thesis

POLITICHE DI AMMISSIONE E GESTIONE DEI FLUSSI MIGRATORI DA LAVORO IN ITALIA DALLA TURCO-NAPOLITANO AD OGGI.

Abstract

L'obiettivo di questo elaborato è quello di analizzare gli strumenti di cui si è dotata l'Italia al fine di regolare i flussi immigratori da lavoro. Dall'analisi svolta emerge la difficoltà dei governi italiani ad abbandonare una gestione emergenziale e contingente del fenomeno in favore di una maggiore consapevolezza di fronte all'immigrazione, in generale, e quella economica in particolare, in quanto elemento strutturale del tessuto socio-economico italiano. Le difficoltà oggettive, incontrate nella stesura dell'elaborato, sono frutto della complessità del fenomeno di per sé di natura transnazionale e che coinvolge una moltitudine di soggetti, oltre a presentare molteplici aspetti, da quelli socio-economici a quelli prettamente politici, fortemente intrecciati tra loro. Data la complessità di questo versante della politica migratoria, ho scelto una chiave di lettura storica, in quanto permette di evidenziare il profondo legame tra la discussione politica, caratterizzata da una forte polarizzazione ideologica, e gli interventi attuati in questa materia. All'interno di questi equilibri s'inserisce, inoltre, il crescente ruolo dell'Unione Europea che chiede, nonostante le resistenze dei singoli Stati, di rinunciare a una porzione di sovranità col fine di creare una politica migratoria comune. Nel primo capitolo vengono analizzati l'origine del fenomeno e la nascita della politica migratoria in Italia. Con l'approvazione della legge Turco-Napolitano nel 1998, e il conseguente raggruppamento delle leggi all'interno del Testo Unico, l'Italia cerca di dotarsi di una legge organica in materia migratoria. Il sistema è incentrato sulla chiamata nominativa del lavoratore ancora all'estero, che avviene secondo i limiti numerici definiti dalla programmazione dei flussi ed attuati attraverso il cosiddetto decreto-flussi. Questo meccanismo dimostra, fin dalla nascita, notevoli inadeguatezze e carenze, per cui si deve ricorrere sistematicamente a strumenti di regolarizzazione ex post di una presenza irregolare che tende a riprodursi, anche a causa del lavoro sommerso che funge da potente fattore d'attrazione dei flussi, e tutto questo perché, sia i datori di lavoro che i lavoratori immigrati, non trovano conveniente utilizzare i canali d'ingresso regolari. Nel secondo capitolo il punto di partenza è rappresentato dalla riforma attuata dalla legge Bossi-Fini nel 2001. Tale legge è frutto della nuova maggioranza di centro-destra che fa dell'immigrazione un tema cruciale per raccogliere consensi, associandola a situazioni problematiche di sicurezza e ordine pubblico. La legge interviene in maniera sostanziale sui meccanismi di ammissione, inasprendo le condizioni di ingresso con l'introduzione del “contratto di soggiorno” (che subordina la presenza alla disponibilità di un'occupazione lavorativa) e precarizzando il soggiorno dei regolari, dimezzando la durata dei permessi. Ai fattori interni si aggiunge l'influenza dell'Unione Europea. L'allargamento verso i paesi dell'Est rappresenta l'apice delle carenze del meccanismo di ammissione: una larga parte degli ingressi si sottrae al potere regolatorio del sistema delle quote, dal momento che buona parte dei flussi si compone di soggetti che non necessitano più di alcun permesso di soggiorno. La medesima incapacità emerge anche con il presentarsi della crisi economica alla fine del 2008. Infatti, nonostante la drastica riduzione delle quote, i flussi, prevalentemente diretti al servizio alle famiglie, si mantengono elevati e subiscono una battuta d'arresto solo a partire dal 2011. Nel terzo capitolo vengono presi in considerazione i provvedimenti più recenti: l'Accordo d'Integrazione all'interno del Piano per l'Integrazione e la Carta Blu sono frutto del crescente ruolo dell'Unione Europea e dell'affermarsi del nuovo (e più impegnativo) concetto d'integrazione e, pertanto, rappresentano il tentativo dell'azione politica di adeguarsi ai principi della politica migratoria dell'Unione Europea. Tali provvedimenti, tuttavia, hanno suscitato perplessità e critiche, sia in termini ideologici che in termini di attuabilità concreta, data la mancata predisposizione di risorse aggiuntive necessarie. Il quadro che emerge è che l'Italia ha attratto ingenti flussi senza che a questi corrispondesse una crescita economica, e questo è frutto del potere d'attrazione costituito dai fattori socio-demografici, come la bassa natalità, l'invecchiamento della popolazione, l'evoluzione delle aspettative lavorative, soprattutto dei giovani. In conclusione i problemi rimangono aperti, anche se oggi meno visibili principalmente per due fattori. Il primo consiste nella mancanza di un dibattito politico e mediatico, nonché scientifico, causato dalla poca notiziabilità dell'immigrazione regolare, in favore degli aspetti più eclatanti e conflittuali. Il secondo invece è rappresentato dalla battuta d'arresto dei flussi di arrivo, che fa apparire il problema lontano. E così l'azione politica aspetta, finché non si presenterà la prossima emergenza

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