Cortese, C. G.

Ghislieri, C.

Molino, M.

Italian

Institutional Research Information System University of Turin

17 October 2023AperTO - Archivio Istituzionale Open Access dell'Università di TorinoOriginal Citation:Teaching psychological assessment for organizational contexts: In search of good practicesPublished version:DOI:10.1421/101227Terms of use:Open Access(Article begins on next page)Anyone can freely access the full text of works made available as "Open Access". Works made availableunder a Creative Commons license can be used according to the terms and conditions of said license. Useof all other works requires consent of the right holder (author or publisher) if not exempted from copyrightprotection by the applicable law.Availability:This is the author's manuscriptThis version is available http://hdl.handle.net/2318/1888424 since 2023-01-30T09:07:09Z     This is the author's final version of the contribution published as:  Cortese, C.G., Molino, M., Ghislieri, C. (2021) Teaching psychological assessment for organizational contexts: In search of good practices [Insegnare l’assessment psicologico per i contesti organizzativi: Alla ricerca di buone pratiche]. Giornale Italiano di Psicologia, 48/1, 109-114.  The publisher's version is available at: https://www.mulino.it/riviste/issn/0390-5349  When citing, please refer to the published version.                 This full text was downloaded from iris-Aperto: https://iris.unito.it/    Insegnare l’assessment psicologico per i contesti organizzativi: alla ricerca di buone pratiche Teaching psychological assessment for organizational contexts: In search of good practices Claudio G. Cortese, Monica Molino, Chiara Ghislieri Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Psicologia Corresponding Author: Monica Molino (monica.molino@unito.it)  Nelle organizzazioni si fa assessment per la ricerca e selezione del personale, per la valutazione e incentivazione, per la formazione e lo sviluppo delle competenze, per l’outplacement, per la ricerca su variabili psicosociali, per la promozione del benessere e la diagnosi di situazioni critiche che minacciano la salute bio-psico-sociale dei lavoratori, e l’elenco potrebbe continuare. Gli strumenti di valutazione indagati dallo studio presentato nell’articolo-bersaglio (Alessandri et al., 2020) si utilizzano tutti, e non a caso viene definito assessment center (AC) un processo, caratterizzato dalla compresenza di più valutati, più valutatori e più strumenti, che rappresenta attualmente la modalità più sofisticata e affidabile di fare assessment psicologico a servizio delle organizzazioni (Consiglio e Tinelli, 2019; Cortese e Del Carlo, 2017). Di conseguenza, saper progettare, realizzare e valutare un assessment psicologico è parte integrante della professionalità psicologica lavorare nei contesti organizzativi. Data questa premessa generale, oltre a formulare alcune considerazioni complementari a quelle emerse nell’articolo bersaglio, nel nostro contributo presenteremo un’esperienza didattica di tipo laboratoriale che connota ormai da anni l’offerta didattica specialistica in psicologia del lavoro del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino, e proveremo a indicare alcune questioni aperte/linee di sviluppo per la discussione all’interno della comunità scientifica e professionale.  Commento alla ricerca I dati presentati dall’articolo di Alessandri et al. (2020) colpiscono anzitutto per la ridotta partecipazione di colleghi/e del SSD M-PSI/06: tante possono essere le ragioni, tra queste la più preoccupante è che si dedichi poco spazio all’insegnamento dell’assessment psicologico, mentre un’ipotesi alternativa è che tale insegnamento venga affidato a docenti a contratto che non hanno partecipato alla ricerca in quanto non-soci AIP: in ogni caso, solo il dialogo all’interno della Sezione potrà offrire spunti interpretativi, evidenziando minacce e opportunità. Tra le implicazioni dei dati presentati, vogliamo sottolineare l’apparente paradosso per cui quanto più si opera all’interno di un contesto “plurale” come le organizzazioni, tanto più è