La tesi analizza e valuta caratteristiche, missioni e operato dei Provincial Reconstruction Team (PRTs), squadre a
composizione mista civile-militare introdotte in Afghanistan a partire dal 2003. La loro ratio di fondo è stimolare la
sicurezza mediante attività umanitarie e di ricostruzione, nonché coadiuvare il governo di Kabul ad estendere la sua
autorità nelle aree periferiche del Paese.
L’opera procede per gradi successivi di approfondimento analitico. L’Introduzione fornisce un inquadramento
generale dell’intervento in Afghanistan, alla luce delle nuove teorie degli Stati falliti, delle operazioni di stabilizzazione
e ricostruzione, del nation-building e della “global Nato”.
Il Capitolo 1 si sofferma sullo scenario di ricostruzione del Paese, i cui progressi limitati sono ascrivibili alla
scarsa volontà politica di coordinamento dei numerosi attori presenti in teatro, alla previsione di fondi insufficienti e
alla loro gestione inefficiente. Scelte politiche poco oculate hanno caratterizzato tanto i progetti infrastrutturali quanto la
Security Sector Reform.
Il Capitolo 2, dopo un accenno al percorso “storico” di formazione dei PRTs, procede alla trattazione dei loro
aspetti più “tecnici”. Da essa traspare, come tratto centrale, l’assenza di sistematicità quanto a mandati, priorità e modi
operandi, in particolare per quanto attiene la gestione delle componenti militari e civili, essenzialmente a causa
dell’approccio della “nazione-guida”.
Il Capitolo 3 esamina le attività dei PRTs sul campo, facendo salva la ripartizione “classica” dei programmi
generali per l’Afghanistan in tre grandi ambiti: sicurezza, ricostruzione e sviluppo, governance. Ciò include i
controversi rapporti tra i PRTs e le altre organizzazioni civili e umanitarie operanti sul territorio, specialmente le ONG.
Il Capitolo 4, dopo avere illustrato gli assetti e le strategie del contingente italiano, si dedica all’analisi del PRT di
Herat, con un occhio di riguardo nei confronti delle metodologie di programmazione e delle tipologie di progetti svolti.
Con l’ausilio di testimonianze dirette raccolte dall’autore emerge l’esperienza interessante, a livello operativo, di un
“modello italiano” di PRT che funge da esempio per gli altri. Le scelte di livello strategico, tuttavia, appaiono tese
piuttosto a marginalizzare tale realtà sul fronte afghano ed a strumentalizzarla politicamente su quello interno.
In definitiva, l’esperienza dei PRTs è troppo variegata affinché se ne possa trarre un bilancio univoco e conclusivo.
Le sue innumerevoli “aree grigie” sono compatibili con il più generale contesto di ricostruzione dell’Afghanistan,
rivelatosi molto deficitario. Stante il rischio reale di fallimento dell’intervento internazionale, anche per quanto
concerne i PRTs si impone una riflessione accurata e un profondo ripensamento dei loro mandati, configurazioni e
modalità operative