Lo scoppio delle periferie e della ribellione denotano il fallimento di un modello socio-territoriale che diventa sempre più esclusivo per pochi ed escludente per tanti. E' la punta dell'iceberg delle nuove povertà che sono venute ad affacciarsi con l'aumento del precariato nel lavoro, con l'avvento della delocalizzazione, l'invasione dei prodotti della competizione globale, le ondate migratorie, confinate al rango di generatrici di paura e non di consapevole e doverosa accettazione in una logica di multietnicità. Scaturisce da questo un quadro di limitata coesione sociale. L’aspetto forse più inquietante è appunto che queste periferie si sono prodotte nonostante ripetute azioni di pianificazione urbana, talvolta addirittura enfatizzate ma in sostanza spesso auto referenziate. L’utilizzo del modello centro-periferia ha finito con l’esercitare una funzione normativa nella costruzione di processi di organizzazione e le “periferie”, con la loro somma di precarietà, sono entrate in gioco, non per i deficit qualitativi che esprimevano, ma soprattutto come protagoniste di una relazione di influenza sulla qualità di vita dei centri urbani, proprio perché i processi di accumulazione dell’estraneità si riversano disordinatamente sui contesti territoriali. La dilatazione degli agglomerati urbani con le conurbazioni e la tensione verso nuove occupazioni di spazi, dai livelli metropolitani a quelli di vere e proprie regioni urbane, alle reti e, intorno ai nuclei centrali, hanno creato una molteplicità di periferie marginalizzate fino al degrado. La carenza di punti di riferimento e di risposte ha portato anche a situazioni di violenza sempre più evidenti e a situazioni di cittadinanza” alternativa” e di welfare “alternativo”. Anche perché queste dinamiche non sono state sorrette dalla ricerca di forme di governo urbano, fondate su un possibile coinvolgimento di una molteplicità di soggetti. Nelle stesse periferie, poi, presenze a volte anche modeste di immigrati, e quindi problemi di difficile inserimento delle ”diversità”, hanno accentuato le persistenti situazioni di disagio. L’urbanistica avrebbe dovuto dare forma a un piano di generali riconsiderazioni attraverso progetti comunitari capaci di tener conto contemporaneamente di tutti i fattori sociali, culturali ed economici. La città infatti, non ci ha garantito, per la carenza di governo metropolitano, quello che ci aveva promesso: dalla libertà alla cittadinanza, all’attenuazione della diseguale distribuzione della ricchezza, alla presenza di stili di vita più aperti. Per questo la “promessa urbana”, nel caso studiato resta una sfida e tutti gli attori sono chiamati ad affrontare il disordine che è l’altra faccia dello sviluppo urbano Ciò è quanto si cercherà di verificare nella città di Bari sia per gli elementi che la caratterizzano in modo distintivo, che per valori comparabili ad altre realtà che attraversano in modo complesso il difficile percorso di una rigenerazione delle periferie e di relazioni funzionali più costruttive e organiche con i luoghi centrali