Introduzione dei curatori al numero monografico "Il «fare» pensato.
Le parole degli artisti, le idee dell’arte"

Giacomo Alberto Calogero

Gianluca del Monaco

Pasquale Fameli

Italian

Archivio istituzionale della ricerca - Alma Mater Studiorum Università di Bologna

G.A. Calogero, G. del Monaco, P. FameliPredella journal of visual arts, n°51, 2022 www.predella.it - Monografia / Monograph www.predella.it / predella.cfs.unipi.itDirezione scientifica e proprietà / Scholarly Editors-in-Chief and owners:Gerardo de Simone, Emanuele Pellegrini - predella@predella.itPredella pubblica ogni anno due numeri online e due numeri monografici a stampa / Predella publishes two online issues and two monographic print issues each yearTutti gli articoli sono sottoposti alla peer-review anonima / All articles are subject to anonymous peer-reviewComitato scientifico / Editorial Advisory Board: Diane Bodart, Maria Luisa Catoni, Michele Dantini, Annamaria Ducci, Fabio Marcelli, Linda Pisani†, Neville Rowley, Francesco SolinasRedazione / Editorial Assistants: Elisa Bassetto, Elisa Bernard, Nicole Crescenzi, Silvia MassaCollaboratori / Collaborators: Roberta Delmoro, Livia Fasolo, Marco Foravalle, Giulia Gilesi, Michela MorelliImpaginazione / Layout: Elisa Bassetto, Elisa Bernard, Gaia Boni, Sofia Bulleri, Nicole Crescenzi, Rebecca Di GisiPredella journal of visual arts - ISSN 1827-8655pubblicato nel mese di Ottobre 2022 / published in the month of October 20227Giacomo A. Calogero, Gianluca del Monaco, Pasquale FameliPresentazioneL’idea di questo volume nasce a seguito di una bella esperienza seminariale che ha avuto luogo, seppur nello spazio virtuale fornito dalla piattaforma Teams, nei primi di luglio del 2020. La voglia di organizzare questo evento nacque durante il primo e forse più duro lockdown, nel corso di lunghe chiamate tra amici e colleghi, fatte per scuotersi e rincuorarsi a vicenda. Si cominciò, tra una cosa e l’altra, a immaginare un modo diverso di aggregarsi e di discutere insieme, di confrontare le ricerche, le idee, gli studi, un modo più flessibile e liquido, che scavalcasse i limiti (non si sapeva quanto duraturi) imposti dalla pandemia, ma anche tutti quegli ostacoli materiali che spesso si incontrano in tempi più normali. La nostra iniziativa sorse dunque come reazione a uno stato di cose angosciante, ma anche come desiderio di sperimentare nuove situazioni e possibilità. L’argomento portante del seminario, peraltro inserito nell’attività didattica del dottorato in Arti visive dell’Università di Bologna, era già condensato nel titolo Il «fare» pensato. Le parole degli artisti, le idee dell’arte. Poiché il tema è ovviamente ambizioso e assai vasto, non vi è mai stata da parte nostra alcuna pretesa di esaustività, ma solo il tentativo di avviare un ragionamento e un dibattito collettivo tra studiose e studiosi della stessa generazione. Non di meno si è cercato di estendere il più possibile l’arco cronologico coperto dai vari interventi, divisi in tre sezioni (La riflessione sull’arte nelle botteghe medievali; L’epoca moderna e l’invenzione della teoria dell’arte; Prospettive novecentesche tra forma e processo), non solo perché crediamo che sia necessario tirarsi fuori dalle secche dell’iperspecialismo, ma perché siamo convinti che le idee e i problemi principali della Storia dell’arte trascendano le epoche e gli steccati cronologici più rigidi. Per quanto riguarda il tema del “fare pensato” e delle “idee degli artisti” è subito necessario precisare che non si intendeva perorare la causa della cosiddetta filosofia dell’arte (di antica matrice hegeliana), ovvero di quelle «dottrine» che «procedono in assenza delle opere, o tutt’al più sbirciandole da lontano», perché restiamo convinti che la buona critica si generi piuttosto «in presenza» dell’opera d’arte o almeno a partire da essa e in rapporto ad essa1. Se è vero però che l’opera è sempre un «fatto aperto»2 e mai definitivamente risolto, un campo di forze che può generare diversi orizzonti di senso, si potrà ammettere che essa è anche un oggetto che emana teoria, perfino al di là della sua ineludibile immanenza G.A. Calogero, G. del Monaco, P. Fameli8e materialità. Non è un caso che gli artisti di ogni tempo, seppure con diverso grado di impegno e consapevolezza, si siano spesso interessati agli aspetti più generali e appunto teoretici della loro pratica lavorativa. Si potrebbe ribattere, assieme ad Annibale Carracci, che i veri artisti visivi abbiano «da parlare con le mani»3 e non per mezzo della parola, ma aveva altrettanto ragione Henri Focillon a sostenere che se «la mente fa la mano, la mano fa la mente», perché «il gesto che crea esercita un’azione continua sulla vita interiore»4. È chiaro che la mano più sapiente «ubbidisce all’intelletto», come recitava Michelangelo in un suo famoso sonetto5, ma non si può negare che essa sia anche parte attiva nel processo di creazione e conoscenza, poiché nell’atto di manipolare e trasformare la materia attraverso la tecnica preorganizza e orienta i dati di natura. D’altra parte, già il filosofo Anassagora era convinto che la sapienza peculiare della specie umana dipendesse dalle mani6 e addirittura Martin Heiddeger sosteneva che «il pensiero è la più semplice e quindi la più