Review of Giancarlo Alfano's&nbsp;Fenomenologia dell'impostore. Essere un altro nella letteratura moderna.Recensione del volume&nbsp;Fenomenologia dell'impostore. Essere un altro nella letteratura moderna&nbsp;di&nbsp;a&nbsp;Giancarlo Alfano

Iacoli, Giulio

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 Between, vol. XII, n. 23 (maggio/May 2022)  Giancarlo Alfano Fenomenologia dell’impostore.  Essere un altro nella letteratura moderna  “Piccoli saggi”, Roma, Salerno Editrice, 2021, 225 pp.  Il frutto di un percorso diacronico accurato e affascinante, Fenomenologia dell’impostore di Giancarlo Alfano stabilisce sin dall’esordio il proprio protocollo di analisi. Il capitolo introduttivo è difatti dedicato a una ricostruzione millimetrica del caso Martin Guerre, dalla relazione del giudice della Corte tolosana Jean de Coras al noto e protratto impegno storiografico con il caso da parte di Natalie Zemon Davis, come pure del “sistema culturale” che, con la vicenda di Martin Guerre, viene alla luce. Con il titolo altamente indicativo del capitolo, “La scena”, l’autore fa riferimento alla preparazione, allo studio psicologico e ambientale, al travestimento necessari a performare un sé alterato e verosimile nei nuovi panni, artatamente ricombinato – questo è l’aspetto decisivo – secondo le attese dei destinatari, in questo caso i familiari dell’abitante del villaggio pirenaico, riapparso, sotto false spoglie, otto anni dopo.  Un passaggio argomentativo, al proposito, detta il tono, ispira le parole chiave per la prosecuzione dell’indagine: «Quello che […] è particolarmente stimolante in questa vicenda e nel modo in cui è stata raccontata è l’insieme di finzioni, mascheramenti, dissimulazioni cui i protagonisti hanno dovuto ricorrere: finzioni, mascheramenti e dissimulazioni che non sarebbero stati efficaci, se non avessero pienamente aderito a convinzioni, convenzioni e credenze della comunità di Artignat» (20-21, corsivo mio). Nel tono caratteristico dell’indagine di Alfano, «convinzioni, convenzioni e credenze» agiranno come triplice reagente, motivo Between, vol. XII, n. 23 (maggio/May 2022) 519 reiterato o salienza interpretativa alla base dei diversi episodi/testi scrutinati, colti nel loro impegno a ricreare e riposizionare, nelle varie epoche e culture, il cerimoniale e, appunto, la scena dell’impostura letteraria. Al proposito è significativo ritrovare, tra le pagine del suo lavoro, un’auctoritas ben precisa, esogena rispetto agli studi letterari, né da questi ultimi, nel nostro Paese, recepita in forma stabile: lo studio di Goffman su attori e interazioni sociali, ribalte e retroscena della quotidianità (The Presentation of Self in Daily Life, del ’59). La teoria sociale classica di Goffman consente al critico di rintracciare, nelle pagine che chiosano la performance di frate Cipolla, e nel vivo di un capitolo che segue da vicino la proliferazione dell’arte ‘specialistica’ (66) dei cerretani, nell’Europa del Trecento, «[l]a questione centrale del potere far credere qualcosa a qualcuno […] non come espressione di una forza coercitiva, ma come dialettica della fiducia» (63).  Lo slancio con il quale si procede verso la modernità, attenti ai variabili significati della maschera indossata di volta in volta dal nostro antieroe, stimola immediate espansioni, accostamenti a ulteriori immagini rappresentative: e questo a dirci il vigore, la continuità con cui l’impostura letteraria prolifera, sino alle forme dell’immaginario contemporaneo. Vengono allora in mente esempi a noi prossimi: la sottigliezza e le doti dell’ascolto empatico con le quali il trickster suburbano Dougal Douglas (o, nella versione alternativa di sé da lui stesso fornita, Douglas Dougal) si insedia, liscio come la seta, nelle grazie altrui, in The Ballad of Peckham Rye (1960) di Muriel Spark, o l’arte del ‘pacco’ sviscerata da Arpino in una reviviscenza narrativa del picaro, il protagonista fuorilegge (e, insieme a lui, nella fulminea apparizione di un maestro della truffa, lo zio Biro) di Domingo il favoloso (1975), che campeggia, con il suo indomito ardore truffaldino, in una grigia descrizione dell’ambiente torinese. Naturalmente la lista delle attestazioni, di per sé suscettibile di ampliamenti legati alle personali predilezioni di lettura, può benissimo per il momento richiudersi qui; al di là tuttavia del credito che si può attribuire a tali spontanei esperimenti associativi, acquisisce valore il principio unificante che organizza la Fenomenologia, il filo rosso dell’impostura, seguendo il quale possiamo rileggere la storia delle forme occidentali, cogliendo in chiave Giancarlo Alfano, Fenomenologia dell’impostore (Giulio Iacoli) 520 comparativa problemi di caratterizzazione e narrazione, retoriche distintive, nodi storico-culturali.  