L’impossibile integrazione sociale dei detenuti stranieri: il fattore linguistico

Abstract

L'analisi della normativa e, soprattutto, della prassi sul trattamento penitenziario degli stranieri (con particolare riguardo all'accesso alle misure premiali e alternative al carcere) evidenzia il paradosso di una funzione (non) rieducativa della pena per gli stranieri destinati all’espulsione; recenti tentativi sono stati intrapresi nel senso di una risocializzazione “cosmopolita”, per cui si immagina un percorso di inserimento non nella società italiana bensì in quelle di provenienza, ignorando come ciò vada spesso contro la volontà dello stesso detenuto; in ogni caso, il successo dell'iniziativa è subordinato a investimento di mezzi e efficienti relazioni con i Paesi di provenienza (nel cui mercato del lavoro i detenuti destinati all'espulsione dovranno inserirsi). L'ostacolo linguistico incide limitatamente su tale condizione di marginalità del detenuto straniero; una risorsa sempre più necessaria ai fini della funzione (costituzionalmente obbligatoria) rieducativa della pena: non si tratta di mera mediazione linguistica (interpretariato, traduzione delle comunicazioni delle autorità del carcere al detenuto, ecc.), ma di mediazione anche e soprattutto culturale, indispensabile anche per le delicate attività di valutazione comportamentali finalizzate all'accesso ai benfici carcerari. La normativa e, soprattutto, i finanziamenti per tale servizio di supporto (appaltato di volta in volta a cooperative di volontariato e simili) appaiono assai carenti. La Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti (tradotta nelle lingue maggiormente diffuse) è un piccolo passo in tale direzione, ma dalla portata più simbolica che altro. Il piano del diritto europeo, specie a livello di Consiglio d'Europa, sembra porre un'apparato di obblighi alle autorità statali abbastanza dettagliato, ma con meri strumenti di soft law; la giurisprudenza della Corte EDU offre, fin qui, pochi appigli per rafforzare la tutela dei diritti linguistici e, in generale, alla mediazione culturale dei detenuti stranieri. Interessanti sforzi sono compiuti dai giudici comuni, compresa la Cassazione, per interpretare in senso elastico normative che sembrano trasscurare, in particolare, la condizione dell'immigrato irregolare in carcere. Si tratta di interventi giurisprudenziali che possono al più stimolare il potere politico-legislativo. In assenza di un profondo mutamento culturale nelle élite politiche del Paese, che conduca al superamento della visione strumentale del carcere per gli stranieri, inteso come luogo di mera “neutralizzazione”, non sarà possibile immaginare e praticare percorsi di riforma credibili a favore dell’integrazione sociale dei detenuti migranti

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