Interessi diffusi e ordinamento canonico

Abstract

L'analisi relativa alle forme di presenza ed agli spazi di tutela delle situazioni giuridiche a rilevanza meta-individuale nell'ordinamento canonico costituisce un significativo terreno di valutazione comparativa tra il sistema giuridico dello Stato e quello della Chiesa cattolica, in relazione all'attenzione riservata ad istanze soggettive che trascendano la mera dimensione individuale. La scienza processualcivilistica attuale, unitamente agli orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati, presenta uno "status quo" all'interno del quale gli interessi pluri-soggettivi, e specialmente gli interessi diffusi, sembrano avviarsi verso una statica e formale soggettivizzazione in capo ad enti collettivi, organizzati e predeterminati secondo precisi requisiti. Una tendenza, quest'ultima, che rischia di produrre la sostanziale de-soggettivizzazione degli interessi "de quibus", in realtà depauperati dalla propria, primaria, natura di posizioni giuridiche nascenti in capo ad un singolo. In quest'ottica, la dimensione plurima necessita di una riflessione retrospettiva che ponga in risalto il profilo essenziale dell'aggregazione diffusa di interessi, inizialmente di natura individuale, e che sia, altresì, funzionale alla possibilità che ogni singolo membro possa configurarsene come legittimo titolare. Le entità collettive eserciteranno, perciò, un ruolo ausiliario, e non sostitutivo, in linea con il disposto ex art. 2 Cost. che promuove le formazioni sociali in funzione ed a servizio dell'individuo che ne sia membro. Siffatta situazione sembra subire un totale ribaltamento in ambito canonistico, laddove le ridottissime pronunce del tribunale della Segnatura Apostolica, certamente condizionate dai caratteri peculiari della funzione amministrativa nell'ordinamento della Chiesa cattolica, mostrano una tendenza inversa; ad assicurare, cioè, una legittimazione processuale al fedele "uti singulus" e non "uti coetus".In questo modo si crea, nel sistema giuridico canonico, un pericoloso "vulnus" di tutela, nella misura in cui non si riconosce la possibilità che un "coetus fidelium" si faccia portatore, in sede processuale, di interessi che trascendano la singola dimensione dell'individuo. La chiusura operata dal tribunale della Segnatura Apostolica arriva a lambire il punto più elevato allorché giunge a negare la legittimazione processuale in capo ad organizzazioni ecclesiali non riconosciute ai sensi del can. 299, §3, C.i.c., probabilmente a seguito di una indebita sovrapposizione tra le fattispecie dell'interesse ad agire e della capacità giuridica. Si tratta di posizioni conservatrici, in ambito giuridico, difficilmente comprensibili e, per certi aspetti, sorprendenti, a fronte delle acquisizioni ecclesiologiche conciliari e, ancor di più, dell'orientamento sinodale proposto con estrema energia dall'attuale pontificato. Sul punto un innegabile ausilio alla questione giunge dalla riflessione teologica, al centro della quale sussiste la categoria di "popolo di Dio", vero fulcro della vita della Chiesa, rispetto alla quale le elaborazioni giuridiche sembrano collocarsi più di un passo indietro, stentando a recepire principi ormai acquisiti e consolidati nella realtà ecclesiale. La rivalutazione del concetto di "comunità", come categoria fondamentale dell'ecclesiologia scaturita dal Concilio Vaticano II, e recepita nel "Codex" del 1983 specialmente in riferimento alla parrocchia (cfr. can. 515, §1), - ma ancora arenata al rango di perfetto sconosciuto nel diritto processuale della Chiesa cattolica - può costituire un interessante sentiero di passaggio, per giungere al riconoscimento della tutela giudiziaria degli interessi diffusi nell'ordinamento della Chiesa

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