L'articolo riprende un percorso di ricerca, che ha coinvolto diversi gruppi di professionisti e la scrivente in quanto pedagogista e ricercatrice, iniziato pi\ufa di dieci anni fa in un territorio del Nord dell'Italia, con l'obbiettivo di creare nuovi dispositivi nel lavoro in ambito sociale e psicopedagogico con i migranti. Grazie alla riflessione, all'ascolto dell'esperienza, alla formazione continua e alla rielaborazione durante il processo insieme a chi quotidianamente \ue8 impegnato nell'operativit\ue0, \ue8 stato possibile riconoscere lo sguardo con il quale si osservano gli altri e le altre che vengono da lontano e comprendere che le forme delle difficolt\ue0, che le famiglie, le donne e gli uomini che vengono da lontano presentano, riflettono inevitabilmente il modo di vederli, i sistemi di analisi e di attribuzione di senso e di significato delle istituzioni educative, sanitarie del paese di migrazione e dei loro professionisti. Ogni operatore, normalmente, pensa di essere preparato ad accogliere l'altro e forse per questo lo shock culturale ha sempre la caratteristica dell'imprevisto e di qualcosa che assomiglia ad uno scontro. Ma il disorientamento pu\uf2 essere um terreno fertile, se promove la necessit\ue0 e il Desiderio di fermarsi, tornare ad ascoltare, tornare a guardare i propri passi, riprendere i propri confini e le proprie interrogazioni
