Paziani, Rodrigo Ribeiro

Perinelli Neto, Humberto

Roque, Araguaia Solange de Souza

Portuguese

Projeto SABER

 Tempos Históricos • Volume 20 • 1º Semestre de 2016 • p. 20-26 • 1983-1463 (versão eletrônica)  20 LE SVENTURE E LE FORTUNE DELLA SCRITTURA DELLA STORIA: INTERVISTA A CARLO GINZBURG1   Fin da piccolo, Carlo Ginzburg, italiano di origine ebraica, nato a Torino nel 1939, è stato immerso nel mondo della narrazione, delle parole e dei loro significati: prima attraverso il rapporto con i genitori, poi attraverso il proprio itinerario di ricerca. Ginzburg è figlio di Leone Ginzburg e Natalia Levi. Leone, libero docente di letteratura russa presso l'Università di Torino, nel 1934 abbandonò la carriera accademica per aver rifutato di prestare giuramento di fedeltà a  regime fascista. Tradusse in italiano, tra l’altro, Anna Karenina di Lev Tolstoi, e Taras Bulba di Nikolai Gogol. Fu uno dei fondatori della casa editrice Einaudi. Arrestato per attività antifascista, morì nel 1944, nella sezione del carcere di Roma controllata dai nazisti. Natalia scrisse romanzi e saggi tradotti in molte lingue, tra cui “Lessico famigliare”, “Tutti i nostri ieri” e “Le piccole virtù”, così come “Le voci della sera” e “La famiglia Manzoni” (anche senza traduzione in portoghese). Ginzburg studiò alla Scuola Normale Superiore di Pisa e si laureò in storia presso l’Università di Pisa. Successivamente trascorse periodi di studio presso il  Warburg Institute (Londra), l’Institute for Advanced Study (Princeton), l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales (Parigi), il Getty Center (Santa Monica, California), il Wissenschaftskolleg (Berlino). Ha insegnato all’Università di Bologna, all’UCLA (University of California at Los Angeles), alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Molti suoi libri sono stati tradotti da editori brasiliani: “I benandanti”, “Storia Notturna”, “Il formaggio e i vermi”, “Miti, emblemi spie”, “Occhiacci di legno”, “Nessuna isola è un’isola”, “Rapporti di forza”, “Indagini su Piero”, “Il filo e letracce” e, più recentemente, “Paura, reverenza, terrore”.  Dalla sua casa a Bologna, in Italia, ha risposto a d mande sulla conoscenza storica e sulla scrittura della storia, su microstoria, terrorismo e terrore, su narrazione storica e narrazione cinematografica, e ha parlato dei suoi futuri progetti di ricerca.                                                    1 Presentazione del testo, la preparazione di domande e traduzione: Profs. Araguaia Solange de Souza Roque (UNESP), Humberto Perinelli Neto (UNESP) e Rodrigo Ribeiro Paziani (UNIOESTE).   Tempos Históricos • Volume 20 • 1º Semestre de 2016 • p. 20-26  21  Carlo Ginzburg (Foto: Luisa Ciammitti/Archivio Personale)  1. Durante la lettura delle Sue opere, si deduce chla scrittura della storia comporta fondamentalmente la relazione tra osservatore, indizi e narrazione. Lei sarebbe d'accordo con questa definizione? Perché? CG: Cambierei un po’ la definizione. Anche se spesso parliamo, metaforicamente, di “punto di vista”, gli storici raramente possono essere definiti osservatori: alla realtà accedono indirettamente, attraverso una documentazio e che (tranne nel caso della storia orale) non producono. Le domande degli storici trasformano la documentazione in indizi. A questo punto subentrano i filtri narrativi, le narrazioni (sottolineo il plurale). Ogni scelta narrativa, consapevole o inconsapevole, ha conseguenze sul piano cognitivo. Cambiano gli storici, cambiano le domande poste ai documenti, cambi  (spesso, ma non sempre) la documentazione disponibile. E cambiano i risultati (le narrazioni storiche).  