CAVAGGIONI, Gabriele

Italian

Archivio della ricerca- Università di Roma La Sapienza

Questa non è una relazione scientifica, nel senso che non si occupa di defi-nire dati obbiettivabili e comparabili, né è una review della letteratura sull’ar-gomento. Questa è solo una riflessione. Su un tema, ritengo, già affrontato datutti i presenti, poiché tutti siamo già psichiatri o psichiatri in formazione e,come tali, tutti abbiamo dovuto percorrere almeno parte del nostro tragittonell’ambito di un contesto istituzionale quale quello universitario. Come ogniriflessione, non può esimersi dal confronto con la propria esperienza ed obbli-ga alla responsabilità personale delle affermazioni.Lavoro, sin dalla sua costituzione, nel Servizio speciale di psichiatria e psi-coterapia. Come avete sentito, intanto, è un servizio medico, per cui si occupadi cura; ed è dell’Università di Roma, per cui si occupa di ricerca, di didatticae, doverosamente, di formazione.Psichiatria e psicoterapia sono i due termini che inscidibilmente connotanol’aspetto medico del servizio. Il primo indica lo spazio, lo psichico, ed il meto-do, medico, del nostro lavoro; il secondo lo strumento, congruo con il meto-do, adatto a tale spazio.Ma ciò che più conta è quella congiunzione che lega i due termini: quell’enon indica che al primo si aggiunge il secondo, ma che psichiatria e psicotera-pia sono due realtà che, per noi, non possono esistere disgiunte.Quest’affermazione dà senso, in ultimo, al quarto termine – Servizio specia-le – che definisce la struttura. Ma in che cosa consiste dunque questa “specia-lità”? Mi pare sia stato detto: nel ritenere che la psiche malata possa essere cu-rata solo da un’altra psiche che, pertanto, malata non può essere.Queste prime asserzioni mi servono per collocare altri elementi nel discor-so. In medicina non si può ritenere che i macrofagi siano alterati nell’enfisemapolmonare: non è un’opinione dei medici, ma una evidente modificazione cel-lulare. In psichiatria, invece, nulla è strumentalmente obbiettivabile, e pertantociò che conta è quello che il medico ritiene. Ciò sta a dire che mentre il meto-38* Relazione presentata all’VIII Congresso della Società italiana di psicopatologia (SOPSI) Dal disturbo alla ma-lattia, Roma, 25 febbraio-1 marzo 2003.La formazione dello psicoterapeuta in ambito pubblico *Gabriele CavaggioniG. Cavaggioni, La formazione dello psicoterapeuta in ambito pubblico39do biologico prescinde dal modello culturale di riferimento, in psichiatriaqualsiasi formulazione teorica e clinica è impegnativa di tutto l’ambito cultura-le ed esistenziale di chi la propone e di chi la condivide. Per cui, definendouna realtà umana, lo psichico, come strumento di cura per la stessa realtà diun altro essere umano, di fatto situo l’ambito di questa applicazione medica inuno spazio diverso da quello delle altre branche della medicina.Tale diversità si sostanzia fondamentalmente nel fatto che mentre le bran-che mediche si identificano in un territorio biologico-organicista che obbligaad un intermediario nell’atto terapeutico – tecnico, farmacologico, strumentaleche sia –, lo stesso territorio, per quanto sottenda alla psichiatria, non la defi-nisce. La psiche non è un organo o un apparato e di conseguenza lo psichia-tra, pur dovendo conoscere i meccanismi cerebrali, non può prescindere nellaprassi terapeutica da un metodo che sia congruo e coerente con la tesi so-praddetta, ovvero da una prassi che siamo soliti chiamare psicoterapeutica.Per cui la formazione psicoterapeutica dovrebbe di fatto coincidere con quelladello psichiatra. Ma se diciamo, in ultimo, che la formazione psicoterapeuticadeve realizzarsi in una psiche capace di curare, dobbiamo accettare la sfidache questa formazione non riguarda in realtà un modo di fare, ma un modo diessere che si esprime attraverso un’attività. La formazione non riguarda quindisolo un’identità professionale, ma anche, e direi soprattutto, un’identità perso-nale.Ora, l’Università essendo un’istituzione pubblica legittimata a conferire il ti-tolo di psichiatra ed automaticamente, per legge, quello di psicoterapeuta, do-vrebbe essere altresì tenuta a cercare e trovare un metodo atto alla formazionedello stesso o quantomeno a verificare se esiste o no questa possibilità, poichél’abilitazione all’esercizio della professione è addirittura antecedente all’acqui-sizione del titolo. Astrattamente questo accade anche per il chirurgo, ma è undato di realtà innegabile che imparagonabile è il numero di neolaureati che simettono