La dilatazione della città contemporanea al di fuori di qualunque schema di confine
amministrativo o territoriale genera ed è generata dall’allargamento degli spazi di vita. Si
abitano territori sempre più vasti, separando nettamente gli spazi della residenza da quelli del
lavoro e dello svago, costruendo porzioni di città autoreferenziali e introverse, spesso votate al
dominio incontrastato dei grandi contenitori per il commercio.
Prima degli altri, gli spazi di confine lasciano trasparire le contraddizioni e le difficoltà di
comprendere e supportare i significati in divenire di spazi urbani in continua trasformazione o
assestamento, rendendo vana qualunque ipotesi di confinabilità di politiche e strumenti per il
governo di questi territori.
Per decodificare questa città appare necessario abbandonare l'ottica e gli strumenti della
ricerca urbanistica tradizionale; osservare e studiare gli spazi attraverso la lente delle
interazioni che in essi hanno luogo. Si tratta di indagare le funzioni vitali della città,
interpretandola come luogo di interazione sociale non predefinita, avviando una profonda
riflessione sui modi, le forme e le configurazioni dell'abitare che la contemporaneità sta
producendo; sulle intenzionalità e sull'idea di città che stanno inducendo tali trasformazioni,
spesso liquidate con giudizi perentori, che non ne lasciano trasparire il potenziale.
Tre sono le chiavi di lettura scelte per decifrare queste realtà, le declinazioni concettuali da
articolare: il confine, il consumo e lo spazio pubblico. Chiavi non determinate
aprioristicamente, ma venute a galla e suggerite dalle configurazioni problematiche del
contesto della ricerca.
Lo studio e l’osservazione delle aree del confine, tramite diversi media, ci rivela configurazioni
spaziali e di pratiche che sembrano stare strette all’interno delle descrizioni dicotomiche che
delle periferie contemporanee gran parte del dibattito contemporaneo produce e che informa
le modalità di intervento su questi contesti.
Per decodificare gli spazi urbani di confine, la tesi propone uno sguardo “deliberatamente naif”,
combinando approcci e strumenti della ricerca diversi.
Si crea così un racconto. Si ricostruiscono storie, voci e strutture di quel delta urbano che si è
venuto a creare dal secondo dopoguerra nell'area di sud-est di Roma, al di là del fiume che
circonda la capitale, il suo Gange, il Grande Raccordo Anulare. Si esplora Anagnobia, questo il
nome dato al delta, con la sua idrografia, le sue isole e i suoi approdi. Se ne ascoltano e narrano
le voci, consapevolmente espresse o carpite seguendone le tracce spesso intermittenti e labili.
Il racconto della città esplorata si confronta poi con quello della città ricercata, pianificata e
voluta, con il progetto di una città altra che condensi in un nuovo fulcro le aspettative di
miglioramento delle condizioni dell'abitare nel delta. Un nuovo centro che racchiuda i sogni di
tutte le sue popolazioni, ROMAnina.
L'esplorazione delle diverse trame che l'abitare assume in questi contesti conduce però ad un
ripensamento delle potenzialità che gli spazi urbani, ed il loro progetto, assumono. Al di là dell'opposizione
tra Anagnobia, la città che è, e ROMAnina, la città che forse sarà, si aprono possibilità non scontate di lavoro
per un progetto di città che guardi al riequilibrio tra le diverse isole di cui il delta è costituito, puntando sulle
potenzialtà dello spazio urbano come ambito di relazione e interazione, nonché su un possibile ruolo
consapevolmente urbano dei contenitori per il consumo, i suoi approdi. Possibilità di cui ROMAnina fa
parte, ma che non può e non deve esaurire