La grotta paleostorica si offre come una “immagine-ambiente” paradigmatica nell’intima relazione tra immagini (pitture, graffiti, blocchi scolpiti) e andamento della parete geologica. Spazio conchiuso, avvolgente, buio, in cui “l’immagine va a coincidere con la totalità del campo percettivo, venendo meno la cornice”, essa appare come l’ambiente perfetto per essere esplorato in modalità immersiva a 360°. Un caso emblematico di questo sistema esperienziale è offerto dal recentissimo, sfaccettato programma Meet Our Ancestors (Google Arts & Culture), dedicato al sito di Chauvet-Pont d’Arc, che, attraverso un apparato tecno-mediale e differenti gradi di interazione (AR, VR), permette sia la sovrapposizione tra reale e virtuale, sia l’immersione multisensoriale in un ambiente artificiale. Oggetto di riflessione del contributo sarà la disamina della multiforme nozione di immersività AR e VR in una prospettiva teorica-estetica in relazione a tale ambiente specifico, anche alla luce della sua estensiva applicazione alle principali repliche (Altamira, Lascaux, Chauvet) in fase di pandemia. Il contributo ripercorrerà inoltre le tappe salienti di una lunga storia percettiva perennemente oscillante tra lettura ambientale ed esaltazione iconica: dalle prime illustrazioni di ambito scientifico di fine XIX secolo, alle strategie espositive della prima metà del ‘900, passando per le immagini della cultura di massa, la ri-mediazione dell’arte paleostorica trova uno snodo fondamentale nell’avvento del cinema, per culminare nell’utilizzo del 3D con l’opus di Werner Herzog, The Cave of forgotten dreams (2011)