ad operare, a fronte del numero di psichiatri in formazione o di neo-psichiatri che si propongono, paradossalmente finanche per obbligo, diretta-mente in prima persona e senza alcun riscontro, in una relazione terapeutica. Pertanto, la realizzazione di questo compito è evidentemente complessa ele difficoltà riguardano più livelli.La formazione teorica potrebbe, apparentemente, non destare particolariostacoli di apprendimento. Tuttavia, vanno sottolineate almeno tre problemati-che.La prima, tanto banale quanto inalienabile, è il tempo a disposizione. Le at-tuali direttive europee concedono all’insegnamento della psichiatria un tempoassolutamente inadeguato al compito da svolgere. Sia per la peculiarità del-l’oggetto della psiche, diverso da tutti gli altri, come il fegato o il polmone,che durante il corso di laurea sono approcciati in ogni modo dalle più varieangolature, sia per il metodo imposto da questa diversità.Il sogno della farfalla 3/200340La seconda riguarda, invece, il contenuto della formulazione teorica. Neltermine “psico-terapia” appare evidente che l’intenzione dell’approccio non èpuramente conoscitivo, potremmo dire “analitico”, o supportivo, ma mira aduna trasformazione, un cambiamento, in una parola, una cura. Parola, que-st’ultima, che in medicina ha un significato elettivo supponente un’inderogabi-le idea di fisiologia, ovvero di sanità. E quindi, l’unico modello teorico accetta-bile per una psicoterapia è quello che concettualizza la sanità psichica, senzala quale ogni cura si ridurrebbe al più, come si è detto precedentemente, adun’aspecifica assistenza.È falso che in psichiatria l’indimostrabilità dell’ipotesi teorica apra le porteverso una sorta di democratico riconoscimento di ogni formulazione, poichése la formulazione teorica non parte come minimo dal presupposto di una ri-cerca di fisiologia, in verità non può e non dovrebbe essere legittimata neppu-re nell’ambito delle teorie mediche.La terza, in ultimo, fa da ponte con un secondo livello di difficoltà e riguar-da la necessità di affiancare all’insegnamento del modello teorico anche quellodella teoria della prassi e della relativa capacità operativa. Se la teoria dellaprassi richiede di essere congrua con il modello teorico di riferimento, cosache già di per sé mette in atto, in relazione a taluni modelli, una palese com-plessità, certamente di molto si complicano le cose quando ci spingiamo apensare che la capacità operativa non dipende dall’apprendimento di un mo-dus operandi, ma dal modo di essere di colui che la mette in opera, posto, co-me detto, che la propria personale identità sia per lui l’unico reale strumentoterapeutico. Anche questo paragrafo mostra la differenza della formazione psi-chiatrica da quella in medicina generale. In medicina generale la prassi – stru-mento e metodo – è tendenzialmente standard e ripetibile, per cui può essereinsegnata ed appresa. In una psichiatria, invece, come quella postulata, laprassi, se non come teoria della prassi, non può essere insegnata. Da qui, for-se, la costituzione di quelli che comunemente vengono definiti “gruppi di su-pervisione”, che tuttavia talvolta sembrano mascherare il tentativo di supplireal più o meno inconfessato bisogno di un certo processo di conoscenza e tra-sformazione che riguarda almeno tre dimensioni. Se non altro, nella misura incui queste possono interferire con un’attività che impone la responsabilità diun intervento, non riconoscibile attraverso i comuni modelli obiettivi. La primaè la motivazione che spinge un soggetto a scegliere medicina prima e psichia-tria poi; la seconda riguarda la conoscenza dei propri personali processi emo-tivi, cognitivi e relazionali; la terza, in ultimo, il rapporto con le proprie dina-miche inconsce intrapsichiche ed intersoggettive. So che tale impostazionecomporta l’impossibilità di trovare intermediari tra il medico ed il paziente psi-chiatrico, ma è proprio per tale ragione che un’adeguata cultura, una cono-scenza profonda della psichiatria ed al contempo della propria realtà persona-le, è doverosa per permettere al primo, se non altro grossolanamente, di poterG. Cavaggioni, La formazione dello psicoterapeuta in ambito pubblico41distinguere se, come, quando e con chi mettersi in relazione. Mentre la nostraesperienza ci obbliga a denunciare la prassi per la quale troppo spesso lo psi-chiatra all’inizio della sua formazione è di fatto obbligato a trattare pazientigravissimi. Un assurdo per qualsiasi altra formazione medica, che fa ipotizzareun preconcetto