Introduzione: nel corso degli ultimi vent’anni si è assistito ad un significativo aumento del numero di pazienti con lesioni traumatiche estremamente gravi che giungono, ancora in vita, all’osservazione in ambito ospedaliero.
E’ frequente riscontrare in questi pazienti una combinazione di alterazioni omeostatiche quali un grave stato di acidosi, ipotermia e coagulopatia (“triade killer”) che sono in grado di portare al fallimento l’intervento chirurgico stesso.
Il termine “Damage Control” sta ad indicare una strategia chirurgica relativamente recente, articolata in più fasi, sviluppatasi con l’obiettivo di ridurre gli elevati tassi di mortalità riscontrati nei pazienti con traumi severi effettuando manovre chirurgiche minime, nell’ottica di ridurre il tempo operatorio del primo intervento, lasciando lo spazio alle manovre rianimatorie in Unità di Terapia Intensiva.
Scopo dello studio: scopo del nostro studio è stato quello di analizzare i risultati ottenuti dalla nostra Unità Operativa di Chirurgia D’Urgenza in 10 anni di attività con l’applicazione del Damage Control Surgery nel grave trauma addominale.
Materiali e metodi: nel periodo compreso tra il febbraio 2003 ed il febbraio 2013, sono giunti alla nostra osservazione, presso la U.O. Chirurgia Generale e d’Urgenza, circa 1190 pazienti traumatizzati dei quali in 558 casi è stato necessario un intervento chirurgico per il trattamento delle lesioni riportate. Di questi 558 pazienti sottoposti a chirurgia in 34 pazienti (6 %) le lesioni riportate erano talmente gravi, determinanti la comparsa di coagulopatia, acidosi e ipotermia ovvero della triade killer, da richiedere un trattamento di Damage Control Surgery. 24 erano maschi e 10 erano femmine con età media di 49,78 anni. L’Injury Severity Score è risultato di 30,12.
In tutti i casi si è trattato di politraumi con prevalenza di trauma addominale in 11 casi (32,2 %), addominale e cranico in 7 casi
(20,6 %), addominale e toracico in 5 pazienti (14,7 %), addominale e scheletrico in 6 casi (17,6 %), addominale, cranico e toracico in 1 paziente (2,9 %), addominale, toracico, cranico e scheletrico in 3 pazienti (8,8 %) e cranico e scheletrico in 1 caso (2,9 %).
La Damage Control Surgery è stata effettuata in 27 casi (79,4 %) per il controllo dell’emorragia; nei restanti casi in 3 pazienti (8,8 %) per la comparsa di una sindrome compartimentale, in 1 caso (2,9 %) per la prevenzione della sindrome compartimentale, in 1 caso (2,9 %) per la presenza di peritonite stercoracea da perforazione intestinale e in 2 casi (5,8 %) per l’instaurarsi di una pancreatite necrotico emorragica post-traumatica.
Risultati: il tasso di mortalità è stato del 67,6 % (23 pazienti). La durata media di degenza per i pazienti dimessi è stata di 25 gironi.
Per quanto concerne la morbilità essa ha presentano un tasso complessivo del 38,5 %.
Abbiamo peraltro riscontrato un’ incidenza di laparoceli a distanza dalla chiusura definitiva della parete addominale pari al 27 % .
Conclusioni: dai dati riportati nei principali studi in letteratura emerge come un intervento chirurgico secondo il principio della Demage Control Surgery, con risultati minimi ma utili e soprattutto rapidi, lasciando precocemente lo spazio alle manovre rianimatorie in Unità di Terapia Intensiva per la prevenzione ed il trattamento della “triade Killer”, rappresenti l’approccio migliore dimostrandone l’indubbia utilità nel ridurre il tasso di mortalità post-operatoria.
È certamente importante in un prossimo futuro uniformare le indicazioni per un appropriato utilizzo della DCS facendola così entrare nella pratica comune dei chirurghi che si occupano di urgenze traumatiche non come scelta “drammatica” ma come programma terapeutico articolato tra rianimatore e chirurg