Responsabilità sociale e territorio

Abstract

Aggiungendo termini come “territorio” ed “istituzioni”, la definizione di Corporate Social Responsability (CSR) suona più o meno così: “l’integrazione su base territoriale volontaria, da parte delle imprese e delle istituzioni, delle preoccupazioni sociali ed ecologiche nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate”. E’ noto che le ‘operazioni commerciali’ di un’impresa richiamano le strategie di corporate che essa ha stabilito, nell’ambito di un planning più ampio confrontato e condiviso con le parti interessate. Questa impostazione si ritrova anche nelle più recenti strategie governative centrali e non , soprattutto in quelle che possono più utilmente orientare, rispetto alla diversità dei quadri nazionali, regionali e locali, sia le norme in materia di sviluppo sostenibile, sia le politiche di welfare . L’ampio coinvolgimento dell’impresa nel promuovere percorsi virtuosi, sino ad oggi ad appannaggio delle istituzioni pubbliche, ha ridotto di molto lo spazio che separa l’interesse pubblico da quello privato. Benché il tema sia ancora da approfondire affinché si pervenga ad un nuovo e più equilibrato comportamento d’impresa – dunque a nuove economie di scala esterne utili alla produzione – secondo la formula suggerita in Europa dall’esperienza del cosiddetto “capitalismo renano”, si fa strada il nuovo e fondamentale ruolo che le PA possono giocare per la piena e diffusa partecipazione delle imprese al modello di sviluppo delineato dal CSR. Le quattro macro-aree su cui attualmente si discute (riconoscimento e promozione di marchi socio-ambientali e certificazioni; partnership come nuovo modello di governance; investimenti socialmente responsabili e fondi etici; volontarietà e trasparenza del CSR come strumento di competizione) sono accomunate/disgiunte da una variabile ancora poco nota alle imprese: il territorio; poiché, diversamente dal modello giapponese (patronage capitalism), in cui il rapporto tra imprese ed istituzioni pubbliche si esplicita solo a livello di parti interessate nella corporate governance, i presupposti della fidelizzazione europea si basano sull’appartenenza ad un comune sistema culturale ed ambientale. Le esperienze e le valutazioni di bench fin qui condotte lasciano ancora in ombra questo rapporto, offrendo soluzioni di tipo aziendale alla mancanza di un metodo comune nel ricorso e nell’attuazione di quelle regole condivise, che, su base volontaria, hanno contribuito a mutare i comportamenti produttivi ed i relativi contesti di accoglienza (Emas, standard, ISO, certificazioni, BEST, OHSAS, SAecc.). Parallelamente, sono stati messi a punto metodi, tecniche, procedure che consentono alle istituzioni pubbliche di assolvere al proprio patto fiduciario con le parti interessate (gli stakeholder del territorio) ridelinenando modelli e regole dello sviluppo secondo principi condivisi (sostenibilità, coesione, integrazione, sussidiarietà). In questo nuovo approccio, che estende il CSR al territorio, le imprese rappresentano gli stakeholder più utili ad accelerare il recepimento di un diverso modo di fare competizione, più equilibrato e cooperativo, più attento alle esigenze della società e delle cittadinanze, proattivo nel darsi e dichiarare le regole cui riferire il proprio comportamento. La quantità e la varietà di categorie, aspetti, indicatori con cui stimare il Social Statement d’impresa sono attualmente i più vari. Si va dalle risorse umane alla composizione del personale, dalle pari opportunità alla formazione, dalle modalità retributive alla soddisfazione del personale, dal rating alla partecipazione dei soci, dalla comunicazione all’investor relation, dai rapporti con la PA all’ambiente. Questi, sotto forma e scale diverse, sono già state studiate e sperimentate nella messa a punto di piani strategici sostenibili di nuova generazione , proponendo modelli operativi e comportamentali che sgravano l’impresa di una parte degli inevitabili costi che la responsabilità sociale comporta. Tuttavia, l’inevitabile differenza di scala geografica ed economica cui entrambi agiscono, ad esempio, da un lato secondo schemi integrati della produzione e sistemi gestionali strategici (tra cui quelli ambientali); dall’altro secondo piani integrati e GIS, sembra configurarsi come un nuovo gap economico-culturale nel raggiungimento di obiettivi comuni alla scala locale più che europea. La risposta alla domanda di mercato interna e globale a riconsiderare le caratteristiche della produzione secondo lo schema CSR deve dunque trovare un’adeguata collocazione nei caratteri che distinguono la programmazione territoriale sostenibile, l’unica in grado di accogliere positivamente, ad esempio, l’occupazione qualificata proveniente dall’impresa socialmente responsabile, predisponendo e gestendo nel loro complesso i sistemi produttivi locali affinché siano socialmente ed ambientalmente armonici. In quest’ottica, procedure come la certificazione del processo di piano (ISO 9000), il sostegno alla certificazione d’area (EMAS ed ISO 14000), l’adozione di Sistemi di conoscenza e gestione complessa del territorio e del Bilancio (GIS ed ICT), la ridefinizione degli standard (Bilancio sociale e carta dei servizi), la regolamentazione cooperativa nell’attuazione e nella gestione dello sviluppo (Governance urbana e metropolitana e Marketing territoriale), la valutazione preventiva delle scelte di welfare (Valutazione Ambientale Strategica), rappresentano i nuovi strumenti per l’accrescimento progressivo e non solo dimensionale del contesto in cui l’impresa socialmente responsabile opera, segnando il definitivo passaggio da un modello tradizionale ad uno eco-efficiente ed equlibrato. Questo nuovo sistema, definito Sustainable Territotorial Management (STM approach) delinea una nuova filosofia per il rilancio del tessuto economico ed imprenditoriale del nostro Paese, agendo sui processi “dal basso” per la ridefinizione delle policies di governo dell’economia e del territorio di cui le imprese sono parte

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