with MDD in this study. Additionally, hypothetical advantages of vortioxetine on depression-related cognitive symptoms might be questioned. The study's statistical power and highly pragmatic design allow for generalisability to real-world practice. FUNDING The study was funded by the Italian Medicines Agency within the "2016 Call for Independent Drug Research"

    Ottimizzazione della terapia di mantenimento dopo il trattamento di prima linea con FOLFOXIRI e bevacizumab in pazienti affetti da carcinoma colorettale metastatico: esiste un ruolo per la chemioterapia metronomica? I risultati dello studio di fase II randomizzato MOMA

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    La prognosi dei pazienti con tumore colorettale metastatico (mCRC) è migliorata negli ultimi anni, grazie al panorama sempre più ampio di farmaci a disposizione e all’integrazione delle terapie sistemiche con procedure locoregionali (chirurgia, radioterapia, radiofrequenze), nell’ambito di una valutazione multidisciplinare del paziente. Al momento, il passo cruciale nella gestione di questi pazienti è rappresentato dalla scelta della “miglior intensità della chemioterapia” per ciascun paziente, basata sull’utilizzo di fluoropirimidine, sia orali che endovenose, e dei citotossici convenzionali oxaliplatino e irinotecano, oltre che del "miglior farmaco biologico" tra quelli disponibili: gli anticorpi monoclonali anti-EGFR, cetuximab e panitumumab, utilizzabili solo nei pazienti con tumori RAS wild-type, e l’antiangiogenico bevacizumab. La combinazione di una doppietta di chemioterapici (FOLFOX o FOLFIRI) e di un farmaco biologico viene ritenuta un’opzione standard per la maggior parte dei pazienti. Tuttavia, sulla base dei risultati di recenti studi randomizzati, una nuova opzione terapeutica più intensiva, l’associazione della tripletta di chemioterapia FOLFOXIRI con l’antiangiogenico bevacizumab, è oggi un’opzione riconosciuta da tutte le line guida nazionali e nazionali per pazienti selezionati. Sul versante opposto dello spettro di intensità della chemioterapia, nei pazienti unfit per trattamenti di combinazione, è possibile optare per la monochemioterapia con fluoropirimidine in associazione, quando possibile, al bevacizumab, anticorpo monoclonale anti-VEGF la cui efficacia è stata dimostrata in associazione a tutte le possibili combinazioni di chemioterapia di diversa intensità (dalla monoterapia alla tripletta). Dopo un periodo di terapia di induzione, la cui durata ottimale è oggi identificata tra i 4 e i 6 mesi, è possibile depotenziare il trattamento, passando alla cosiddetta terapia di mantenimento, con l’obiettivo di consolidare i risultati ottenuti durante il trattamento di induzione, mantenendone l’effetto per lungo tempo, limitando allo stesso tempo gli effetti collaterali della terapia. Dopo una fase di chemioterapia di induzione contenente bevacizumab, il trattamento di mantenimento con il farmaco biologico in associazione a una fluoropirimidina ha dimostrato di fornire un vantaggio significativo in termini di sopravvivenza libera da progressione e meno marcati in OS rispetto ad offrire una vacanza terapeutica ai pazienti. Nel medesimo scenario si può inserire il ruolo della chemioterapia metronomica (metroCT), ovvero la continua somministrazione di basse dosi di farmaci antineoplastici senza periodi di interruzione, che presenta ottimi profili di tossicità e azione nell’inibizione dell’angiogenesi, con un possibile sinergismo con gli agenti antiangionetici come suggerito da esperienze precliniche. Sulla base di queste osservazioni, la chemioterapia metronomica potrebbe massimizzare l’effetto anti-angiogenetico del bevacizumab, rappresentando un’opzione efficace per la terapia di mantenimento nel paziente mCRC trattato con una chemioterapia di induzione di prima linea. Lo studio randomizzato di fase II MOMA nasce con lo scopo di confrontare due diverse strategie di mantenimento (bevacizumab in monoterapia o in associazione a terapia metronomica con ciclofosfamide e capecitabina) in termini di sopravvivenza libera da progressione (PFS, endpoint primario dello studio) in pazienti con mCRC non resecabili trattati in prima linea con una terapia di induzione di 4 mesi di FOLFOXIRI più bevacizumab. I 232 pazienti inclusi nello studio MOMA, provenienti da 16 centri italiani, con un’età compresa fra 18 e 75 anni, non precedentemente trattati per la malattia metastatica, sono stati randomizzati rispettivamente a ricevere FOLFOXIRI più bevacizumab per 8 cicli e a seguire trattamento di mantenimento con solo bevacizumab (braccio A) o la stessa terapia di induzione seguita da terapia di mantenimento con metroCT (capecitabina 500mg/die e ciclofosfamide 50mg/die per os) piu bevacizumab (braccio B). Nella popolazione generale, vi era alta frequenza di pazienti con metastasi sincrone (82%), il 31% dei pazienti aveva malattia limitata al fegato e vi era un’elevata percentuale di pazienti con tumori con mutazioni a carico dei geni RAS e BRAF (65% e 9% rispettivamente). Lo studio MOMA non ha raggiunto l’endpoint primario, poiché l’aggiunta della terapia metronomica alla terapia di mantenimento con bevacizumab non ha determinato incremento in termini di PFS. Non è stata evidenziata nessuna differenza tra i due bracci nemmeno in termini di OS. I dati di attività della fase di induzione, comune a entrambi i bracci, confermano l’elevato tasso di risposte obiettive (63%) e di resezioni secondarie a intento curativo (25%), soprattutto nei pazienti con malattia limitata al fegato (49%), già riportati nelle altre esperienze con FOLFOXIRI e bevacizumab, e qui confermati in una popolazione prognosticamente sfavorita dall’elevata frequenza di tumori RAS e BRAF mutati e con una inferiore durata (4 anziché 6 mesi) del trattamento intensivo. I dati di sicurezza confermano che la tripletta più bevacizumab è fattibile, con un profilo di tossicità sovrapponibile a quello atteso in termini di tossicità gastrointestinale (diarrea, mucosite) ed ematologica (neutropenia e neutropenia febbrile). Nella fase di mantenimento le tossicità di grado 3 e 4 riportate sono state rare, con una più alta incidenza di sindrome mano-piede nel braccio con metroCT e bevazizumab rispetto al braccio trattato con solo bevacizumab. In conclusione, alla luce dei risultati dello studio MOMA, non cambia l’indicazione attualmente raccomandata sulla base dei risultati degli studi di fase III randomizzati che hanno indagato il ruolo del mantenimento con bevacizumab associato alle fluoropirimidine: la miglior opzione di terapia di mantenimento, dopo un trattamento di induzione contenente bevacizumab, rimane l’associazione di quest’ultimo con fluoropirimidine a dosi piene