2. Su questo stesso argomento, sappiamo che dal secolo s orso si sono moltiplicate in modo ampio ed eterogeneo le “scritture” della storia (o “storie”) che vanno da diverse sfumature della detta “(nuova) storia culturale”, passano attraverso aspetti storiografici LE SVENTURE E LE FORTUNE DELLA SCRITTURA DELLA STORIA: INTERVISTA A CARLO GINZBURG Tempos Históricos • Volume 20 • 1º Semestre de 2016 • p. 20-26 22 del campo marxista (revisionista o meno) e arrivano  produzioni storiche intraprese dai non-storici come giornalisti, registi e critici d'arte. In relazione a questo insieme così diverso (e talvolta controverso) di “scritture”, come si fa ad analizzare lo statuto della Storia nel secolo XXI? CG: Mi pare che la contraddizione fondamentale della storiografia oggi si possa caratterizzare così: i suoi strumenti analitici e i suoi  moduli narrativi sono stati elaborati all’interno di una tradizione molto variegata e mutevole, ma sostanzialmente incentrata sull’Europa e sulla colonizzazione europea. E’ un passato tramontato da tempo, che però pesa ancora. Quegli  strumenti, quei moduli devono fare i conti con una realtà (e una documentazione) molto più vasta, considerata da punti di vista completamente diversi. Di qui la contraddizione di cui parlavo: il vino vecchio fa scoppiare gli otri nuovi, come si legge nel vangelo di Marco. Si tratta di considerazioni ovvie: ma i modi in cui questa contraddizione va affrontata sono tutt’altro che ovvi.  3. In un testo che riflette sulla scrittura della storia a partire dalla lettura dei testi di Siegfried Kracauer e Marc Bloch, Lei sostiene che vi è una prospettiva interessante per tale scrittura, prodotta nella mediazione tra primi p ani (close-ups) e piani generali o grandi piani generali (extreme longshots). Da questa riflessione, in che misura la ridefinizione del ruolo della narrazione nella storia promossa dai suoi studi s’avvicina, dal punto di vista teorico-metodologico, a questioni legate al cinema? Sarebbe pertinente alla formazione dello storico del ventunesimo secolo conoscere la narrazione cinematografica e magari produrre i propri lavori in formato di film? Perché? CG: Dal cinema (a cominciare dal cinema muto, che era molto più audace nei suoi esperimenti formali di quello sonoro) vengono sfide narrative. Gli storici hanno imparato dai romanzieri (e viceversa): perché non anche dai registi? Il progetto di Sergei Eisenstein di fare un film sul Capitale di Marx mi ha sempre affascinato. E naturalmente lo storico del XXI secolo troverà materiale prezioso in film di finz one come Il gabinetto del dottor Caligari oppure in film di propaganda nazista come Il trionfo della volontà di Leni Riefenstahl: bisognerà leggerli, gli uni e gli altri, contropelo (come avrebbe detto Walter Benjamin). Quale può essere l’equivalente filmico di un saggio storico? Un documentario? Da qualche tempo m’interrogo sulla spontaneità costruita dei film documentari. In essi   Tempos Históricos • Volume 20 • 1º Semestre de 2016 • p. 20-26  23 comunque bisognerà distinguere l’elemento documentario consapevole da quello inconsapevole: lo storico (come  ci insegna Marc Bloch) cercherà una verità più profonda soprattutto nell’elemento inconsapevole.  4. In un recente libro dal titolo “Paura, Reverenza, terrore: rileggere Hobbes oggi” (pubblicato in Brasile nel 2014), Lei dice all’inizio del saggio su Hobbes: «Si parlerà di terrore, non di terrorismo. La parola “terrorismo” probabilmente non aiuta a capire gli eventi sanguinosi cui viene riferita. Come il terrorismo, anche il terrore è attuale: ma non si parlerà dell’attualità”. Si aggiunge dicendo che “per capire il presente bisogna imparare a guardarlo di sbieco”. Siamo d’accordo con Lei, ma vorremmo rimettere la questione del “terrorismo” prendendo in considerazione non solo gli attentati di New York nel 2001, ma i recenti eventi che hanno avuto luogo a Parigi e in altre capitali in tutto il mondo. Come il Suo studio sul “terrore”, sulla “paura”, a partire dall’analisi dell'iconografia politica e la filosofia di Hobbes, può aiutare il soggetto del XXI secolo ad orientarsi in un tempo presente segnato quotidianamente dal fenomeno del “terrorismo”? CG: Continuo a pensare che il terrore ci aiuta a capire anche il cosiddetto terrorismo: non l’inverso. Se confrontiamo le due categorie vediamo subito che il terrore ha una storia molto più lunga, che incorpora una riflessione molto più ricca. Si è parlato di terrorismo per designare, dopo l’attacco alle Twin Towers dell’11 settembre 2001, atti violenti non riconducibili a entità statali. Ma l’esistenza dell’ISIS ha complicato le cose, rendendo il termine “terrorismo” più che mai inadeguato, dal punto di vista analitico. Gli attentati compiuti a Parigi, le decapitazioni destinate a un p bblico mondiale, vogliono incutere paura, vogliono terrorizzare. La tecnologia è cambiata; il contesto, non solo mediatico ma politico, è nuovo; l’obiettivo è antico. Come sempre, nel presente si annidano molti passati, intrecciati e stratificati. Per questo insisto più che mai sull’idea di prendere le distanze dal presente: bisogna imparare a guardarlo in maniera obliqua. All’antica domanda: a che cosa serve la storia (la conoscenza storica) risponderei: a non dare la realtà per scontata.  