PIEVATOLO M

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PIEVATOLO, MARIA CHIARA

Archivio della Ricerca - Università di Pisa

Oltre la leggedi Maria Chiara PievatoloPerché leggere ancora Kant? L'intervento di Gonnelli e quello di Veca rispondono in maniera simile a questa domanda: il pensiero di Rawls è oggi il termine di confronto obbligatorio, per il filosofo politico che voglia riprendere Kant  sistematicamente,  o  per  via  di  saccheggio.  Rawls è autore  di  una fortunata  teoria  della  giustizia  come  sistema  di  princìpi  ragionevoli  per  strutturare  regole  e  istituzioni  giuste,  di  fronte  al  pluralismo delle morali e delle concezioni del bene. Questa circostanza espone al pericolo che l'accettazione  – critica o no – del filtro di Rawls comporti una riduzione della filosofia politica di Kant a filosofia del  diritto. Ma la mediazione di Rawls non rischia di far perdere, quanto, del pensiero di Kant, va oltre la legge? Kant  potrebbe  apparire,  alla  maniera  di  una  vulgata  marxista  ormai  desueta,  come  un  impotente sistematizzatore  dell'acquisito  entro  rigide  regole  –  quando  questi,  da  autore  di  progetti  utopici  contemporaneo alla Rivoluzione francese, può offrire molto più proprio come pensatore politico.In A Theory of Justice Rawls si propone di vagliare la validità delle«nostre convinzioni intuitive sul primato della giustizia»1 e non sente il bisogno di far precedere la sua opera politica da una autocritica della ragione. Ci siamo “noi” e le “nostre” intuizioni; si tratta semplicemente di renderle esplicite e coerenti. Rorty ha  paragonato Rawls a un Hegel2 poco autocosciente – un sistematizzatore, con una implicita filosofia della storia, che comprende e giustifica ciò che è già dato, entro uno stato benedetto da quello che il filosofo  tedesco avrebbe chiamato spirito del mondo. Se questo è vero, ridurre Kant a Rawls, rischia di ricondurre l'impresa critica e la forza politica dell'utopia ad una  autocelebrazione dello spirito del mondo, tanto più superflua quanto meno consapevole.Tuttavia,  se  la  filosofia  del  diritto  di  Kant  fosse  separabile  dal  sistema  kantiano  come  una  unità  autosufficiente,  una  simile  riduzione sarebbe non solo plausibile,  ma  teoreticamente  inquietante,  perché comporterebbe che l'esito politico dell'autocritica della ragione sia una vuota catalogazione. Pertanto, una  lettura  alternativa  deve  proporsi  di  mostrare  che  lo  stesso  diritto  kantiano  non  può  essere  compreso  pienamente senza connetterlo al resto del sistema, cioè, prima, alla ragione speculativa nel suo complesso e,  dopo, alla filosofia della storia e ad un embrione appena accennato, ma importante, che potremmo chiamare  filosofia della comunicazione. Non si tratta di una inutile questione di ortodossia: la posta in gioco è capire  se Kant, in questo momento, ha ancora una forza critica.  Secondo Gonnelli, il problema iniziale, per Kant, è quello delle condizioni di possibilità del diritto. Come è possibile che un atto sia chiamato un torto quando non consiste, per esempio, in una lesione fisica diretta? In  primo luogo – e questa è una condizione che c'è già – il territorio del diritto è prodotto dall'interazione fra le  molte libertà degli individui, intesi come agenti responsabili che fanno ciò che credono giusto e buono. In secondo luogo, gli atti che producono il territorio del diritto devono poter essere pensati, per definizione,  secondo una regola, nella quale, per la restrizione formale dell'universalità, devono poter essere concepite  tutte le libertà insieme: l'interazione fra le diverse libertà deve produrre effetti uguali su ciascuna di esse. In terzo luogo, il giudizio giuridico, è un giudizio storico, nel senso che comanda qualcosa che è in atto se non  ora, virtualmente altrove nel tempo. Questi tre aspetti possono essere effettivamente rintracciati in Rawls: la  libertà e il conseguente pluralismo degli arbitri sono un dato di fatto; il diritto deve essere pattuito in modo tale rendere compatibili, nei loro effetti, tutte le libertà individuali; e la validità del diritto è storica, in quello  che noi condividiamo. Ma ci sono anche in Kant?Nella stessa  Metaphysik der Sitten,  Kant, afferma che la morale è chiamata dottrina dei doveri e non dei  diritti,  per  quanto  questi  siano  correlativi,  perché  noi  conosciamo  la  nostra  libertà  solo  per  mezzo  dell'imperativo  morale, che  prescrive  doveri,  e  dal  quale  si  può derivare  poi  il  diritto  come  facoltà  di obbligare gli altri (AB 48). Anche se volessimo limitarci ad usare, come riferimento primario, la dottrina del diritto  della  Metafisica  dei  costumi,  lasciando  cadere  la Critica  della  ragion  pratica,  non  potremmo dimenticare  che  la  conoscibilità  della  libertà  dipende  dall'imperativo  morale.  Perciò,  il  problema  della coesistenza degli arbitri si pone come problema per la ragion pratica in quanto i portatori dell'arbitrio sono pensati come potenziali agenti morali, i quali, appunto, fanno ciò che sembra loro giusto e buono. Questo 1 J. Rawls, A Theory of Justice, Oxford U.P., Oxford 1973, p. 4 (trad. it. di U. Santini, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano 1993, p. 22).2 Si  veda  per  esempio  l  ’intervista  a  R.  