Giuseppina Majani

Monaldi Archives for Chest Disease

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La psicologia in cardiologia riabilitativa si trovaormai lontana dal suo punto di partenza, quanto ba-sta per poter riflettere su se stessa e sulla strada finqui percorsa. È tuttavia esperienza comune che ope-razioni del genere possono anche non essere com-pletamente indolori, soprattutto se si considera chenel corso dei decenni la cardiologia riabilitativa hadecisamente cambiato utenza e conseguentementeconnotati. Sappiamo bene che l’allungamento mediodella vita ha stravolto il panorama delle esigenze as-sistenziali, portando in primo piano i bisogni di pa-zienti spesso anziani, con polipatologie, complessi enon di rado fragili. Le patologie croniche assorbonoalti livelli di impegno da parte di tutte le figure pro-fessionali del team riabilitativo, senza esclusioni.Questo cambiamento ha comportato fatica e ha ri-chiesto riformulazioni su più piani e in più contesti,oltre a una certa quota di frustrazione, dato che, perdirla con Eduardo Galeano, “ora che avevamo trovatole risposte, ci hanno cambiato le domande” [1].In questo panorama la psicologia ha sempre cer-cato sinergie e ha trovato il suo posto nella squadra.Ha imparato a dialogare con il sapere medico intutte le sue espressioni professionali e sta dignito-samente cercando le nuove risposte per le nuove do-mande. Tutto questo in un momento scoraggianteda un punto di vista economico, per la sempre cre-scente difficoltà a mantenere la sostenibilità dei no-stri modelli di cura. Lungo il continuum della catena assistenziale lariabilitazione cardiologica si colloca in una posi-zione temporalmente terminale, dove tutti i nodivengono al pettine. Alla cardiologia riabilitativa ar-riva la porzione più problematica dell’utenza: quellacomposta da casi complessi, da pazienti con patolo-gie croniche invalidanti, o reduci da storie clinichenon a lieto fine, con complicanze e comorbilità, Pa-zienti spesso anziani, e/o soli, e/o con famiglie pie-gate da carenze socio-strutturali e da problemi eco-nomici. Pazienti che in assenza della cardiologia ria-bilitativa sarebbero destinati a morire o ad affollarecon frequenza elevatissima i pronto soccorso e gliospedali per acuti.È la cardiologia riabilitativa che mette le mani làdove altri le hanno tolte o non le mettono affatto: èil suo compito. Ed è estremamente impegnativo. Hala stessa tensione del lavoro d’emergenza (quella deinuovi cardiopatici cronici sta diventando la nuovaemergenza) senza averne la ribalta e forse neppuregli stessi stanziamenti di risorse. Lo psicologo in questo panorama individua egestisce alterazioni del tono dell’umore o disturbid’ansia, corregge comportamenti a rischio, valutadeficit cognitivi, ridefinisce esperienze soggettivedi malattia, affianca paziente e familiari nella com-prensione dei fatti e delle scelte mediche, aggiustail tiro di aspettative erronee e soprattutto irrealisti-che, risale a possibili fonti di non aderenza, so-stiene nel tempo la motivazione all’aderenza, sup-porta familiari stremati e rassicura quelli delusi, ac-coglie lamentele, intercetta idee di suicidio, facilitala comunicazione con i medici e gli altri operatorisanitari, tiene il monitoraggio della qualità di vita,offre supporto e interventi psicoterapeutici, assisteil paziente nella ridefinizione del sé e dei propriruoli, apre la strada alla ricerca di un senso per lasofferenza del paziente e per la sua fatica di stareal mondo da malato. In parole povere, la psicologia contribuisce nonpoco a sbrogliare i nodi che arrivano in CardiologiaRiabilitativa, e lo fa basandosi su decenni di conso-lidata esperienza [2].Ma il risultato degli interventi psicologici non èvisibile a breve. La psicologia lavora su idee, con-vinzioni, aspettative, emozioni, motivazioni: tutterealtà immateriali, quasi mai del tutto oggettivabili,e soprattutto lente a cambiare, se cambiano, e inol-tre così connesse a tutto il tessuto personologico edesistenziale del paziente, da sfuggire molto spessoalla legge dell’evidence based medicine. Tuttavia èda queste realtà immateriali che dipende largaparte dell’outocome riabilitativo a lungo termine.Non tenerne conto significa fraintendere la que-stione alla base.Eppure esiste e resiste una certa forma di ridu-zionismo organicistico che non crede alla grandepotenza dei fattori psicologici nel determinare l’e-sito dei percorsi terapeutici in riabilitazione e ca-valca l’attuale crisi economica, arroccandosi, innome della lotta allo spreco, in una chiusura con-cettuale che non lascia nessuno spazio: non