È possibile ammettere, pensare e addirittura verificare che una cosa che sia accaduta nel passato possa non essere più accaduta in un momento presente? Ad esempio, si può, oggi, fare in modo che Roma non sia mai stata fondata? Come è possibile mutare la regolare causalità degli accadimenti di quel passato – il nostro e quello degli uomini che ci hanno preceduti – che sembra essere fondato sui vincoli di una strettissima necessità? E che dire quando questo sconvolgimento dell’ordine del mondo arriva a toccare anche le possibilità logiche o le scelte di un “Divin Fattore”? D’altro canto, se ribaltiamo il discorso e ci volgiamo al futuro, sapere che qualcuno conosce in anticipo che ogni cosa avverrà o non avverrà, e come e quando, non limita forse la nostra libertà? Quale strada scegliere, allora? Abbandonare il principio di contraddizione, su cui è fondata la nostra logica, oppure lasciar cadere il predicato dell’onnipotenza e dell’onniscienza, che garantiscono a Dio di affacciarsi sulla scena del mondo contingente – quello che noi, qui e ora, vediamo e tocchiamo prima ancora di rappresentarcelo in modo astratto – cambiandolo a suo piacimento? O dovremo abbandonare il principio di un agente divino capace di sapere ogni cosa in anticipo, perché fuori dal tempo e tale da poter cambiare l’ordine nel quale siamo stati gettati? Dovremo forse limitarne la potenza a quella di un orologiaio sottomesso alle leggi che egli stesso ha creato per regolare il mondo? Oppure rinunciare alla capacità di agire diversamente da come si agisca, di dialogare con chi agisce secondo schemi e modelli di credenza radicalmente, o parzialmente diversi dai nostri, o anche solo di pensarlo e di immaginarlo possibile? Insomma, ci sono più cose in cielo e in terra o nella filosofia?
Le domande si succedono l’una all’altra come le teste dell’Idra di
Lerna, che ricrescevano dalla radice una volta tagliate*. Per usare un
celebre modo di dire, molto usato nella filosofia italiana del secolo
scorso, sembra quasi che si voglia in questo modo “mettere le brache
al mondo”. La costellazione di temi e questioni che si viene così definendo
è espressa filosoficamente con il termine “compatibilismo teologico”
e riguarda in generale la possibilità che siano conciliabili, in
modo tale che l’esistenza dell’uno non implichi la necessaria negazione
dell’altro, la necessità dell’ordine del mondo, e con esso l’onnipotenza
e la prescienza proprie di un soggetto divino come quello delle
grandi religioni monoteiste, da una parte, e la contingenza degli accadimenti,
e dunque la libertà umana di autodeterminarsi e di poter agire
diversamente da come agisce, dall'altra. All’interno di una tradizione
generalmente orientata a privilegiare l’aspetto etico del problema
e a ragionare dunque a partire dal fondamento indiscusso del libero
arbitrio, abbiamo scelto invece di affrontare le soluzioni di quegli
autori che hanno individuato la chiave per affrontare il dilemma compatibilista
in una prospettiva legata ad atteggiamenti di natura epistemica,
come “credere”, “conoscere”, “sapere”, e percettiva, come “vedere”