Il concetto di circolarità nelle relazioni fra polizia, criminalità e popolazione

Abstract

Nel presente paper si analizza il modo in cui nell\u2019et\ue0 contemporanea i tre principali protagonisti del controllo sociale e del territorio - vale a dire polizia, criminali e popolazione - hanno indotto trasformazioni radicali nel modus operandi l\u2019uno dell\u2019altro. Tali trasformazioni sono registrabili anzitutto nelle mentalit\ue0 degli attori sociali, in secondo luogo nelle pratiche e, infine, nell\u2019area d\u2019azione di questi all\u2019interno del territorio pi\uf9 prossimo o anche in quello molto lontano. Un effetto di contaminazione che ha dunque mostrato l\u2019inadeguatezza di un\u2019interpretazione unidirezionale delle relazioni di potere, svelando invece la complessit\ue0 di rapporti sociali che sono trasversali e variabili. L\u2019analisi \ue8 condotta a partire dai tre casi di studio che chi scrive ha avuto modo di approfondire nel corso degli ultimi anni, nel quadro di una ricerca principalmente indirizzata, come obiettivo iniziale, allo studio delle contaminazioni rintracciabili nei comportamenti e nelle culture della classe operaia e della malavita - insomma della piccola criminalit\ue0 - nei quartieri popolari di alcune citt\ue0 europee nella prima met\ue0 del Novecento. Al contempo, ci si \ue8 interrogati circa la natura delle relazioni triangolari tra proletariato garantito, piccola criminalit\ue0 e forze di polizia. Chi scrive ha dunque lavorato - e sta lavorando - alla costruzione di una storia comparata di alcuni quartieri di Barcellona, di Milano e di Marsiglia nel corso del Novecento, i casi di studio finora affrontati. Le chiavi su cui concentrare l\u2019attenzione sono state individuate nella capacit\ue0 di penetrazione economica delle criminalit\ue0 e nell\u2019effetto di contaminazione da esse esercitata sulle culture operaie pi\uf9 tradizionali (orgoglio del mestiere, solidariet\ue0 cooperative e partitiche) e sull\u2019attivit\ue0 esercitata dalle organizzazioni politiche sul territorio. Le fonti principali su cui si \ue8 insistito sono fonti primarie di polizia (inchieste, verbali di deposizioni, verbali di interrogatorio, rapporti ai superiori, ecc.), fonti giudiziarie (dei diversi gradi di giudizio) e fonti governative reperite in diverse citt\ue0 italiane, in Svizzera, in Francia, in Spagna e anche in Inghilterra e negli Stati Uniti, paesi che conservano la documentazione prodotta dagli alleati nel periodo dell\u2019Allied Control Commission. Fra le fonti ulteriori vanno invece annoverate la stampa periodica (per l\u2019Italia soprattutto \u201cLa Perseveranza\u201d, \u201cIl Secolo\u201d, \u201cCorriere della Sera\u201d e \u201cCorriere d\u2019informazione\u201d), le memorie dei protagonisti e, naturalmente, la storiografia. Il complesso del controllo sociale e delle pratiche di polizia \ue8 costituito da un insieme di rapporti articolati - e problematici - in verticale e in orizzontale: chi scrive si \ue8 per\uf2 trovato a insistere, negli ultimi anni, sulla circolarit\ue0 dei comportamenti fra popolazione, malavita e polizia e fra le istituzioni nel loro complesso. Circolarit\ue0 dei comportamenti significa in primo luogo che si assiste - e si \ue8 storicamente assistito - a reciproche contaminazioni capaci di modificare gli atteggiamenti dei gruppi, moltiplicando al contempo le occasioni di incontro. Tale contaminazione ha mostrato una continuit\ue0 circolare, priva di interruzioni, che non pu\uf2 giungere a un compimento finale. Tali meccanismi conducono inevitabilmente a una sovversione radicale dello stereotipo di un controllo