5. Vorremmo por le alcune domande riguardo la micro-st ria. La prima riguarda la questione della “distanza”, uno dei termini cari alle riflessioni presenti in una delle Sue opere (“Occhiacci di legno”). Seguendo la stessa procedura metodologica utilizzata da LE SVENTURE E LE FORTUNE DELLA SCRITTURA DELLA STORIA: INTERVISTA A CARLO GINZBURG Tempos Históricos • Volume 20 • 1º Semestre de 2016 • p. 20-26 24 Lei, come spiegare da una certa distanza la “nascit” dell’approccio micro-storico, decenni dopo la pubblicazione dei primi lavori associati a questa prospettiva storiografica? CG: Nella ricca galleria di antenati della microstoria includerei anche Bronislaw Malinowski, l’autore della battuta “non è la tribù  tale  o talaltra che importa, sono le domande che poniamo a quella  tribù”. Il rapporto ta antropologia e storia – un rapporto in cui s’intrecciavano sfida e dialogo – ha avuto un peso a mio parere decisivo nell’emergere della microstoria. Negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, col tramonto  dei poteri coloniali tradizionali, l’antropologia, già strumento della colonizzazione europea, è diventata qualcosa di completamente diverso: uno strumento di distanziazione critica, rispetto a realtà di qualunque genere. Analogamente, il potenziale analitico della microstoria consente di criticare risposte macrostoriche date per scontate, e di formulare nuove domande: in che direzione? La risposta per me è ovvia: sia micro – che macrostorica.   6. Uno dei Suoi principali contributi metodologici nella prospettiva micro-storica, e perché non dire anche al “mestiere dello storico”, è stata la problematizzazione del detto “metodo indiziario”. Alcuni decenni dopo la ricezione di questo metodo dagli storici, come Lei valuta oggi le potenzialità (ed eventuali limiti) del metodo indiziario alla (ri)costruzione della conoscenza storica? CG: Nel saggio “Spie. Radici di un paradigma indiziario” (1979) s’intrecciavano una proposta  teorica, una ricostruzione storica (in parte dichiaratamente congetturale) e una riflessione, nascosta,  sul mio modo di lavorare. Ho continuato a lavorare su indizi, ma il successo (che non posso negare) di quel saggio mi ha indotto a non usare il termine “paradigma indiziario” per più di vent’anni. Non volevo che il mio nome venisse associato a uno slogan, o (peggio) a un logo. Mi sono mosso in direzioni diverse. In un libro come “Storia notturna: una decifrazione del sabba” (1989) ho usato un metodo indiziario su una scala macroscopica (il continente eurasiatico). In quel caso avrò forse colto i miei lettori in contropiede, contraddicendo le loro aspettative. Ma in generale questo mi pare utile, per loro e per me. Cristallizzarsi, introiettare un’immagine (suggerita dagli altri o da noi stessi) mi pare un rischio sempre presente, da cui dobbiamo guardarci – non solo in quantio   Tempos Históricos • Volume 20 • 1º Semestre de 2016 • p. 20-26  25 ricercatori, ma in quanto individui. Certo, dietro l’impulso, in me fortissimo, ad affondare continuamente temi nuovi di ricerca, c’è anche la consapevolezza di questo rischio.  