L’archeologia ha da sempre descritto, analizzato e discusso la spazialità del ritrovamento ma, come per la datazione, anche la collocazione geografica di un documento, il suo posizionamento topografico e la sua rappresentazione carografica sono tecniche destinate ad esplorare il territorio, tecniche che sono cambiate nel tempo, in rapporto al trasformarsi delle percezioni spaziali (dei paesaggi, dei luoghi, dei “non”-luoghi), e con la conquista di altri punti di vista introdotti dalle relazioni interdisciplinari che lo studio del passato ha tracciato con la geomatica e le neuroscienze, relazioni capaci di potenziare la nostra percezione del micro e del macro-cosmo. Nel riconoscere alcuni lineamenti di queste trasformazioni potremmo risa- lire molto indietro nel tempo, ma sarebbe poi artificioso tentare di restituirli tutti ad una sequenza diacronica e rischiare di segnarli come “tratti” di un processo scientifico evolutivo, universale, ortogenetico. E allora cercheremo di procedere discutendo alcune delle diverse concezioni spaziali, come se queste fossero paradigmi complementari di lettura e misurazione della terra e degli uomini, paradigmi pluristratificati che affiorano sino all’età contemporanea e che stanno formando l’epistemologia stessa di quella che oggi, traducendo la definizione inglese di Landscape Archaeology, definiamo come Archeologia del Paesaggio. Questa nuova disciplina delle scienze storiche e archeologiche do- cumenta e analizza la complessa fenomenologia del rapporto tra ambiente, territorio e mobilità umana