Questo paper riassume i risultati raggiunti attraverso alcune esplorazioni didattiche
condotte presso il Politecnico di Milano all’interno del Building Albanian Landscape – Lab,
durante l’anno accademico 2015‐16, coordinato dall’autrice.
Il laboratorio ha voluto approfondire alcuni temi lanciati dal più recente Piano della città
Tirana 2030 e concentrarsi sulle aree periferiche e di maggiore espansione della città.
Attraverso l’organizzazione di un viaggio studio e di una mostra finale presso la “Piramide”,
edificio simbolo della città di Tirana, questa esperienza di laboratorio ha offerto una reale
possibilità di confronto tra gli studenti di architettura del terzo anno della Scuola di
Architettura e Società, le Istituzioni albanesi e la comunità locale.
In opposizione alla visione della città di Tirana “dal centro e dall’alto” si è scelto di lavorare
sulle sue aree di margine. Attraverso l’elaborazione di “dispositivi” progettuali che hanno
esplorato la capacità di adattamento e progressivo miglioramento dello spazio urbano,
all’interno di un contesto così mutevole e incontrollato, si è cerato di capire come
oltrepassare la staticità del progetto.
Se osserviamo infatti le parti più marginali della città, i suoi confini, senza focalizzare la
nostra attenzione solamente sulla mancanza di servizi, di infrastrutture di base, ecc.
potremo trovare un elevato livello di “strutture”, non rappresentate o non ancora
riconosciute (relazioni sociali, auto‐espressioni, infiniti esperimenti e appropriazioni), delle
quali non si sente parlare e che esprimono invece in maniera latente una grande potenziale,
una “energia del fare”, tipica della città albanese.
Le esplorazioni progettuali elaborate si sono rivolte al riconoscimento delle risorse
disponibili e ad alcune loro possibili riorganizzazioni, attraverso un principio di flessibilità e
prevedendo un contributo attivo degli abitanti.
Progetti “irriducibili” che cercano di assicurare il massimo comfort possibile con la minima
spesa, per poi mutare o strutturarsi nel tempo.
Il progetto urbano in questi contesti è diventato una “toolbox”, una sorta di cassetta degli
attrezzi orientata allo scopo finale di riqualificare progressivamente gli spazi più fragili, ma
anche più dinamici della città e di stimolare la costruzione di processi e forme di
rigenerazione che possono provenire, almeno in una prima fase, dagli abitanti stessi, dalle
loro pratiche e in economia