sociale monodirezionale e puramente repressivo, forzandolo al contrario su un piano qualitativamente diverso della funzione sociale, delle relazioni di oppressione e di soggezione, insomma di potere. In questa prospettiva, risulta inutile eccedere con le modellizzazioni e con le teorizzazioni delle prassi di polizia, che appaiono al contrario enormemente funzionali, pragmatiche e - sempre - fortemente ancorate al contesto. La costruzione di modelli dovrebbe pertanto guardare - pi\uf9 che altro - alla ricerca di ricorrenze nella gestione pratica della funzione di polizia e di controllo e nelle modalit\ue0 con cui le forze dell\u2019ordine affrontano contesti cangianti e sfuggenti. Ecco un altro dei motivi per cui risulta impossibile comprendere i delinquenti al di fuori del loro contesto sociale, al di fuori delle loro relazioni con la popolazione locale e con le istituzioni, in primo luogo - appunto - con quella poliziesca, che ai criminali \ue8 estremamente contigua per collocazione territoriale - e anche abitativa - e dunque dal punto di vista pi\uf9 genericamente esistenziale. La circolarit\ue0 di queste relazioni \ue8 tutt\u2019altro che scontata e banale. \uc8 proprio la loro complessit\ue0, anzi, che aiuta gli studiosi delle polizie e delle criminalit\ue0 a superare il piano del racconto fattuale, cio\ue8 che li forza a costruire modelli - si badi, appunto, che non possono mai essere modelli \u201ctotalizzanti\u201d e decontestualizzati - capaci di guidarli nella comprensione, e nella sintesi, di piani cos\uec articolati e diversi. Si arriva dunque a ricostruzioni quasi prosopografiche (di gruppi di criminali in conflitto fra loro; di gruppi particolari di poliziotti - agenti corrotti e non; dei membri di associazioni attive sul territorio) che servono non a far luce sugli episodi (e sui profili polizieschi o criminali) nelle loro individualit\ue0, ma sui meccanismi interni di quelle societ\ue0 e di quelle istituzioni per mezzo di un medium che dal punto di vista di chi scrive \ue8 costituito dai quartieri popolari. Quartieri in cui emerge con forza la complessit\ue0 di queste relazioni mutevoli, mai scontate n\ue9 date; relazioni funzionali e, se vogliamo, addirittura opportunistiche tra la popolazione garantita (per buona parte del Novecento soprattutto il proletariato di fabbrica), le istituzioni (e in particolare la polizia) e la piccola criminalit\ue0. Studiando i casi di alcune citt\ue0 europee nei primi decenni del Novecento - e in particolare quelli di Milano, Marsiglia e Barcellona - \ue8 emersa una fortissima tendenza alla sovrapposizione dei comportamenti, la circolarit\ue0 appunto, assunti dai criminali, dalla polizia e dalla popolazione, come se ci si trovasse davvero profondamente calati in una societ\ue0 degli esempi: buoni, o pi\uf9 spesso cattivi, che fossero. Circolarit\ue0, per\uf2, capace anche di farsi strumento di modernizzazione delle pratiche di polizia, poich\ue9 le polizie e - ancor pi\uf9 spesso - le criminalit\ue0 si sono continuamente trovate a stimolare trasformazioni nel fronte opposto, con la malavita che ha pi\uf9 spesso assunto la parte della \u201clepre\u201d. Nel senso che \ue8 stata quasi sempre in anticipo, forzando la polizia \u2013 anche quando si trovava tutta protesa verso i nuovi metodi scientifici d\u2019indagine \u2013 a insistere sugli strumenti pi\uf9 antichi fra quelli a sua disposizione, come per esempio le delazioni e in generale lo sfruttamento delle relazioni fiduciarie dentro i quartieri. In questa prospettiva, per complicare ulteriormente il quadro, si vede come, pi\uf9 che le fantomatiche solidariet\ue0 di classe