Il saggio di Giorgio Bertellini "Il Divo e Il Duce" è finalmente tradotto per il mercato italiano, edito da Le Monnier. Il volume corposo (400 pagine) sana considerevoli lacune storiografiche aprendo al contempo nuove piste di indagine. Nel dettaglio, propone una lettura inedita sul confronto che avviene tra divismo cinematografico – siamo in piena epoca del muto – e celebrità in ambito politico. Bertellini si sofferma, in particolare, sul concetto di “autorità” riscontrabile nel discorso pubblico statunitense negli anni Venti, dato che emerge dalla capillare ricerca effettuata dall’autore sulle fonti d’epoca

Lotti, Denis

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Il saggio di Giorgio Bertellini "Il Divo e Il Duce" è finalmente tradotto per il mercato italiano, edito da Le Monnier. Il volume corposo (400 pagine) sana considerevoli lacune storiografiche aprendo al contempo nuove piste di indagine. Nel dettaglio, propone una lettura inedita sul confronto che avviene tra divismo cinematografico – siamo in piena epoca del muto – e celebrità in ambito politico. Bertellini si sofferma, in particolare, sul concetto di “autorità” riscontrabile nel discorso pubblico statunitense negli anni Venti, dato che emerge dalla capillare ricerca effettuata dall’autore sulle fonti d’epoca

