La monografia analizza la storia di tre giovani suicidi attraverso le testimonianze incrociate di madri, di amici e di fratelli. Tre storie spezzate di giovani che non avevano imparato a difendersi nel conflitto. Il suicidio giovanile è una forma di autoviolenza causata da un’insufficienza di legami significativi che minano l’identità nel suo formarsi. È orrorista – così lo definisce Ignazia Bartholini – perché il suicidio di ogni giovane – che avviene il più delle volte sfracellandosi dall’alto, impiccandosi ad una corda o massacrandosi in auto, è finalizzato al distruzione di quel corpo che costituisce l’unica rappresentazione riconosciuta del suo Sé, mentre i legami con gli Altri sembrano essersi recisi irreversibilmente.
Ogni suicidio quindi, a giudizio dell'autrice, è il prodotto di una violenza implosa contro se stessi nell’incapacità di accedere a quella soglia relazionale che dal conflitto inter-generazionale, dalla competizione professionale e dalla dialettica inter pares, riconduce al reciproco riconoscimento dell’Alterità e al suo rispetto.
Là dove la violenza, contenuta nelle modalità relazionali che la rendono legittima, è venuta a mancare, essa inesorabilmente si esplicita nelle forme devianti dell’oscuramento dell’altrui (bullismo, stalking, mobbing) e della propria identità (suicidio)