7. Un'altra questione significativa si pone quando si parla su “microstoria”. In un libro di interviste organizzato da Maria Lúcia Pallares-Burke, di cui Lei ha partecipato, ad un certo punto della conversazione, Lei lascia chiaro lo scomodo di essere chiamato “micro-storico”, un'etichetta che spesso Le veniva (o viene a cora) associata. Nel libro, Lei ha cercato di spiegare questo disagio, ma ci è sembrato che la risposta lasci spazio ad alcune questioni. Se si può parlare sicuramente di “micro-st ria”, perché non è possibile (o viabile) utilizzare il termine “micro-storico” per iferirsi a chi pratica la micro-storia? Ad esempio, Giovanni Levi non potrebbe essere considerato un “micro-storico”? CG: Chiunque può fare, se vuole, della microstoria, anche se questa scelta, com’è ovvio, non garantisce la qualità dei risultati. Ma l’idea di essere etichettato come “microstorico” una volta per tutte non mi attraeva allora, e non mi attrae ora: di qui il disagio che lei ha avvertito nella mia risposta a Maria Lúcia Pallares-Burke. Credo  che essere etichettato come “microstorico” non piaccia nemmeno a Giovanni Levi. Continuiamo, sia io sia lui, a essere convinti della vitalità del progetto che ha dato vita alla microstoria: ma lo facciamo da punti di vista diversi. Ho potuto constatarlo discutendo con Giovanni qualche sera fa a Venezia. Sono divergenze nutrienti, come la cena che abbiamo fatto insieme.  8. Decenni dopo l'impiego e la popolarizzazione del termine “micro-storia”, quale bilancio Lei fa di questa prospettiva storiografica, considerando che la Sua produzione scientifica influenza i campi teorico, metodologico e epistemologico della storia? CG: Senza dubbio la microstoria ha avuto un grande – p r me inaspettato – successo. Ma dietro quell’etichetta si nascondono molteplici versioni; non esiste un’ortodossia microstorica, esistono moltissime varianti. Alcune tendono a semplificare, talvolta a banalizzare il progetto, lasciando cadere l’elemento analitico. Proporre un aneddoto non basta. La ricchezza di un caso si misura in base al uo potenziale analogico: la possibilità di generalizzare domande e anche (perché no?) risposte. La microstoria sfida la macrostoria, e LE SVENTURE E LE FORTUNE DELLA SCRITTURA DELLA STORIA: INTERVISTA A CARLO GINZBURG Tempos Históricos • Volume 20 • 1º Semestre de 2016 • p. 20-26 26 inversamente. Per questo, in un saggio recente (“Microh story and World History”2) ho cercato di dimostrare, attraverso la discussione di un caso specifico, che la microstoria può essere un modo per affrontare la contraddizione di cui parlavo prima. Ancora una volta ho cercato di legare ricerca empirica e riflessione teorica. Ci sono riuscito? Non lo so.   9. Ancora su questo argomento, è opportuno domandare: Lei ha conoscenza della produzione storiografica brasiliana? Potrebbe parlarne di alcune opere o autori che conosce o forse ha già letto? CG: La mia conoscenza della storiografia brasiliana è purtroppo molto inadeguata. Vorrei però citare almeno Henrique Espada Lima, non solo per il suo libro (estremamente stimolante) sulla microstoria italiana, ma per le su  riflessioni sui processi sociali innescati dall’abolizione della schiavitù in Brasile.   10. Qual è la Sua comprensione per quanto riguarda l’accoglienza e l’impatto delle Sue opere dagli storici brasiliani? CG: Un’accoglienza straordinariamente generosa. Credo di non avere trovato un pubblico simile in nessun altro paese. Questo lo devo a molti – ma prima di tutto alla Companhia das Letras, che ha pubblicato i miei libri, e a coloro che l’hanno fondata, Luiz Schwarcz e Lilia Moritz Schwarcz.   11. Potrebbe parlare dei Suoi prossimi progetti accademici? CG: Dall’accademia sono uscito qualche anno fa, per motivi di età, anche se mi capita di insegnare ancora (l’ho fatto, con grande gioia, all’University of Chicago l’autunno scorso). Progetti di ricerca invece ne ho molti, forse troppi erché in conflitto tra loro. Quello al quale tengo di più è forse quello che non riuscirò a portare a termine: un libro su Dante. Ci lavoro da anni, ho pubblicato vari saggi: quanto al libro, chissà.                                                     2 GINZBURG, Carlo. Microhistory and world history. In: BENTLEY, Jerry H.; SUBRAHMANYAM, Sanjay; WIESNER-HANKS, Merry E. The Cambridge world history. Cambridge: University Press, vol. 6, 2015 (The construction of a global world, 1400-1800 CE, Part 2: Patterns of change). 

LE SVENTURE E LE FORTUNE DELLA SCRITTURA DELLA STORIA: INTERVISTA A CARLO GINZBURG

https://e-revista.unioeste.br/index.php/temposhistoricos/article/download/14676/9952

LE SVENTURE E LE FORTUNE DELLA SCRITTURA DELLA STORIA: INTERVISTA A CARLO GINZBURG

Abstract

Similar works

Full text

Available Versions

Projeto SABER