fra operai e malviventi \u2013 tanto care alla letteratura amatoriale e alla narrativa in genere \u2013 quella che si \ue8 affermata nel Novecento \ue8 stata una solidariet\ue0 sdoppiata, da una parte, tra la classe operaia (legalitaria) e le polizie, e dall\u2019altra fra criminali e componenti corrotte delle forze dell\u2019ordine. Semmai, in tema di solidariet\ue0, pare evidente come le forze di polizia, a Marsiglia e a Milano, abbiano storicamente tollerato buona parte delle pratiche malavitose non cruente adottate dai piccoli criminali al fine di migliorare le proprie condizioni di vita, coerentemente con la gestione delle \u201cregole del disordine\u201d teorizzata da Salvatore Palidda; col patto tacito, cio\ue8, che tali pratiche non oltrepassassero un certo limite e non compromettessero, soprattutto, l\u2019equilibrio del sistema. Talvolta, per\uf2, ci\uf2 ha trasformato tale solidariet\ue0 esistenziale in una vera e propria correit\ue0, o addirittura nella condivisione di alcuni mercati illegali. Barcellona, con l\u2019enorme commistione di criminalit\ue0 politica e criminalit\ue0 sociale (vale a dire l\u2019elevata promiscuit\ue0 e vicinanza di malavitosi che avevano come obiettivo la sussistenza e di malavitosi che avevano anche motivi politici) sembra sfuggire a questo quadro, e proprio il fatto che a questo quadro essa sfugga conferma quanto si sta cercando di sostenere: un modo di vivere l\u2019illegalit\ue0 condotto in collaborazione con i \u201crivoluzionari di professione\u201d spezza infatti il meccanismo delle \u201cregole del disordine\u201d, forzando le polizie ad assumere pi\uf9 costantemente pratiche direttamente repressive e meno improntate alla tolleranza \u201criparativa\u201d delle storture sociali (con il fine, in realt\ue0, di contribuire alla pace sociale). Una funzione che, tuttavia, nel contesto barcellonese \ue8 forse stata assunta dai tribunali (che sembravano assolvere con grande disinvoltura, soprattutto quando a giudicare erano i Jurados, giudici popolari ma dotati di eguali poteri); ma, su questo, chi scrive \ue8 ancora ben lontano dall\u2019aver definito un\u2019idea anche solo imprecisa. Non \ue8 un caso, peraltro, che anche a Milano e a Marsiglia questo tipo di pratica sia andata in crisi proprio con le Contestazioni e con l\u2019affermarsi di un nuovo concetto (e di nuove pratiche di massa) di illegalit\ue0. Una tolleranza, tuttavia, una sorta appunto di vicinanza esistenziale che non di rado, a Milano come a Marsiglia, ha portato a una vera e propria condivisione di pratiche e di mercati illeciti fra malavitosi e agenti corrotti, come numerosi casi di studio da chi scrive analizzati (e altrove gi\ue0 esposti) hanno abbondantemente mostrato. Talvolta, questo tipo di pratiche illegali (furti, rapine e ricettazione soprattutto) hanno finito con l\u2019investire interi commissariati o funzionari di altissimo livello, sia in Italia che in Francia. Valga un solo esempio per tutti, perch\ue9 sarebbero molti: nel 1946, le indagini dell\u2019ispettore di polizia Saverio Polito (poi caduto a sua volta in disgrazia perch\ue9 accusato di aver insabbiato le indagini relative all\u2019assassinio di Wilma Montesi avvenuto a Torvaianica nel 1953), portarono all\u2019arresto del vicequestore Mario Beltramo e di alti funzionari della polizia ausiliaria, tutti accusati di complicit\ue0 in rapine e estorsioni. Pi\uf9 in generale, questi temi paiono ben confermati dall\u2019analisi delle pratiche di polizia nel contrasto del traffico di droga. Si prenda il caso francese, che anticipa di qualche decennio analoghe trasformazioni poi avvenute in Italia (trasformazioni iniziate a partire dagli anni Venti in Francia e a partire dalla fine degli anni Cinquanta in Italia). Qui, pare che dette pratiche abbiano pienamente obbedito a quella che in diverse occasioni abbiamo chiamato la circolarit\ue0 dei comportamenti poliziesco/malavitosi: se i primi tentativi di regolamentare e poi vietare l\u2019uso delle sostanze stupefacenti portarono alla persecuzione di quei gesti e di quei luoghi (come le fumerie di oppio o di hashish) che erano stati a lungo di moda e avevano addirittura rappresentato una sorta di posa artistica dall\u2019alto contenuto estetico, la chiusura di questi spazi sociali spinse i nuovi grossi criminali a favorire e diffondere tra i drogati un uso diverso (individualizzato, oltre che pi\uf9 nocivo) e meno perseguibile \u2013 perch\ue9 meno visibile \u2013 delle droghe, che si facevano del resto via via pi\uf9 pesanti. Il nuovo assetto organizzativo delle brigate mobili di polizia, costituite fra la fine del 1907 e l\u2019inizio del 1908, sembrava dunque funzionare a dovere. Riveste un certo interesse storiografico rilevare dunque che la costituzione di queste brigate mobili \u2013 e soprattutto la loro progressiva motorizzazione a partire dall\u2019anno 1911 (quando per\uf2 le vetture erano soltanto quattro per tutte le brigate), o meglio dall\u2019anno 1912 quando ogni brigata ebbe in dotazione un mezzo \u2013 ha poi modificato le abitudini dei criminali tanto quanto le gesta dei criminali hanno ovviamente contribuito a modificare strutture e metodi delle forze dell\u2019ordine. Questa trasformazione era la conseguenza di una serie di circostanze correlate, o meglio, appunto, di una certa circolarit\ue0 dei condizionamenti fra le pratiche poliziesche e le pratiche criminali. Inizialmente, il fatto che sempre pi\uf9 spesso rapinatori e trafficanti usassero le automobili obbligando gli agenti a impossibili inseguimenti a piedi port\uf2 appunto alla motorizzazione delle forze di polizia. Il fatto, poi, che la polizia avesse a sua volta conquistato una adeguata capacit\ue0 di mobilitarsi sul territorio, dal punto di vista della velocit\ue0 degli spostamenti e dell\u2019area coperta, spinse la piccola criminalit\ue0 a ristrutturare la sua collocazione geografica ampliandola e variandola, sia in direzione degli spazi pi\uf9 prossimi che verso quelli anche molto lontani. Questa nuova mobilit\ue0 poliziesca fu dunque messa a frutto anche nella repressione del crescente traffico degli stupefacenti. La determinazione mostrata dalle forze di polizia \u2013 da una parte nella persecuzione di trafficanti e drogati e dall\u2019altra nella chiusura di tutti quegli spazi sociali (destinati al consumo degli stupefacenti) che erano di moda nella Francia di inizio Novecento \u2013 diede un ulteriore impulso allo sforzo messo in atto dai nuovi gangster per industrializzare e internazionalizzare il traffico della droga, e li spinse come detto al tentativo di individualizzare il consumo garantendosi al contempo una maggiore fidelizzazione (la dipendenza\u2026) della sempre pi\uf9 vasta clientela. Inoltre, la mancanza \u2013 nei primi decenni \u2013 di linee guida ben definite (soprattutto dal punto di vista delle pratiche) per le forze di polizia che dovevano contrastare il traffico di droga favor\uec oggettivamente una grossa accumulazione di capitali da parte dei boss pi\uf9 importanti. L\u2019enorme - e senza precedenti - ricchezza garantita da questa mutazione dei commerci criminali cambi\uf2 radicalmente lo stesso milieu, rendendolo se possibile ancora pi\uf9 aggressivo e tendenzialmente sempre pi\uf9 monopolistico. Ci\uf2 