Mancheremmo il segno, però, se incentrassimo la nostra analisi sulla mera raffigurazione della metis dell’impostore, sulle sue tante riapparizioni e diramazioni contemporanee, a testimoniarci la funzione tutt’altro che svigorita della credulità popolare (vogliamo condurre oltre la nostra osservazione, sino a giungere all’ultracontemporaneo? Si ricorderà una scena di Loro 2 di Sorrentino, 2018, nella quale un Berlusconi invecchiato, e comunque sempre infaticabile progettatore di sé stesso, riesce nell’intento di convincere una malcapitata casalinga di provincia, estratta a caso dall’elenco telefonico, di avere bisogno dell’appartamento immaginario propostole).   Siamo, con il libro in questione, dinanzi a uno sforzo interpretativo in buona parte differente, per un verso più sfumato e senz’altro più originale e raffinato: la contestuale, attenta messa in rilievo del «sistema di attese del beffato» (così nel capitolo dedicato alla recita del penitente, e in particolare nelle note sulla gradatio di credibile santità orchestrata da ser Ciappelletto ai danni del frate confessore; 53) è condizione prima e mossa analitica fondamentale per la definizione dei tratti salienti del beffatore; la sua identità essenzialmente contingente, parziale e relazionale chiama in causa, per vedersi comprendere, aspetti e metafore ludici o teatrali – rinviando dunque a modalità eminentemente interpersonali di espressione –, come un semplice sguardo ai titoli dei capitoli permette di osservare.  Le letture si snodano lungo un percorso fitto di suggestioni, non privo di opportune preoccupazioni didattiche, si intuisce: ognuno dei capitoli-scena, o episodi, nei quali sale alla ribalta l’impostore, viene strutturato intorno a dati essenziali dell’intreccio per catturare, si diceva, il cangiante significato delle sue diverse riapparizioni; la figura al centro dell’indagine si fa così sensibile indicatore del mutare di cultura e assetto della società. Ne sono barometri di finissima efficacia, fra gli altri, il Cortegiano e la “blanda” proposta di trasformarsi in impostore, rivoltagli da Castiglione – «qualcuno che sappia soddisfare le richieste diffuse senza lasciar trasparire gli aspetti più intimi della propria soggettività. Proprio il contrario di quel gioco della trasparenza con cui l’opera Between, vol. XII, n. 23 (maggio/May 2022) 521 sembrava aprirsi» (87) –, e, giunti all’epoca dei Lumi, l’insistenza retorica sull’autenticità del proprio discorso che in Rousseau prende le forme di una «sincerità imposturata» (140).  Possono apparire pieghe più accennate del ragionamento, sottili rivolgimenti, questi, se li si pone a confronto con la pronuncia ore rotundo della parola, o dell’identità, mistificatrice, dalle quali il corso dell’indagine storica prende le mosse. Si imprimono certo nella mente, a una riconsiderazione del percorso di lettura svolto, gli impostori sommi del Decameron, cui si è accennato, il Lazarillo de Tormes e la «drammaturgia della confidenza» (74) con cui Lázaro insinua una familiarità suadente con il lettore, «al tempo stesso mette[ndo] sottilmente in crisi il sistema di riferimento sul quale è impiantato il nostro mondo morale e dunque il nostro punto di vista sul mondo» (75). O ancora, il capolavoro della reticentia in Othello, nelle affermazioni suadenti di Iago, minuziosamente smontate e analizzate (riprendendo fra l’altro, e annodandola al discorso sulla sprezzatura, l’idea di Greenblatt di improvisation, nel caso di Iago: «la duplice capacità di sfruttare l’imprevisto e di adattare il proprio agire ai materiali disponibili nell’ambientazione: capacità che, nonostante, il suo carattere inevitabilmente ‘estemporaneo’, è spesso il prodotto di un’‘attenta’ preparazione», 99); come pure l’essenza stessa del tartufesco messa a nudo da Molière, in un testo dal quale, nuovamente, traiamo una morale perentoria: «è il dupe che regge la duperie» (106). «Se Orgone va a messa tutti i giorni – come, altrimenti, avrebbe potuto ammirare Tartufo ogni giorno a messa? –, ai suoi occhi la devozione dell’uomo non potrà che costituirsi come una tipicità esemplare: i gesti di quell’uomo saranno per lui la conferma del proprio mondo. È lo schema interpretativo con cui Orgone si orienta nel mondo a creare Tartufo» (ibid.).    