imprescindibile disporre di strumenti che consentano di esplorare e riconoscere la soggettività. Solo in questo modo la psicologia e gli psicologi possono favorire una gestione delle risorse umane che sia autenticamente tale. Un assessment psicologico che faccia cogliere al “soggetto” (che sia un candidato all’assunzione, un lavoratore in servizio, un partecipante all’outplacement) l’attenzione per la sua unicità, ha inoltre implicazioni potenti per il contratto psicologico, ovvero il legame tacito che si crea tra lavoratore e organizzazione, e per l’employer branding, cioè il modo in cui l’organizzazione si definisce agli occhi del mercato del lavoro e delle persone che in essa lavorano. Un secondo spunto che viene dai dati è il riproporsi del dilemma tra strumenti di assessment validati e costruiti ad hoc, là dove le organizzazioni frequentemente pongono al professionista una domanda di “robustezza” scientifica e al contempo di personalizzazione. In ogni situazione si tratterà ovviamente di trovare un equilibrio, anche adottando soluzioni “miste”, ma preferendo comunque strumenti per cui si dispone di sostegno nella letteratura scientifica di riferimento. Infine, al di là degli strumenti specifici, crediamo che la formazione universitaria debba mantenere una forte focalizzazione sull’importanza attribuita al setting, all’aggiornamento continuo dei valutatori e alle tecniche multi-source (o multi-rater). In tal senso, da un lato risulta chiaro che le questioni psicometriche non possano prescindere dal processo entro cui lo strumento si inserisce; dall’altro è altrettanto evidente che una pluralità di valutatori, sia esterni (consulenti psicologi) sia interni all’azienda (HR manager o capi di linea adeguatamente formati e coordinati dal responsabile del processo), sia una pratica promettente, basata sul presupposto che ciascuno di essi possieda una diversa angolazione di osservazione del valutato: integrando le prospettive dei valutatori è pertanto possibile costruire una visione più completa delle caratteristiche e delle performance dei valutati.  La didattica Laboratoriale Pur rimanendo imprescindibile una didattica teorica e frontale sulle conoscenze legate all’assessment psicologico, l’affiancamento di un’esperienza laboratoriale può essere il metodo attraverso il quale cominciare a sviluppare competenze professionali, da integrare al sapere teorico. Tale riflessione può valere per molte attività proprie della professione dello psicologo del lavoro, ma verrà qui declinata in maniera specifica per il caso dell’assessment applicato alla selezione e valutazione del personale. Il metodo dell’AC è il più utilizzato nelle organizzazioni e suggerito dai professionisti per l’osservazione delle competenze e la valutazione del potenziale (Castellano, 2019). A partire dagli anni ’70 sono state definite da studiosi e specialisti del campo HR le linee guida internazionali per la realizzazione degli AC, che vengono costantemente riviste e aggiornate (International Task Force on Assessment Center Guidelines, 2009). A partire da tali linee guida, dalle conoscenze e dall’esperienza professionale, è possibile sviluppare un laboratorio che permetta agli aspiranti psicologi valutatori di acquisire consapevolezza sul processo e di confrontarsi con i principali strumenti dell’AC. Tra questi, nell’ambito di un laboratorio accademico è possibile affrontarne diversi: il profilo di competenza e le relative schede di valutazione; le prove situazionali, tra cui il colloquio, l’incident, l’in-basket, il lavoro di gruppo, il role play. Per ciascuna prova è possibile proporre in aula delle simulazioni nelle quali gli studenti si sperimentano nel ruolo del selezionatore/valutatore, del candidato e dell’osservatore, sviluppando capacità di conduzione, di osservazione e valutazione, di dare e ricevere feedback, preparandosi contestualmente alla professione dello psicologo e, in termini di consapevolezza di sé, a quella “del candidato”.  