La situazione italiana In Italia il ricorso alla demolizione è un fenomeno sporadico. All’inizio degli anni duemila, si cominciò a parlare di “programmi di riabilitazione urbana” . L’art.23 del “collegato infrastrutture” alla finanziaria del 2002 prevedeva espressamente la promozione di questi programmi, che non decollarono a causa della mancata attribuzione di finanziamenti . In Italia non sono stati promossi massicciamente questi tipi di interventi per due ordini di motivi. Perché la demolizione non fa parte della nostra cultura e perché almeno per ora, nel nostro Paese non si sono manifestati fenomeni di elevato degrado unitamente a rischi sociali così gravi come in altri parti d’Europa. Oggi, però, sono palesi situazioni che possono presentare, potenzialmente, la necessità del ricorso alla demolizione: in quei quartieri, ormai ampiamente degradati dove i proprietari affittano i propri alloggi a fasce sociali con bassi livelli di reddito; questo consente loro di non sentirsi in dovere di effettuare lavori di manutenzione e di riscuotere, comunque, introiti anche più che proporzionali rispetto al valore degli immobili. E’ il tempo che darà risposte a questi dubbi; ma sarà importante anche riflettere su due elementi: il confronto tra i costi di un’operazione di riqualificazione senza e con demolizione e la distribuzione dei costi stessi tra i diversi soggetti interessati; la “liberazione” della rendita fondiaria che, generalmente, accompagna le operazioni di demolizione e ricostruzione, soprattutto se queste avvengono in ambiti urbani ben collegati con la città consolidata. I problemi da affrontare riguardano la necessità di una regia pubblica anche nei casi di alloggi privati. La politica francese: dai PRU ai CUCS La Francia ha messo in atto un politica di rénovation urbaine sugli interventi di demolizione e ricostruzione a partire dalla legge Borloo (agosto 2003) – loi d’orientatione et de programmation pour la ville et la rénovation urbaine –, che si pone l’obiettivo di ridurre le disparità sociali e gli scarti di sviluppo tra territori attraverso la promozione, da parte dello Stato, delle collettività territoriali e degli Etablissements pubblics, di programmi d’azione d’orientation pour l’aménagement et le développement du territoire rivolti alle zone urbane sensibili (ZUS). La legge prevede, nel campo degli alloggi sociali, una nuova offerta di 250.000 unità abitative e la riabilitazione di 400.000; la demolizione di 250.000 unità per il periodo 2004-2011. Lo Stato ha stanziato 4 miliardi di euro per 8 anni. Per la realizzazione del piano è stata istituita un’Agenzia nazionale per la rénovation urbaine (ANRU) che, attraverso una sorta di sportello unico, raggruppa i finanziamenti dello Stato e dei partner pubblici e privati coinvolti nel piano che si attua attraverso i Projets de rénovation urbaine (PRU). A luglio 2006, l’ANRU aveva validato lavori, per i 5 anni a venire, per un importo pari a 21,9 miliardi di euro: 188 quartieri prioritari, ai quali si aggiungono 341 quartieri supplementari, sono già beneficiari del dispositivo. Accanto all’imponenza di queste realizzazioni non pochi sono stati i problemi: esiguità delle risorse destinate all’accompagnamento sociale rispetto a quelle destinate alla demolizione e ricostruzione; la debolezza dell’integrazione tra i canali finanziari rivolti all’accompagnamento sociale e all’edificazione e la scarsa integrazione rilevabile anche all’interno degli stessi canali dell’accompagnamento sociale; il notevole peso delle “espulsioni” dai quartieri oggetto dei PRU delle fasce di popolazione debole per favorire la mixité sociale, con pesanti problemi di rialloggiamento; lo scarso rilievo attribuito dalla politica di rénovation alla dimensione intercomunale, che appare come la più pertinente soprattutto per quanto concerne le politiche dell’habitat e la presa in conto della gestione urbana di prossimità . Una questione importante ci porta alla considerazione dei tempi: alla non coincidenza tra tempi dell’ANRU e tempi della decisione (da parte delle amministrazioni e della popolazione). La comunità avrebbe bisogno di fare un lavoro preparatorio sulla memoria di un quartiere e le amministrazioni avrebbero bisogno di dedicarsi con più attenzione alla programmazione. Un ultimo interrogativo si pone: bisogna evitare di porre nel dimenticatoio i quartieri esterni ai PRU perché non si degradino, pena il rischio di dover intervenire con azioni pesanti in un futuro prossimo. In relazione a tali nodi, il governo ha lanciato un nuovo strumento contrattuale per le ZUS: i “Contratti urbani di coesione sociale” (CUCS) da stipulare tra Stato e comuni (che dovrebbe essere attivi dal 1 gennaio 2007). Viene istituita una nuova agenzia, l’Agence national de cohésion sociale che si occupa dell’humain (l’umano) a fronte dell’ANRU alla quale è riservato, invece, il bâti (il costruito). Il CUCS è un documento di azione strategica elaborato dai partner locali. Definisce il progetto urbano e sociale da promuovere per ridurre gli scarti di sviluppo tra i territori prioritari e i loro contesti urbani, con l’obiettivo di una migliore integrazione di tali aree nella città. Il CUCS, che si basa su una “diagnostica” elaborata dall’insieme dei partner promotori, precisa gli obiettivi da raggiungere accompagnati da indicatori dettagliati, definendo contestualmente il programma di azione. Recentemente la DIV (Délégation Interministerielle à la Ville) ha emanato una guida metodologica per la redazione dei CUCS, precisando che il contratto di coesione non può essere considerato come la semplice addizione di un programma di azioni sociali alle operazioni di rénovation urbaine. Pertanto, si tratta di rafforzare la sinergia tra le operazioni di rénovation urbaine e le azioni di sviluppo sociale