    Candidate diagnostic biomarkers for neurodevelopmental disorders in children and adolescents: a systematic review

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    Neurodevelopmental disorders – including attention‐deficit/hyperactivity disorder (ADHD), autism spectrum disorder, communication disorders, intellectual disability, motor disorders, specific learning disorders, and tic disorders – manifest themselves early in development. Valid, reliable and broadly usable biomarkers supporting a timely diagnosis of these disorders would be highly relevant from a clinical and public health standpoint. We conducted the first systematic review of studies on candidate diagnostic biomarkers for these disorders in children and adolescents. We searched Medline and Embase + Embase Classic with terms relating to biomarkers until April 6, 2022, and conducted additional targeted searches for genome‐wide association studies (GWAS) and neuroimaging or neurophysiological studies carried out by international consortia. We considered a candidate biomarker as promising if it was reported in at least two independent studies providing evidence of sensitivity and specificity of at least 80%. After screening 10,625 references, we retained 780 studies (374 biochemical, 203 neuroimaging, 133 neurophysiological and 65 neuropsychological studies, and five GWAS), including a total of approximately 120,000 cases and 176,000 controls. While the majority of the studies focused simply on associations, we could not find any biomarker for which there was evidence – from two or more studies from independent research groups, with results going into the same direction – of specificity and sensitivity of at least 80%. Other important metrics to assess the validity of a candidate biomarker, such as positive predictive value and negative predictive value, were infrequently reported. Limitations of the currently available studies include mostly small sample size, heterogeneous approaches and candidate biomarker targets, undue focus on single instead of joint biomarker signatures, and incomplete accounting for potential confounding factors. Future multivariable and multi‐level approaches may be best suited to find valid candidate biomarkers, which will then need to be validated in external, independent samples and then, importantly, tested in terms of feasibility and cost‐effectiveness, before they can be implemented in daily clinical practice

    Tolerability of vortioxetine compared to selective serotonin reuptake inhibitors in older adults with major depressive disorder (VESPA): a randomised, assessor-blinded and statistician-blinded, multicentre, superiority trialResearch in context

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    Summary: Background: Major depressive disorder (MDD) is prevalent and disabling among older adults. Standing on its tolerability profile, vortioxetine might be a promising alternative to selective serotonin reuptake inhibitors (SSRIs) in such a vulnerable population. Methods: We conducted a randomised, assessor- and statistician-blinded, superiority trial including older adults with MDD. The study was conducted between 02/02/2019 and 02/22/2023 in 11 Italian Psychiatric Services. Participants were randomised to vortioxetine or one of the SSRIs, selected according to common practice. Treatment discontinuation due to adverse events after six months was the primary outcome, for which we aimed to detect a 12% difference in favour of vortioxetine. The study was registered in the online repository clinicaltrials.gov (NCT03779789). Findings: The intention-to-treat population included 179 individuals randomised to vortioxetine and 178 to SSRIs. Mean age was 73.7 years (standard deviation 6.1), and 264 participants (69%) were female. Of those on vortioxetine, 78 (44%) discontinued the treatment due to adverse events at six months, compared to 59 (33%) of those on SSRIs (odds ratio 1.56; 95% confidence interval 1.01–2.39). Adjusted and per-protocol analyses confirmed point estimates in favour of SSRIs, but without a significant difference. With the exception of the unadjusted survival analysis showing SSRIs to outperform vortioxetine, secondary outcomes provided results consistent with a lack of substantial safety and tolerability differences between the two arms. Overall, no significant differences emerged in terms of response rates, depressive symptoms and quality of life, while SSRIs outperformed vortioxetine in terms of cognitive performance. Interpretation: As opposed to what was previously hypothesised, vortioxetine did not show a better tolerability profile compared to SSRIs in older adults with MDD in this study. Additionally, hypothetical advantages of vortioxetine on depression-related cognitive symptoms might be questioned. The study's statistical power and highly pragmatic design allow for generalisability to real-world practice. Funding: The study was funded by the Italian Medicines Agency within the “2016 Call for Independent Drug Research”
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