L’utilizzo di strumenti reali e concreti può essere supportato dalla possibilità di accedere ad esperienze altrettanto reali e concrete. Ciò può essere reso possibile in primis dal coinvolgimento di docenti (eventualmente a contratto) con esperienza nell’assessment psicologico in ambito organizzativo; inoltre, possono essere utili ed efficaci testimonianze di psicologi professionisti, consulenti e manager HR, e convenzioni con contesti in cui questi metodi e strumenti vengono impiegati.    Questioni aperte e linee di sviluppo La didattica dell’assessment in ambito psicologico non può dimenticare la dimensione etica, sia come aspetto che attiene alla relazione tra azienda, professionista dell’assessment e candidati, sia come elemento più generale che vede l’assessment come un tassello dell’insieme dei processi organizzativi all’interno di un frame ormai irrinunciabile di responsabilità sociale dell’organizzazione verso le persone. Il discorso sarebbe qui amplissimo ma ci preme anzitutto delineare alcuni punti che riteniamo cruciali dal punto di vista formativo. Nella didattica dell’assessment ha un posto importante l’insieme di conoscenze e competenze legate alla cura della qualità della relazione: obiettivi chiari, correttezza nei processi comunicativi, necessità di una restituzione “adeguata”, sia al committente sia ai candidati, sono elementi essenziali. “Adeguata” significa comprensibile, completa e utile per 1) sviluppare i processi di assessment organizzativo, nel caso del committente, 2) orientare le azioni dei candidati, in caso di esito sia negativo sia positivo. Inoltre, la percezione di un processo di assessment etico, che significa anche selezionare o promuovere persone con storie e atteggiamenti che suggeriscono una loro bassa probabilità di mettere in atto comportamenti scorretti sul luogo di lavoro (Miceli e Near, 2001), è associata a un ridotto conflitto valoriale dopo l’assunzione e a un insieme di atteggiamenti lavorativi più positivi (Valentine, Hollingworth e Eidsness, 2014). Attiene alla dimensione etica della relazione anche il contrasto di ogni forma di discriminazione. Sebbene i risultati degli studi sui processi discriminatori (prevalentemente basati su genere, identità di genere e razza) nell’ambito del reclutamento e della selezione siano contraddittori (Carlsson e Rooth, 2008; Liebkind, Larjab e Brylka, 2016), l’attenzione, anche pedagogica, deve essere tesa ad evitare tali distorsioni sia per ragioni etiche sia per ragioni strategiche, considerando le evidenze circa il valore aggiunto della diversità nei contesti di lavoro (e.g. Herring, 2009).  Come si costruisce un processo di assessment che sia libero da discriminazioni? Come si individuano i rischi di bias discriminatori nei processi di assessment? Come si discutono questi aspetti con la committenza, nel caso in cui emerga un atteggiamento discriminatorio (in genere nella forma “benevolente”; Romani, Holck e Risberg, 2019)? A questi interrogativi la formazione psicologica deve fornire risposte teoriche e metodologiche, anche proponendo, all’interno degli insegnamenti specifici, testimonianze, dibattiti, confronti con professionisti e figure di riferimento nell’ambito dell’HR. Oltre la dimensione formativa, ciò richiede anche un chiaro posizionamento delle Associazioni Accademiche e dell’Ordine degli Psicologi, che nell’esercizio delle loro funzioni istituzionali potranno (e dovranno) contribuire alla definizione del codice etico dell’assessment. In un futuro ormai molto vicino tutto ciò verrà anche “sfidato” dalla necessità di confrontarsi con i cambiamenti della quarta rivoluzione industriale, e in particolare di governare l’interazione tra intelligenza umana e artificiale (Ghislieri, Molino e Cortese, 2018). Un’ulteriore linea di sviluppo riguarda l’utilizzo dell’assessment psicologico in ambito sportivo, che implica tre passaggi. Il primo è riconoscere l’atleta professionista (o il team) come un lavoratore, inserito in un’organizzazione che ha come finalità la qualità della sua performance; il secondo è focalizzare le dimensioni in cui si articola la componente mentale di tale performance (es. attenzione, ritmo, energia ecc.), e che saranno oggetto del lavoro di ottimizzazione da parte dello psicologo; il