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“Il Divo e il Duce. Fama, politica e pubblicità nell’America degli anni Venti”  Giorgio Bertellini, Le Monnier, Firenze 2022   Denis Lotti  Il saggio di Giorgio Bertellini, già pubblicato in inglese nel 2019 da University of California, è finalmente tradotto per il mercato italiano, edito da Le Monnier. Il volume corposo (400 pagine) sana considerevoli lacune storiografiche aprendo al contempo nuove piste di indagine. Nel dettaglio, propone una lettura inedita sul confronto che avviene tra divismo cinematografico – siamo in piena epoca del muto – e celebrità in ambito politico. Bertellini si sofferma, in particolare, sul concetto di “autorità” riscontrabile nel discorso pubblico statunitense negli anni Venti, dato che emerge dalla capillare ricerca effettuata dall’autore sulle fonti d’epoca.  Il focus dicotomico titolare, Divo/Duce, riguarda due italiani di nascita divenuti proverbiali celebrità negli States nel primo Dopoguerra. Da un lato Rodolfo Valentino (1895-1926), celebrità hollywoodiana, sorta di paradigma del divismo cinematografico di ogni epoca, e dall’altra Benito Mussolini (nato nel 1883), nominato presidente del Consiglio dopo aver a lungo cavalcato e, infine, dominato la guerra civile che serpeggia ad alterne intensità, tra 1919 e 1922, e che egli stesso ha contribuito a creare con ripetuti atti insurrezionali e violenze squadriste.  Bertellini apre il percorso ricostruttivo prendendo in esame una controversa immagine pubblicata sulla rivista «Motion Picture Magazine» nel febbraio del 1927. Vi si riconoscono le star hollywoodiane Mary Pickford e Douglas Fairbanks in costume da bagno sulla spiaggia della loro villetta a Laguna Beach. I divi sono ritratti assieme ad altri amici. La fotografia immortala i vacanzieri in un momento di relax, ma un particolare attira l’attenzione di chi osserva: quasi tutti i presenti – compresi Pickford e Fairbanks – alzano il braccio destro stendendo la mano, a mo’ di saluto fascista. La didascalia toglie ogni dubbio chiarendo che le star sono ritratte mentre accolgono ospiti presso la loro casa di vacanza salutandoli «all’autentica maniera italiana». Un saluto imparato dai divi in un recente viaggio Italia, durante il quale incontrano Mussolini in persona. A partire da questo testimone fotografico il volume di Bertellini si struttura analizzando accuratamente, e in molti casi per la prima volta, aspetti della celebrità cinematografica riferibili all’ambito politico, con un occhio di riguardo al mondo della pubblicità.   Nella prima parte, intitolata Persuasione e potere negli anni della Grande guerra, l’autore prende in esame alcuni illustri precedenti che collegano potere politico statunitense e la nascente Hollywood, visti in un rapporto sempre più intenso tra Washington e i produttori californiani. In particolare, nel secondo Capitolo, Bertellini rileva questioni non così scontate. Ovvero rileva l’emergere di un nazionalismo culturale intrecciato con i tentativi di creare, per mezzo dei media d’epoca, la cosiddetta «democrazia nazionale». A questo il capitolo successivo aggiunge l’analisi dettagliata dei rapporti tra divismo hollywoodiano e leadership globale durante la Grande guerra, alla luce dell’intervento diretto americano nelle ostilità (1917), che cambierà le sorti della politica mondiale creando nuove modalità negli scambi culturali tra nuovo e vecchio continente.  La seconda parte (Il Divo, o l’amore sovrano) si rivolge al mito di Rodolfo Valentino. Bertellini analizza la parabola divistica dell’interprete nato a Castellaneta a partire da alcuni ruoli da questi indossati – letteralmente – lungo la breve ma travolgente carriera. Il divo, infatti, di volta in volta incarna un nuovo genere di “cattivo” oltre che di «amante audace e generoso». I tre capitoli monografici dedicati a Valentino focalizzano una tematica che sempre più spesso è al centro degli studi culturali e cinematografici contemporanei: la transnazionalità. Su detto tema si ricompone una tipologia di mascolinità e al contempo anche una possibile, quanto sapida, definizione di italianità. La novità portata da Valentino nell’immaginario del pubblico di allora è quello di un nuovo villain estraneo alla consuetudine anglosassone. In esso è incluso il punto di vista che Bertellini definisce «commerciale al femminile». L’italianità di Valentino passa attraverso la latinità di Valentino stesso, assumendo su di sé il ruolo del tanghero, che ne lega la fama a un ballo sensuale (danza che, comunque sia, con gli italiani c’entra molto): il riferimento è, ovviamente, alla pellicola I quattro cavalieri dell’Apocalisse (The Four Horsemen of the Apocalypse) diretta nel 1921 da Rex Ingram. Nel capitolo successivo sono accuratamente riordinati alcuni luoghi comuni legati al prosieguo della carriera del divo e della relativa definizione del personaggio cinematografico, ovverosia il percorso di carriera che lo porta a incarnare lo sceicco: ruolo incisivo che assume su di esso questioni etniche cruciali. Elementi che si risolvono proprio nel finale di The Sheik (1921, George Melford) rilevando questioni etnico-culturali che trovano nuovo riscontro nello svelamento delle origini europee del protagonista, che funzionano quale sorta di riabilitazione culturali in extremis. Infine Bertellini associa alla parabola divistica di Valentino gli «espedienti pubblicitari» che intervengono per far sì che nasca e cresca il mito divistico. Sul lavoro più o meno occulto dei pubblicitari ecco che si innesta il moto di popolo che troverà un inaspettato climax nella morte prematura di Valentino. Proprio nella conseguente apoteosi dell’attore, si riscontra una sorta di «plebiscito del dolore», come lo definisce lo studioso.   La terza e ultima parte, intitolata Il Duce, o il dispotismo romantico, raccoglie due capitoli che inquadrano la celebrità mediatica di Mussolini nell’America degli anni Venti. Una fortuna che nasce da biografie romanzate del dittatore pubblicate negli Stati Uniti, creando un interesse molto simile a quelle che ottiene, parimenti, un divo del cinematografo. Ma Bertellini non si limita alla vulgata e agli automatismi, spesso dati per scontati. L’accostamento divistico di Mussolini è sovente basato su intuizioni non sempre supportate da ricerche d’archivio o legate alla pubblicistica dell’epoca. Lo studioso, perciò, scandaglia i numerosi ritratti del “duce” che si ritrovano in alcuni reportage giornalistici. Ad esempio la mitizzazione della cosiddetta “marcia su Roma” e gli interventi più o meno occulti, diretti da personalità politiche e diplomatiche, atte a mettere in luce agli occhi del potere di Washington la nuova stella – è il caso di dire – della politica italiana. Spesso i citati parallelismi automatici tra Valentino e il dittatore avvengono in un preciso confronto, per quanto forzato, ma innegabilmente suggestivo, tra politica e cinema. Mussolini nel secondo capitolo a lui dedicato è definito «dittatore nazionale, attore internazionale», ivi l’autore prende in esame film esemplari come The Eternal City, diretto da George Fitzmaurice nel 1924, che mette in scena una love story ambientata durante la marcia su Roma, sorta di instant movie che cavalca l’evento colto quasi nel suo svolgersi. Nel film appare brevemente anche Mussolini interpretando il ruolo di se stesso. Fu un’esperienza dirimente, quanto un fallimento commerciale, al punto che il dittatore ne proibisce la circuitazione in Italia. Al contempo prende coscienza del proprio “ruolo cinematografico” chiedendo ai produttori hollywoodiani di essere coinvolto direttamente in eventuali iniziative future. Il successo arriva con il sonoro The Man of the Hour del 1927: per il pubblico statunitense udire la voce di Mussolini che si rivolge agli americani in inglese e agli italoamericani in italiano «fu una rivelazione».  In sostanza, Bertellini crea un parallelismo tra “il divo e il duce” cogliendone affinità, analizzando alcune campagne pubblicitarie particolarmente efficaci, all’origine della fortuna popolare di entrambi lungo gli anni Venti. Dette campagne mettono in luce le rispettive novità che, da un lato l’attore dall’altro il politico, portano nel rispettivo contesto d’azione. Ecco che sempre più gli strumenti di propaganda asserviti alla dittatura italiana cercano una grancassa al di qua dell’Oceano e funzionano almeno finché la stella di Mussolini non si appanna. Ciò accade negli anni Trenta quando la figura dell’autocrate non apparirà più al pubblico americano come unica, né insolita. Ciononostante, la figura di Mussolini, ritratta in qualità di garante di un supposto buongoverno, viene esaltata dalla retorica americana nel momento in cui Franklin Delano Roosevelt chiede al Congresso «ampi poteri all’esecutivo». Allora il parallelismo torna ad essere plausibile e presentabile: in questo preciso clima politico particolarmente poroso, appare sugli schermi americani il celebre film di montaggio intitolato Mussolini Speaks (1933, Columbia Pictures). Rilevando alcune – diffuse – rigidità insite nel consueto racconto della storia della politica, oltre che della storia cinematografica, il saggio di Bertellini supera stereotipi ed errori di tradizione gettando nuova luce su argomenti che spesso sono stati dati per scontati attraverso automatismi, talvolta caricature, o luoghi comuni nati nell’ambito della stampa pubblicitaria o che traggono origine da vulgate cresciute in seno al fandom. Contesti eterogenei e complessità di analisi che lo studioso relaziona a dimensioni di lobbying e di promozione, oltre che di propaganda commerciale e politica. Il Divo e il Duce ricostruisce, supportato da testimoni d’epoca, due rispettive vie, complementari, della rappresentazione d’italianità negli anni Venti americani. Soppesando da un lato l’autoritaria leadership maschile e romantica di Mussolini, dall’altro il sorgere di un – apparentemente – anacronismo paternalismo antidemocratico, altamente fascinoso, incarnato da Valentino.   

Il Divo e il Duce. Fama, politica e pubblicità nell’America degli anni Venti

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Il Divo e il Duce. Fama, politica e pubblicità nell’America degli anni Venti

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