ci sonosoldi per lo psicologo. Come se lo psicologo fosseun inutile lusso. Esistono e imperversano improvvisati economistidel management sanitario che si lanciano in roboantiaffermazioni sull’appaltabilità dell’intervento psico-logico (“lo faccio fare all’infermiera, che costa menoe rende di più”), sulla definizione spannometrica diun intervento di minima (“uno psicologo ogni 100pazienti basta e soprattutto avanza”) o sul fai da tedel cardiologo (“io ho fatto il corso di counseling, ecosì non spendo per lo psicologo”).Psicologia in cardiologiariabilitativa: dove tutti i nodivengono al pettine. E tocca sbrogliarliPsychology in Cardiac Rehabilitation:where all problems emerge and should be solvedGiuseppina MajaniServizio di Psicologia, Fondazione Salvatore Maugeri - IRCCS,Istituto Scientifico di Montescano (PV).Corresponding author: Dr.ssa Majani Giuseppina; Servizio di Psicologia, Fondazione Salvatore Maugeri, IRCCS; IstitutoScientifico di Montescano; 27040 Montescano (PV), Italy; E-mail address: giuseppina.majani@fsm.it; Tel. +39 385 247212; Fax +39 385 61386CONTROVERSIE E PROSPETTIVE IN CARDIOLOGIA CLINICA, PREVENTIVA E RIABILITATIVAMonaldi Arch Chest Dis2012; 78: 57-5958G. MAJANID’altra parte, perché mai si dovrebbero investirealcuni dei pochi soldi disponibili per retribuire unapersona che lavora su realtà immateriali, per un ri-sultato che se c’è non si vede subito? La domandanon fa una grinza. Ma forse neppure la risposta: perché di fatto con-viene. Non è questa la sede per analizzare i motivi percui conviene, ma forse è utile ricordare qui alcunepeculiarità del lavoro dello psicologo in cardiologiariabilitativa.1. Non solo ansia e depressione, c’è anche altro. Ri-durre l’assessment psicologico alla rilevazione diansia e depressione, come spesso viene fatto,con poca spesa e due piccoli questionari, è cometenere conto – ad esempio – solo del tracciatoECG, lasciando perdere tutto il resto. Molti altrifattori rivestono grande importanza, ad esempiola rappresentazione mentale della malattia, o lostile di coping. Forse sono poco studiati (più dif-ficili da studiare, o poco interessanti per l’indu-stria farmaceutica). Eppure, in termini di de-corso e di medical outcome, possono esseremolto importanti, perché modulano l’intero per-corso di adattamento alla malattia, e addirittural’impatto stesso della depressione sulla gestionedella malattia e sulla qualità della vita. Il fattoche un costrutto sia meno approcciabile con imetodi di ricerca più consolidati non lo rendemeno incisivo sulla realtà. Una valutazione psi-cologica clinica ha gli strumenti, i metodi el’ampiezza di osservazione necessari a cogliere laconfigurazione psicologica del paziente nel suoinsieme, oltre all’eventuale ansia o depressione. La diagnosi di depressione (che rimane comun-que di grande importanza) si fa attraverso un col-loquio clinico, non equivale alla somministra-zione di due item, esattamente come frequenzae pressione non equivalgono a una visita cardio-logica. Eppure spesso ci si comporta come secosì fosse, e vengono legittimate procedure discreening psicologico assolutamente insuffi-cienti solo perché costano poco. In ambito me-dico, fare di meno può significare fare altro, ecioè sbagliare. Quanti falsi negativi possono pas-sare da maglie così larghe? Lo scadimento dellaqualità del lavoro clinico non è la soluzione alproblema della contrazione delle risorse: è unpezzo del problema. Sostituendo la parte al tutto,o sostituendo un numero a quello che deve es-sere un processo si ottiene una percezione fal-sata della realtà sulla quale si vuole incidere, conla conseguenza che il nostro operato risulterà neltempo inappropriato a ciò cui viene applicato.Avremo risparmiato: per ottenere che cosa?2. I medici ragionano molto in termini di numeri,peraltro importantissimi: frequenza di riacutiz-zazioni, numero di decessi, parametri cardiaci,six minute walking test, etc etc. Invece i pa-zienti ragionano in termini di qualità. E la saluteè fatta di dati qualitativi – non solo quantitativi– e soggettivi. Di fatto la soggettività è la verapadrona del futuro e del benessere del paziente.Averci a che fare è scomodo, ma qualcuno dovràpur farlo, perché una patologia diventa malattiaattraverso il filtro inesorabile della soggettività,e questo passaggio, una volta compiuto, non èreversibile. Quella soggettiva e qualitativa è l’u-nica realtà clinica con la quale abbiamo a chefare, e la psicologia ha gli strumenti per poterladecifrare.3. Ragionare in termini di fattori di rischio e bastaè come definire la situazione economica di unapersona conoscendone