terzo è dotarsi di una strumentazione scientificamente validata che consenta di monitorare l’atleta e accompagnare tale processo di ottimizzazione. Ancora troppo di frequente l’assessment psicologico in ambito sportivo si avvale di strumenti self-made gestiti da figure che vantano competenze psicologiche senza però aver avuto una adeguata formazione. Da questo punto di vista, disporre della versione italiana di strumenti validati potrà risultare una importante risorsa anche in termini didattici. Allo stesso modo, l’adeguamento degli strumenti in uso alle nuove risorse oggi disponibili consentirà di presidiare adeguatamente la qualità dell’assessment in ambito organizzativo. Con nuove risorse intendiamo non solo la già citata intelligenza artificiale (un algoritmo per l’analisi di contenuto dei CV o una chatbot per interagire con i candidati), ma anche i test proposti con modalità di gamification, o ancora i setting per l’osservazione comportamentale mutuati dalle escape room o dai team cooking game. In caso contrario, si rischia un uso improprio di tali risorse, considerate sulla base del loro appeal piuttosto che su una loro effettiva utilità ai fini valutativi (“è di moda, quindi vuol dire che funziona…”). È evidente come lo stesso strumento (e.g. escape room) possa essere utilizzato con maggiore o minore adeguatezza e scientificità, e ciò dipenda quasi esclusivamente dalla competenza metodologica dell'utilizzatore, intesa non solo come competenza d'uso di un metodo definito da altri, ma anche come competenza critica rispetto alla valutazione metodologica di un certo strumento. Per questa ragione nella didattica dell'assessment la componente di conoscenza e competenza in metodologia della ricerca è fondamentale e va ancorata agli usi specifici nei contesti di lavoro, e non insegnata, invece, astrattamente, come ancora troppo spesso accade, generando resistenze e scarsi apprendimenti in chi studia.    Bibliografia Alessandri G., Aschieri F., Bobbio A., Daini R., Laghi F., Nucci M., Parolin L., Traficante D., Lis A. (2020). L'insegnamento degli strumenti di assessment psicologico: una prima esplorazione nella comunità accademica italiana. Giornale Italiano di Psicologia, in press. Carlsson M., Rooth D.O. (2007). Evidence of ethnic discrimination in the Swedish labor market using experimental data. Labour Economics, 14, 716-729.  Castellano A. (a cura di) (2019) Valorizzare il capitale umano. Persone, team, organizzazioni. Milano: Egea. Consiglio C., Tinelli E. (2019). Assessment Center. Milano: Franco Angeli.  Cortese C.G., Del Carlo A. (2017). La selezione del personale. Milano: Raffaello Cortina Editore. Ghislieri C., Molino M., Cortese C.G. (2018). Work and organizational psychology looks at the Fourth Industrial Revolution: How to support workers and organizations? Frontiers in Psychology, 9, 2365, doi:10.3389/fpsyg.2018.02365  Herring C. (2009). Does Diversity Pay?: Race, Gender, and the Business Case for Diversity. American Sociological Review, 74(2), 208-224.  International Task Force on Assessment Center Guidelines (2009). Guidelines and Ethical Considerations for Assessment Center Operations. International Journal of Selection and Assessment, 17(3), 243-253. Liebkind K., Larja L., Brylka A. (2016) Ethnic and Gender Discrimination in Recruitment: Experimental Evidence From Finland. Journal of Social and Political Psychology, 4(1), 403-426. Miceli M.P., Near J.P. (2001). Ethical issues in the management of human resources. Human Resource Management Review, 11(1-2), 1-9. Romani L., Holck L., Risberg A. (2019). Benevolent discrimination: Explaining how human resources professionals can be blind to the harm of diversity initiatives. Organization, 26(3), 371-390.  Valentine S., Hollingworth D., Eidsness B. (2014). Ethics-related selection and reduced ethical conflict as drivers of positive work attitudes Delivering on employees’ expectations for an ethical workplace, Personnel Review, 43(5), 692-716. 

Teaching psychological assessment for organizational contexts: In search of good practices

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