d’incurabilità e tende a minare la speranza di ogni progettotrasformativo.Dunque il secondo livello consiste nella pretesa, da molti rilevata, di unaformazione personale prima definita “identità psichiatrica”.Forse, in prima battuta, potrebbe essere riesaminata la possibilità di affian-care agli attuali criteri di ammissione alle scuole di specializzazione uno scree-ning che non valuti soltanto le capacità didattiche e culturali del candidato,ma anche le qualità caratteriali. È una ricerca molto difficile di cui faccio faticaad immaginare finanche un metodo, ma è una ricerca che credo sia irrinuncia-bile se si vuole tentare il confronto con un’opportunità di formazione che, lun-gi dall’essere esaustiva, non si limiti però soltanto a quella didattica. È ovvio tuttavia che a nessuno può essere imposto istituzionalmente uncollega che si occupi della sua realtà psichica. Tale scelta non può, comun-que, altro che essere libera ed autonoma. Ma, se libera, si deve prevedere lapossibilità che possa cadere anche su chi è inizialmente conosciuto per ragio-ni meramente didattico-istituzionali e naturalmente è evidente che questaeventualità, neppure troppo remota, impone da parte del possibile oggetto ditale scelta una totale libertà ed autonomia interiore non solo personale, maanche rispetto all’istituzione, pena infiniti e talvolta drammatici risvolti. A mag-gior ragione l’istituzione, almeno in teoria, dovrebbe poter offrire talune fun-zioni garanti, sia per l’utente che, non tenuto ad una conoscenza specialistica,non potrebbe fare altro affidamento se non su quelle che possono essereidentificate come proprie “capacità empatiche”, sia per l’operatore, nella misu-ra in cui non solo dovrebbe offrirgli la possibilità di un confronto necessario ecostante, indispensabile in ogni caso al superamento di eventuali impasse, maanche dovrebbe obbligarlo allo sviluppo di ogni rapporto che nasce e si strut-tura come libera ricerca che abbia la caratteristica della novità scientifica.Tuttavia, nello specifico, questa realtà presente – l’istituzione – è al contem-po estranea ad una relazione che vuole connotarsi come psico-terapeutica. Ciòcomporta, pertanto, la necessità di doverla integrare, ma anche quella di nonpermettere che tale realtà sia in alcun modo sfruttata nella relazione. La rela-zione terapeutica, costituente della formazione, non può riguardare altri, senon il terapeuta e colui che si sta contemporaneamente formando e curando.Inoltre, se identifichiamo in questa sorta di work in progress la piattaformadi ricerca formativa, dobbiamo da una parte accettare il rischio della possibileinterruzione di un iter al di là delle capacità di studio e delle competenze tec-niche, e, dall’altra, strutturare un metodo che possa necessariamente risponde-re alle esigenze di continuità e riscontro nel tempo.Il sogno della farfalla 3/200342La formazione psichiatrica psicoterapeutica riguarda una realtà dinamica, lapsiche, non circoscrivibile in altro spazio temporale se non quello coincidentecon l’intero arco della vita, per cui se vogliamo arbitrariamente, per quanto le-gittimamente, giustapporre a questa realtà una “coloritura” professionale, dob-biamo almeno accettare che sebbene la formazione debba essere presuppostodell’attività terapeutica, non possa però essere concepita come realtà definitain quanto acquisita.La formazione così strutturata, pertanto, non credo sia impossibile, ma cer-tamente implicherebbe un lavoro faticoso poiché obbliga entrambe le parti atenere costantemente e contemporaneamente presenti e separati i due ambiti– quello personale e quello professionale – e perché costringe ad accettare l’i-dea, difficile finanche da pronunciarsi, che la formazione psicoterapeutica va-da oltre la cura, giacché se questa ha un termine nel recupero della propriasanità originaria, la formazione, nella sua accezione più globale, potrà termi-nare solo quando si dovesse decidere di smettere di fare questo mestiere. Allo stato attuale, dunque, tranne particolari e rare eccezioni, la formazio-ne dello psichiatra, ovvero dello psicoterapeuta, nell’istituzione può essere so-lo parziale. Certo, non può essere una regola. Oggi l’istituzione può realizzareuna formazione teorica e offrire, in particolari circostanze e a particolari condi-zioni, un’opportunità per la formazione personale, ma non può garantire a tut-ti quella identità psichiatrica indispensabile per la cura.

La formazione dello psicoterapeuta in ambito pubblico

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