Il Dipartimento di Emergenza (DE) è una realtà organizzativa
unica in cui, oltre ai problemi di un normale
reparto di degenza, si sommano quelli del sovraffollamento
tipico del Pronto Soccorso1-4, in un flusso non regolato
di accessi e dimissioni che rende necessario un approccio
al paziente con una visione il più possibile globale del problema
clinico e che permetta decisioni tempestive ed
accurate. Nel DE è importante arrivare ad una diagnosi in
tempi brevi, poiché è dimostrato che una tempestiva diagnosi
e un appropriato trattamento, indipendentemente
dalla patologia di base, migliorano sensibilmente l’outcome
clinico5. Ciò è stato dimostrato in particolare per l’insufficienza
cardiaca acuta6. Ma insieme alla diagnosi, è sempre
importante giungere contemporaneamente a una stratificazione
prognostica dei pazienti in emergenza, per
poter scegliere e razionalizzare l’uso delle risorse secondo
un principio di prioritá. Ad esempio, una corretta stratificazione
prognostica permetterà non solo di intensificare
il trattamento in fase acuta, ma anche di allocare il paziente
più severo in reparti a più elevata intensità di cura.
Il paziente che giunge in pronto soccorso è un paziente
critico,con storia clinica spesso sconosciuta, portatore
di molteplici patologie spesso interagenti tra di loro e talvolta
dalle condizioni cliniche imprevedibilmente instabili.
E’ molto spesso indispensabile, insieme ad un corretto
giudizio clinico basato su una adeguata raccolta anamnestica
ed un esame obiettivo completo, disporre in tempi
brevi di risultati di imaging e di indicatori biologici misurabili
in grado di orientarci nella diagnosi, nella stratificazione
prognostica, nel monitoraggio clinico e nel complesso
trattamento di questi pazienti. Numerosi biomarcatori si
sono dimostrati molto utili negli ultimi anni per l’identificazione
precoce dei patologie severe, primo fra tutti la troponina
I , ad esempio, per la sindrome coronarica acuta. Tra
gli altri biomarcatori sono giá entrati nella pratica medica
di routine, anche la procalcitonina (PCT) nella sepsi e i
peptici natriuretici per lo scompenso cardiaco acuto7-8. Altri
invece, si stanno dimostrando promettenti indicatori, come
la lipocalina associata alla gelatinasi neutrofila (NGAL) nel
predire lo sviluppo di un danno renale acuto5.
L’ obiettivo per il futuro è quello di disporre di pannelli
predefiniti di biomarcatori a seconda del sintomo di presentazione
che uniti alla comune pratica clinica, anamnesi
ed esame obiettivo possano portare a una piú rapida e
corretta diagnosi, un monitoraggio piú stretto e ad una
terapia maggiormente efficace e individuale per le varie
patologie complesse implicanti, allo stesso tempo, più
organi9.
Infatti, la necessità di pannelli di multimarcatori è giustificata
dal fatto che molto spesso i pazienti critici nel
dipartimento di emergenza non presentano una sindrome
clinica riferibile a un solo organo, ma presentano patologie
multiorgano e comorbilità. Quanto detto trova concreta
applicazione nella Sindrome Cardio-Renale (SCR) dove
l’insufficienza cardiaca e l’insufficienza renale possono
conseguire l’ una all’ altra instaurando un circolo vizioso, o
essere due cause indipendenti, ma sempre interagenti10.
La rapida identificazione di questa sindrome appare fondamentale
se si considera il diverso trattamento che le singole
patologie richiedono quando isolate: la deplezione di
liquidi nella congestione dello scompenso cardiaco, l’ integrazione
di liquidi e un miglioramento della perfusione per
l’ insufficienza renale. A questo scopo si stanno rivelando
molto utili biomarcatori ormai consolidati in pratica clinica
come il BNP per la valutazione della funzione cardiaca, o
piú recenti come l’NGAL per la valutazione della compromissione
renale, misurabile nel sangue o nelle urine, oltre
a nuove tecnologie tra cui la BioImpedenzoMetria
Vettoriale (BIVA) che offre la possibilitá di una valutazione
oggettiva dello stato di congestione per un parametro che
fino ad oggi è stato solo clinico e scarsamente quantificabile11