Scienza aperta: il senso duplice di una rivoluzione

Abstract

La scienza aperta non è una novità: risale, infatti, alla rivoluzione scientifica moderna. Né é una novità lo squilibrio fra la ricerca, artigianale, fondata su comunità di conoscenza, e la sua presunta incarnazione in oggetti testuali così potenti e persistenti da essere assumibili come vicari (proxy) del sapere: lo percepiva già Platone, nella critica alla scrittura contenuta nel "Fedro". Lo stesso concetto di scienza aperta può essere inteso in due sensi diversi, a seconda che (1) si metta l'accento sull'apertura delle comunità di conoscenza, con le istituzioni e i testi intesi come mezzi al suo servizio o (2) sull'apertura dei "prodotti" della ricerca per scopi altri rispetto all'esercizio dell'indagine. Solo questa seconda accezione sarebbe compatibile con la valutazione di stato vigente in Italia: nulla vieterebbe, infatti, di aggiungere agli oneri burocratici di cui sono gravati gli "addetti alla ricerca" anche quello dell'apertura dei loro "prodotti". La prima accezione, invece, è quella presupposta dalla proposta di legge AISA, che mira a riavvicinare al ricercatore il diritto dell'autore - ora per lo più espropriato dagli oligopoli dell'editoria commerciale - in modo da rendergli più facile esercitare l'uso pubblico della ragione

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This paper was published in Archivio Giuliano Marini.

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