Rorty  su  “Reset”,  marzo  1998,  ora  presso <http://www.symbolic.parma.it/bertolin/9803d.htm>.però comporta che le libertà degli individui non siano un dato di fatto elementare o un punto di partenza, ma  siano conoscibili solo entro una prospettiva morale,  teoreticamente problematica.3 Possiamo, certo, isolare la filosofia del diritto di Kant dalle sue premesse morali e teoriche. Ma allora spetta a noi l'onere di provare  che la libertà è conoscibile altrimenti,  cioè indipendentemente dall'imperativo categorico e da  una teoria morale.La filosofia del diritto di Rawls può essere vista come un liberalismo politico: una formula alchemica per trovare  una  intersezione,  o  sovrapposizione,  fra  diverse  concezioni  del  bene.  Conseguenza  di  questa  impostazione è che il mondo del diritto, e ancor più quello della politica, rischia di ridursi a una camera di  compensazione per vite il cui senso, se c'è, si trova altrove. In Rawls, cultura e società vengono in luce  soltanto come componenti problematiche di un gioco di alchimia giuridico-politica. In Kant, proprio perché la sua filosofia politica non si riduce a una formula per il  diritto, c'è molto di più. Nella stessa  Metafisica  dei  costumi (§52)  viene  detto  chiaramente  che  la  repubblica,  o  democrazia  rappresentativa,  è  la  sola  costituzione conforme al diritto. Ma tanta attenzione al diritto pubblico non si spiegherebbe se il problema del  diritto  si  riducesse  all'invenzione  di  una  formula  per  contemperare  una  pluralità  di  arbitri,  privatisticamente intesi – una formula che potrebbe anche ridursi a un affare tra filosofi e giuristi di mestiere, ove  la  dichiarazione  e  coercizione  pubblica  potrebbero  anche  intendersi  come  elemento  accessorio  e accidentale.In Zum ewigen Frieden Kant propone due princìpi trascendentali del diritto pubblico, uno negativo e l'altro positivo: quello negativo recita che «tutte le azioni che si riferiscono al diritto di altri uomini, la cui massima non è compatibile con la pubblicità sono ingiuste» (B 100/A 94); quello positivo che «tutte le massime che hanno bisogno della pubblicità per non venir meno al loro scopo concordano insieme con la politica e col  diritto» (B 110/A 103).  Per  Kant,  senza  la  forma  della  pubblicità  non si  darebbe  giustizia;  il  principio  positivo permette di verificare l'accordo della politica con il fine generale del pubblico, la felicità. Il tema della  pubblicità  ricorreva anche  nello  scritto  sull'Illuminismo,  a  proposito  del  libero  uso pubblico della ragione nel  dibattito  culturale,  in  contrapposizione all'uso meccanico ed eteronomo cui  sono vincolati  i  funzionari dello stato e di altre istituzioni. Felicità - come possibilità politica di conseguire ciò di cui siamo  degni - e pubblicità mostrano che Kant non si accontenta della lettera della legge e dei recinti liberali del  diritto privato. Bisogna andare oltre, in uno spazio pubblico di confronto che ospita, nello stesso tempo, la  felicità e la cultura come qualcosa che viene discusso in comune. La legge è importante, ma il luogo in cui  essa ottiene giustificazione filosofica e in cui trovano tensione e pienezza le nostre vite e il nostro pensiero è  altrove, in una apertura irriducibile a formula. Il pensiero politico kantiano viene ripreso per il suo progetto  cosmopolitico, ma meriterebbe di venir riconsiderato anche per l'ambito nel quale, oggi, si sta giocando una partita decisiva fra logiche  privatistiche – o pubblicità nel senso di propaganda - e pubblicità nel senso di  apertura: il mondo reticolare della comunicazione. Se si sostiene che in Kant il diritto ha una temporalità, nel senso che o è in atto ora, o è destinato ad essere in atto in futuro, si rischia di ridurre la sua filosofia della storia a un asfittico chiliasmo giuridico – come se il  termine della storia fosse una costituzione formalmente e amministrativamente perfetta. Ma, anche senza tener  conto  della  Religione, perfino  Der  Streit  der  Fakultäten vede  come  signum prognosticum di  una disposizione morale dell'umanità non semplicemente la legge, ma qualcosa di ulteriore rispetto ad essa, e cioè l'entusiasmo degli spettatori e di chi lotta per il  diritto del popolo, armato, virgilianamente, di armi divine (A 147).  Queste  armi  sono in rapporto col  diritto,  ma  sono efficaci  solo in  quanto ci  si  assume liberamente la responsabilità di prenderle in mano e di usarle: il diritto non è il termine di una filosofia della  storia, ma è parte di una possibilità storica più ampia, oltre la legge.  3 La stesso oggetto dell'arbitrio costituito come mio, in quanto qualcosa che ho in potere di usare, presuppone che il nesso fra me e l'oggetto non sia un nesso fisico, ma dipenda dal fatto che io stesso mi penso e vengo pensato come un agente libero che esercita un  potere  su  un  oggetto  e  chiede  che  questo  potere  venga  riconosciuto  giuridicamente,  davanti  a  un  tribunale,  entro  una  collettività di essere liberi secondo una legge universale (MdS, A 245 ss)

Oltre la legge

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