Le principali tappe che hanno portato alla definizione della legislazione vigente nel settore biologico testimoniano un percorso piuttosto lungo e faticoso. L’iter legislativo ha preso inizio a livello comunitario nel 1991 (Reg. CE 2092/91) e successivamente ha subito modifiche e integrazioni. Per quanto concerne il comparto zootecnico le norme di produzione aziendale sono contenute nell’allegato B del Reg. Ce 1804/99. L’importanza fondamentale di questo regolamento consiste nell’affermare il rapporto di complementarietà tra terra, vegetali e animale e nel definire processi ecocompatibili e rispettosi dell’ambiente e del consumatore.
Più precisamente, l’allevamento biologico si fonda sui seguenti principi:
· stretto legame con la terra
· benessere animale
· tutela dell’ambiente
· salute come equilibrio tra animale e ambiente
Il reg. Ce 1804/99 ha trovato applicazione in Italia con il D.M. 91436/2000 ed in seguito con il D.M. 182/2001, che ne integrano e modificano alcuni punti.
Nella pratica zootecnica, l’applicazione di questi principi della zootecnia biologica, richiede l’osservanza di norme piuttosto severe e quindi escludenti parte delle aziende che non possono rispettare certi requisiti, ma che premiano la serietà di altri che da anni producono biologico. L’adempienza della normativa viene assicurato dall’attività di controllo da parte di organismi certificatori lungo tutta la filiera.
Nel rispetto di questo punti, la tecnica di allevamento e l’alimentazione presentano differenze evidenti rispetto al metodo di produzione convenzionale.
La tecnica di allevamento deve essere considerata in maniera integrale in quanto i vari fattori interagiscono tra loro: dalla gestione del pascolo con i relativi problemi di impatto ambientale, oggetto della precedente relazione, alla scelta della razza, alla profilassi sanitaria e agli interventi terapeutici.
Per quanto riguarda la scelta di razze o varietà da destinare all’allevamento, il regolamento orienta verso genotipi capaci di adattarsi alle condizioni locali, caratterizzate da rusticità e resistenza alle malattie, dando la preferenza a razze e varietà autoctone. Il ricorso a questi genotipi è di fondamentale importanza, sia nell’opera di mantenimento della biodiversità, sia come strumento di prevenzione sanitaria. Riguardo a quest’ ultimo punto si deve rimarcare come questi animali abbiano sviluppato resistenza nei confronti delle patologie in genere e di quelle parassitarie in particolare, in anni di adattamento all’ambiente in cui sono allevati. Queste doti di rusticità e resistenza tuttavia non sono patrimonio esclusivo delle razze autoctone, ma possono trovarsi anche in razze “non locali”, ma che tradizionalmente vengono allevate in quanto si sono dimostrate ugualmente rustiche e adatte all’ambiente.
Un altro aspetto importante del sistema biologico sicuramente è quello della profilassi e delle cure veterinarie; infatti i problemi sanitari dovrebbero essere limitati e tenuti sotto controllo essenzialmente mediante prevenzione intesa in primo luogo come applicazione di appropriate tecniche di allevamento: come si è già detto, scelta dei genotipi più resistenti, uso di alimenti di elevata qualità, vita all’aperto con movimento, adeguata densità).
La terapia dovrebbe dare priorità a prodotti fitoterapici ed omeopatici. L’uso di medicinali veterinari ottenuti per sintesi chimica è tuttavia permesso, sotto responsabilità del veterinario, qualora i prodotti prima menzionati non si dimostrino efficaci. Sono previste inoltre deroghe in caso di vaccinazioni, cure antiparassitarie e piani d’eradicazione obbligatori previsti dai singoli stati membri.
Gli aspetti alimentari comunque, sono senza dubbio tra i fattori che più diversificano l’allevamento biologico da quello convenzionale.
Nella zootecnia biologica, infatti, l’alimentazione non ha come obiettivo la massimizzazione delle produzioni ma deve rispettare i naturali ritmi di crescita (di conseguenza, per esempio, è vietata l’alimentazione forzata) e fornire, insieme con un’appropriata tecnica di allevamento, produzioni di elevata qualità sanitaria, organolettica e nutrizionale. In questo contesto il razionamento risulta un problema di non facile soluzione da parte dell’allevatore perché prevede la messa a punto di diete rispondenti ai fabbisogni fisiologici e produttivi dell’animale. I fabbisogni stessi inoltre, si differenziano da un allevamento convenzionale in quanto influenzati dall’attività pascolativa, dall’esposizione alle più varie condizioni climatiche nonché dalla maggiore possibilità di movimento per le più ampie zone di stabulazione.
Inoltre, la legge riporta una serie di norme che comportano come conseguenza che la tecnica di alimentazione stessa nella zootecnia biologica presenta differenze sostanziali da quella convenzionale;
· è vietato l’utilizzo di organismi geneticamente modificati e di prodotti ottenuti sulla loro base. Già questo divieto esclude l’utilizzazione di numerosi prodotti, ampiamente utilizzati nel convenzionale e impone all’azienda biologica una serie di accorgimenti nella formulazione della razione; ad esempio, vista la difficoltà di reperire soia geneticamente non modificata l’allevatore dovrà ricorrere a proteaginose alternative (favino, lupino, pisello proteico, soia, cece);
· l’alimentazione, è basata sull’utilizzo di alimenti biologici preferibilmente di origine aziendale, o qualora ciò non sia possibile, provenienti da altre unità o imprese conformi al regolamento.
· è consentito l’uso di alimenti in conversione nella quota del 30% e del 60% rispettivamente se di provenienza extraziendale o aziendale.
· qualora il reperimento di alimenti biologici sia difficoltoso o in caso di perdite di produzione foraggiera, e per un periodo transitorio (fino al 24 agosto 2005), è autorizzato l’impiego di proporzioni limitate di alimenti convenzionali (il 10% per gli erbivori, il 20% per le altre specie);
· tutti i giovani mammiferi devono ricevere latte naturale (preferibilmente materno) per un periodo minimo di 3 mesi per equini e bovini, 45 giorni per ovini e caprini, 40 giorni per i suini.
· per gli erbivori, almeno il 60% della sostanza secca della razione giornaliera deve essere composto da foraggi freschi, essiccati o insilati con un rapporto foraggi/concentrati di 60/40, per le vacche nei primi tre mesi di lattazione l’apporto dei foraggi può ridursi al 50%. La razione quindi si basa soprattutto su foraggi freschi, foraggi essiccati e insilati e quindi le operazioni di fienagione e insilamento devono essere particolarmente curate al fine di conservare quanto più possibile il loro valore nutritivo;
· anche per i suini e il pollame deve essere previsto l’apporto di foraggi freschi, essiccati o insilati nella razione. Per questi ultimi, nella fase di ingrasso i cereali devono costituire il 65% della razione.
L’allegato II, parte C e D, riporta l’elenco dei prodotti consentiti nell’alimentazione (materie di origine vegetale e animale, di origine minerale, additivi alimentari, ausiliari di fabbricazione).Devono risultare completamente assenti antibiotici, coccidiostatici, medicinali e stimolanti della crescita.
Infine, l’acqua destinata agli animali nelle strutture di stabulazione deve essere potabile, igienicamente idonea ed a volontà.
Il rispetto delle norme sopra indicate, ma soprattutto la stretta interazione tra tutti gli aspetti della filiera produttiva richiedono all’allevatore “biologico” una preparazione e una conoscenza sicuramente maggiore di tutti gli aspetti legati all’animale, alla produzione vegetale e all’ambiente rispetto ad un allevatore “convenzionale”