che, finalmente, rese sempre pi\uf9 centralizzati, specializzati e combattivi anche quei settori della polizia che \u2013 proprio a partire da quei decenni \u2013 si dedicarono ormai esclusivamente alla funzione antidroga. Di nuovo, per\uf2, poich\ue9 la circolarit\ue0 riguarda non solo le pratiche ma anche le mentalit\ue0 - dei criminali, dei poliziotti e della popolazione dei quartieri popolari -, l\u2019enorme accumulazione di capitali garantita alla criminalit\ue0 dal traffico di droga, in Francia come in seguito anche in Italia, rese possibile alla malavita di corrompere ai pi\uf9 alti livelli l\u2019istituzione poliziesca e anche la politica (da questo punto di vista, com\u2019\ue8 noto, Marsiglia e alcune realt\ue0 italiane rappresentano un esempio clamoroso). \uc8 ampiamente noto, di nuovo, che all\u2019inizio del Novecento fu proprio l\u2019abitudine dei criminali di cambiare e nascondere le proprie generalit\ue0 che diede la spinta definitiva alla costituzione e messa in opera effettiva dei Servizi di archivio e di identificazione, che presero a operare in modo sempre pi\uf9 adeguato nonostante le enormi difficolt\ue0 incontrate dal punto di vista della gestione operativa, come in Italia denunci\uf2 anche il capo della pubblica sicurezza Francesco Leonardi con una circolare del 1910: \u201cSi accumulano cos\uec ogni mese presso la Direzione della Scuola di Polizia Scientifica molte centinaia di cartellini da classificare, rivedere, archiviare ecc. con affrettato lavoro, che mentre potrebbe danneggiare la precisione del servizio, non basta a renderlo abbastanza sollecito. Segnatamente avviene che un pregiudicato, e anche pi\uf9 spesso uno straniero, gi\ue0 segnalato dagli uffici segnaletici locali, e nuovamente arrestato con nome diverso, sia posto in libert\ue0 prima ancora della spedizione del cartellino segnaletico al Casellario Centrale, che solo dopo parecchio tempo si trova cos\uec in grado di accertarne inutilmente l\u2019identit\ue0\u201d. Un altro buon esempio di circolarit\ue0 \ue8 rappresentato dagli informatori. Quando si tratta di \u201cinformatori\u201d si tratta spesso, allo stesso tempo, sia di criminali che di \u201cfiduciari\u201d; ci\uf2 che talvolta \u2013 criminali e fiduciari \u2013 erano gli stessi confidenti di strada e le altre figure pi\uf9 esposte, come i portinai o, in particolare, i baristi. I quali per\uf2, considerata la facilit\ue0 con la quale morivano anche i grossi criminali nel momento in cui si trasformavano in delatori, potrebbero forse aspirare, legittimamente, anche al ruolo di vittime di un sistema di protezione sociale che non funzionava, obbligati com\u2019erano a barcamenarsi tra le spinte della polizia e quelle dei loro clienti, che a Marsiglia, a Milano, a Barcellona e anche altrove, almeno in quella fase storica, non era improbabile che potessero essere dei delinquenti violenti. Di nuovo, questa indeterminatezza, questa mancanza di riferimenti precisi dentro i quartieri (l\u2019incapacit\ue0, cio\ue8, da parte degli attori sociali, di identificare rapidamente e con facilit\ue0 i confini tra legalit\ue0 e illegalit\ue0 nelle condotte di ognuno) favoriva l\u2019assunzione, da parte di tutti, di posizionamenti ambigui che quegli stessi confini oltrepassavano in continuazione in un senso o nell\u2019altro. Anche in tema di informatori, insomma, sembra che possa dirsi confermata la tendenza, su cui chi scrive si trova ad insistere, a una certa circolarit\ue0 dei reciproci condizionamenti - e dunque dei comportamenti - fra forze dell\u2019ordine, criminali e popolazione

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