difficile, delle opere della mano»7 (e non viceversa). Le moderne teorie dell’evoluzione hanno in effetti confermato come la comparsa del pollice opponibile e lo sviluppo di dita mobili, sempre più in grado di effettuare movimenti di precisione e di costruire manufatti, abbiano contribuito in buona misura allo sviluppo dell’intelligenza e dell’identità umana. È evidente che ciò portò all’altro grande evento antropogenetico per eccellenza, ovvero la nascita del linguaggio. In una densissima introduzione di Giorgio Agamben a una recente riedizione di Proposte per una critica d’arte di Longhi si legge che: «quando l’ignoto di Lascaux ha tracciato sulla roccia le forme di bisonti e cavalli, questi sono diventati per la prima volta visibili, così come, se egli era, come certamente era, parlante, essi avevano ricevuto un nome, erano diventati dicibili»8.Un’immagine che evoca l’unità originaria tra pensiero, gestualità creatrice e parola, che però produsse, fin dal suo primo avverarsi, una scissione profonda tra il linguaggio visivo e quello verbale: due codici diversi e tra loro irriducibili, anche perché – come ha spiegato Baxandall (e come ben sapeva anche Bruno Munari9) – la struttura del primo è «simultaneously accessible to vision – at any moment all there», mentre quella del secondo è prettamente temporale e dunque lineare10. Ne deriva quell’alterità ineffabile del linguaggio non verbale che è poi lo scoglio principale contro cui cozza ogni tipo di critica che si proponga appunto di «significar per verba» i contenuti e i valori specifici delle arti visive. Un’impresa difficile, forse anche improba, ma che è necessario affrontare, a meno che non si voglia scadere in qualche forma di agnosticismo o addirittura nichilismo ermeneutico. In quest’ottica può essere utile, o quantomeno interessante, tornare a interrogarsi sulle parole (o sulle azioni “parlanti”) degli stessi artisti, da intendere quasi come G.A. Calogero, G. del Monaco, P. Fameli9«anelli intermedi» (come avrebbe detto Wittgenstein11) tra la progettualità mentale e i processi operativi veri e propri. Ed è proprio a questo proposito che abbiamo pensato di proporre questa parzialissima, ma speriamo interessante, rassegna di interventi che dai trattati e ricettari medievali spazia fino all’arte digitale dei nostri giorni, che è anche un modo per rimandare a quella necessaria conciliazione tra fabrica et ratiocinatione invocata da Vitruvio fin dall’incipit del suo celebre trattato di Architettura.D’altronde, anche nel De re aedificatoria di Leon Battista Alberti, uno dei più infaticabili e geniali “teorici” dell’arte di ogni tempo, il termine doctus è spesso interscambiabile con quello di peritus e ben si deduce che per il grande architetto la cultura non può essere mai essere disgiunta dall’esperienza pratica, tanto che se le dottrine «sono in prima necessarie»12, diventano vane senza l’accompagnamento di un costante esercizio. È allora significativo che in un passaggio del quarto libro del Momus, il vecchio traghettatore Caronte si prenda gioco del filosofo Gelasto, intento nelle sue ricerche astrali, opponendogli piuttosto la figura del pittore, acuto osservatore delle forme che vede da solo più di quanto «non facciate voi filosofi insieme, misurando ed indagando il cielo»13. Per Alberti, infatti, il “fare pensato” degli artisti rappresenta quel modo concreto di creazione e conoscenza che consente, meglio di tanti altri approcci più spiccatamente astratti, di avvicinarsi alla verità.1 R. Longhi, Proposte per una critica d’arte, in «Paragone», 1, 1950, p. 5.2 Ivi, p. 16.3 G.B. Agucchi, Diverse figure al numero di ottanta, disegnate di penna nell’hore di ricreatione da Annibale Carracci intagliate in rame, e cavate dagli originali da Simone Guilino Parigino, Roma, 1646, p. 12 (ripubblicato in D. Mahon,  Studies in Seicento Art and Theory, London, 1947, pp. 233-275, per la citazione: p. 254).4 H. Focillon, Vie des Formes suivi de Éloge de la main, Paris, 1943, trad. it. in S. Bettini, E. De Angeli, Vita delle Forme seguito da Elogio della mano, Torino, 2002, p. 130.5 M. Buonarroti, Rime, ed. a cura di E.N. Girardi, Bari, 1960, p. 82, n. 151.6 I presocratici. Testimonianze e frammenti, 2 voll., Bari, 2004, II, p. 599, n. 102.7 M. Heidegger, Was heisst Denken?, Tübingen, 1954; trad. it. di U. Ugazio, G. Vattimo, Che cosa significa pensare?, 2 voll., Milano, 1978-1979, I, p. 109.8 G. Agamben, L’antifilosofia di Roberto Longhi, in R. Longhi, Proposte per una critica d’arte, Urbino, 2014, p. 19.9 I laboratori tattili, a cura di B. Munari, 1985, ed. Mantova, 2021, p. 13.10 M. Baxandall, Words for Pictures. Seven Papers on Renaissance Art and Criticism, New Haven-London, 2003, p. 112, trad. it. Parole per  le  immagini. L’arte rinascimentale e  la  critica, Torino, 2009.G.A. Calogero, G. del Monaco, P. Fameli1011 L. Wittgenstein, Bemerkungen über Frazers “The Golden Bough”, a cura di R. Rhees, in «Synthese», 17, 1967,  pp.  233-263;  trad. it. di S. de Waal Note sul “Ramo d’oro” di Frazer, Milano, 1975, p. 29. 12 L.B. Alberti, Opere volgari, a cura di C. Grayson, 3 voll., Bari, 1960-1973, II [1966], p. 217.13 Id., Momus, ed. a cura di F. Furlan, P. D’Alessandro, Milano, 2007, p. 291.

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