solo le spese, senza sa-pere qual è il suo reddito. I fattori di rischiosono molto importanti, ma vengono modulatidal comportamento e dalle idee dei pazienti, eda mille altri fattori. L’ICF non ha molta fortunain cardiologia riabilitativa, ma ci ha insegnatoche una valutazione del bilancio problemi-ri-sorse è fondamentale se quello che vogliamofare è riabilitazione. A parità di fattori di ri-schio, le risorse psicologiche del paziente fa-ranno la differenza, perché costituiranno il suoequipaggiamento per il lungo viaggio nella ma-lattia cronica: le risorse sono importanti quandola vita si fa dura, non quando è facile. La psi-cologia clinica sa lavorare sull’interazione tra li-miti e risorse senza la rete dell’infallibilità al-gebrica. Ottimismo, speranza, coraggio, flessi-bilità, creatività, fede, senso di coerenza: nonsaranno traducibili in numeri, ma aiutano i no-stri pazienti a stare al mondo da malati. E fannola differenza. Sono fonti di benessere che dob-biamo aiutare i nostri pazienti a trovare dentrodi sé e mantenere vive [3].4. I familiari dei pazienti non sono appendici più omeno ingombranti dei pazienti: sono quelli chehanno molte domande da fare, nessuna dellequali stupide, e sono quelli da cui spesso puòdipendere l’aderenza del paziente una volta di-messo. Vengono ascoltati, e rispettati. Ma avolte hanno bisogno di qualcosa in più: un sup-porto più mirato, una revisione delle loro aspet-tative, un aiuto ad accettare. In questi casi laspecificità del lavoro psicologico clinico deve es-sere disponibile anche per i caregiver, il cuiruolo nella gestione domiciliare delle terapienon è affatto marginale. 5. In una sola riunione di educazione sanitaria digruppo si possono offrire a molti pazienti molteinformazioni. Per costruire una sola convinzionepuò non bastare un’ora di colloquio psicologicoindividuale. Ma le informazioni non produconocambiamento; le convinzioni sì. Il processo cheinterviene sulle convinzioni si chiama ristruttura-zione cognitiva, ed è una tecnica psicoterapeu-tica. I pazienti hanno bisogno di adattarsi allaloro malattia, e per farlo hanno bisogno di modi-ficare le loro convinzioni sul rapporto (il loro rap-porto) tra salute/malattia e qualità della vita.Hanno bisogno di ridefinirsi e di ridisegnare i lororuoli nel loro mondo [4]. Aiutarli in questo pro-cesso è compito della psicologia.È vero, l’efficacia del lavoro psicologico fatica adacquisire visibilità secondo i criteri della moderna59PSICOLOGIA IN CARDIOLOGIA RIABILITATIVA: DOVE TUTTI I NODI VENGONO AL PETTINE. E TOCCA SBROGLIARLIevidence based medicine. Ma questo dipende dallasua natura e dalla natura del suo oggetto, non dallasua inconsistenza. Se basiamo il nostro lavoro solosulle acquisizioni evidence based, rischiamo di es-sere fregati sui tempi medio lunghi da quello che evi-dente non è. L’impegno che porta a un buon out-come riabilitativo (quello vero, che non può stare inun solo indicatore e in un solo momento valutativo)è un lavoro sapiente e attento, fatto di vere collabo-razioni interdisciplinari, in cui la psicologia ha unruolo suo e chiaro, anche se non subito e oggettiva-mente evidente. L’impegno di chi fa riabilitazionenon si ferma a livello molecolare, o muscolare o va-scolare o funzionale: si muove su piani ben diversi,arriva a piani ben più alti. Non ci si può fermare ametà strada. Rinunciando al contributo della buonapsicologia, o riducendolo, o mimandolo, certamentesi contiene la spesa, ma si abbassa la qualità del-l’offerta. Il rischio è quello di soddisfare le richiestedel sistema anziché le esigenze di salute di coloroper cui il sistema esiste, e di preparare nei tempi me-dio-lunghi un tale incremento della richiesta chenessun sistema sarà più in grado di soddisfare de-centemente. Bibliografia 1. Galeano E, Parole in cammino. Milano: Sperling & Kupfer,2006.2. Erdman RAM, Pedersen SS. Clinical and scientific progressrelated to the interface between cardiology and psychology:lessons learned from 35 years of experience at the Thorax-center of the Erasmus Medical Center in Rotterdam. NethHeart J 2011; 19: 470-476.3. Majani G. Positive psychology in psychological interventionsin rehabilitation medicine. G Ital Med Lav Ergon 2011;33(Suppl A): A62-A66. 4. Pierobon A, Giardini A, Callegari S, Majani G. Psychologicaladjustment to a chronic illness: the contribution from cog-nitive behavioural treatment in a rehabilitation setting. GItal Med Lav Ergon 2011; 33(Suppl A): A11-18.

Psychology in Cardiac Rehabilitation: where all problems emerge and should be solved

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