Le essenze vegetali di interesse erboristico e fitoterapico rappresentano una componente estremamente importante della flora spontanea delle più diverse parti del mondo, e la raccolta nell’ambito delle popolazioni naturali è sicuramente il metodo più antico per l’approvvigionamento da parte delle comunità locali. Tale pratica, tuttavia, è in grado di sostenere le richieste della popolazione solo fino a quando queste rimangono circoscritte ad ambiti quantitativamente limitati e qualitativamente poco definiti. In seguito, quando l’interesse verso la specie si consolida, l’incremento della domanda non può venire soddisfatto unicamente intensificandone la raccolta dai luoghi di vegetazione naturale, pena il depauperamento delle popolazioni spontanee. La letteratura sull’argomento abbonda di casi in cui estesi popolamenti naturali sono stati drasticamente ridotti (spesso oltre la loro possibilità naturale di ricostituzione) per effetto di un’eccessiva pressione del carico di prelevamento: il Ginseng americano ma anche quello giapponese e coreano, alcune specie di Arnica in Spagna e addirittura interi popolamenti di rosmarino in Sardegna. In questi casi, l’approvvigionamento della specie mediante la coltivazione specializzata diventa una necessità imprescindibile. Solo la coltivazione, purché condotta con tecniche idonee, garantisce infatti la possibilità di modulare le produzioni seguendo le richieste del mercato e soddisfacendone le esigenze, prima fra tutte quella dell’uniformità quantitativa e qualitativa che oggi viene fortemente richiesta dai compratori, siano essi semplici consumatori o strutture industriali più o meno grandi. La coltivazione offre inoltre la possibilità di valorizzare specie poco diffuse, se non addirittura rare, che hanno manifestato potenzialità tali da suggerirne l’uso da parte di alcuni settori produttivi, ma che non possiedono una fitomassa sufficiente da far fronte a tale uso, e in qualche caso nemmeno sufficiente a svolgere su di esse un’adeguata attività sperimentale.
Il passaggio di una specie vegetale dalla condizione di pianta spontanea a quella di coltura specializzata di interesse industriale coinvolge tuttavia implicazioni profonde anche sotto un profilo qualitativo. I principi attivi delle piante utilizzate in fitoterapia sono per lo più rappresentati da metaboliti secondari, la cui produzione è senza dubbio regolata da meccanismi di natura enzimatica, ma sulla cui espressione intervengono diverse variabili legate alle condizioni ambientali e, quindi, di coltivazione. Di fatto, la tecnica agronomica, modificando l’ambiente di crescita delle piante attraverso la scelta dell’epoca di semina o d’impianto, le fertilizzazioni, le lavorazioni o l’irrigazione, determina importanti variazioni delle condizioni nutrizionali e abitative del suolo. Molti degli effetti indotti dall’agrotecnica sui più importanti aspetti qualitativi delle specie di interesse fitoterapico sono stati studiati da una copiosa attività sperimentale svolta in diverse parti del mondo, e già per alcune specie è possibile disporre di dettagliati protocolli di coltivazione, mirati all’ottenimento di prodotti ben identificati sia per quantità che per qualità.
Molte specie di interesse erboristico e farmaceutico, infine, hanno dimostrato ampie possibilità di coltivazione in assenza di input energetici di rilievo, riducendo cioè al minimo gli apporti di fertilizzante, le lavorazioni del terreno e gli interventi anti-parassitari e diserbanti. Su questa base, sembra possibile l’attuazione di una strategia di valorizzazione di queste specie tramite il miglioramento delle loro doti di salubrità, naturalità e sicurezza, mediante l’impiego delle tecniche di produzione sostenibili, tra cui ad esempio le tecniche di agricoltura biologica