I mobility scooter, in particolare quelli cabinati, sono potenzialmente un ausilio formidabile
per la mobilità a breve e medio raggio delle persone sia abili che disabili, con innegabili
benefici anche per il traffico urbano e l’ambiente, ma a condizione di una drastica
revisione normativa. La modifica all’art. 46 del Codice della Strada intervenuta nel 2010,
che ha demandato genericamente la definizione delle “macchine per uso di invalidi” (non
considerate veicoli) a “vigenti disposizioni comunitarie” (che invece equiparano i mobility
scooter ad autoveicoli), sembra aver sortito un risultato opposto al suo intento
chiarificatore, con implicazioni finanche inquietanti per quanto riguarda la possibilità che
i mobility scooter siano effettivamente ammessi a circolare in aree aperte al pubblico. Il
recente decreto per la sperimentazione su strada dei dispositivi per la micromobilità
elettrica, che ha ignorato il dispositivo obiettivamente più versatile, sicuro e “serio”, ha
perso una grande occasione, ma si può ancora rimediare. La loro classificazione come
“veicoli” adatti sia agli abili che ai disabili – anche ai sensi dell’orientamento comunitario
– ed una specifica regolamentazione della loro circolazione nelle aree pubbliche
attraverso una serie di modifiche al Codice della Strada, al suo Regolamento di attuazione
ed al decreto per la sperimentazione su strada dei dispositivi di micromobilità elettrica,
nonché l’individuazione di un organismo di controllo e informazione, porrebbero
facilmente fine ad un pericoloso vuoto normativo ed alla confusione e disinformazione
che ne sono derivate, favorendo finalmente la meritata diffusione dei mobility scooter: ciò
contribuirebbe anche ad abbattere i costi d’acquisto dei moderni e versatili scooter
cabinati, ancora relativamente elevati seppur inferiori a quelli di un’autovettura elettrica,
a tutto vantaggio delle categorie spesso non abbienti per cui questi dispositivi sono stati
originariamente concepiti