Grandi snodi dell’impostura letteraria e snodi meno vistosi e però non di minore significatività si accordano in tal modo nella costruzione del percorso critico. Dove, allora, le riprese e le soluzioni di continuità, i diversi fini e le diverse poste in gioco del travestimento disegnano una storia, sì, ma anche un’intensa messa in prospettiva teorico-culturale del problema, che viene operando aperture su fronti affini e ulteriori, intersecandone in più punti alcuni aspetti fondamentali (il tema del Giancarlo Alfano, Fenomenologia dell’impostore (Giulio Iacoli) 522 doppio; il modo picaresco; la menzogna, indagata ricorrendo a più riprese alla guida salda costituita dalla Cicatrice di Montaigne di Mario Lavagetto), un’origine e sviluppi, nell’età moderna, quantomeno in parte comuni, per le traiettorie del picaro e dell’impostore. Non è casuale allora che, accanto a Conrad e Unamuno, il Novecento della Fenomenologia dell’impostore veda il ritorno forte al picaresco costituito dal Felix Krull di Thomas Mann, al cui interno i diversi accenni alla figura mercuriale (un «vero e proprio Hermes-Motif», riconosciuto dalla critica; 185) danno modo al critico, sulla scorta della lettura di Kerényi, di riconnettersi alle tracce del «briccone divino» Lazarillo (182-183).  Né è privo di significatività che l’approdo definitivo del libro al contemporaneo coincida con due parabole vuote, in certa misura preannunciate da una crisi primonovecentesca di funzionamento dell’impostura, ovvero dall’impossibilità finale di scalfire l’assetto sociale alla quale, in Mann, la permuta dell’identità di Felix e del marchese di Venosta conduce (193): L’Adversaire di Carrère e El impostor di Cercas. Le note vicende raccontate dai due libri, e i toni cui si accompagna il loro racconto, sono senz’ombra di dubbio divergenti: in un caso abbiamo la ricostruzione raggelante delle mosse del pluriomicida Jean-Claude Romand, che per tutta la sua vita matura ha inflessibilmente mentito agli altri, e in primis alla propria famiglia, che avrebbe poi sterminato, nel terrore di venire nell’imminenza posto dinanzi all’evidenza dei fatti; con Cercas assistiamo d’altra parte alla commedia di Enric Marco, dal millantato impegno antifranchista, sedicente perseguitato dai nazisti e assurto, fra la Transizione e, soprattutto, l’ingresso nel nuovo millennio, a testimone pubblico di grande rinomanza, per venire poi sconfessato dalle ricerche di uno storico, e cadere perciò in disgrazia.   E tuttavia, nel vuoto significante cui ci pongono di fronte, le due opere si toccano, ed è possibile riscontrarlo ancora una volta ricorrendo al principio che ispira la persuasiva ricerca comparatistica di Alfano, ovvero la disponibilità a credere, da parte degli altri, all’identità mistificata, e, come controparte, la capacità dell’impostore di assecondare tale disposizione alla credulità, animato da motivazioni profonde: l’impossibilità di riconoscere di non essere niente, agli occhi Between, vol. XII, n. 23 (maggio/May 2022) 523 del mondo come ai propri, per Romand; la perseveranza, da parte di Marco, nel cercare di «assomigliare il più possibile ai suoi simili così da riuscire a incarnarne il desiderio di riscatto» (209).     Giancarlo Alfano, Fenomenologia dell’impostore (Giulio Iacoli) 524 L’autore  Giulio Iacoli  È professore associato di Critica letteraria e letterature comparate all’Università di Parma. Tra i suoi lavori degli ultimi anni, la monografia Luci sulla Contea. D’Arzo alla prova della critica tematica (Mucchi 2017) e le curatele di Traverser. Mobilité spatiale, espace, déplacements (con A. Frenay e L. Quaquarelli, Peter Lang 2019), Archiletture. Forma e narrazione tra architettura e letteratura (con A. Borsari e M. Cassani Simonetti, Mimesis 2019) e Culture della mobilità. Immaginazioni, rotture, riappropriazioni del movimento (con D. Papotti, G. Peterle, L. Quaquarelli, Cesati 2021). Al momento sta lavorando a una monografia su Buzzati, letto alla luce degli studi sulla mascolinità. Con Federico Bertoni dirige la collana “Sagittario. Discorsi di teoria e geografia della letteratura” (Cesati).  Email: giulio.iacoli@unipr.it La recensione Data invio: 15/03/2022 Data accettazione: 30/04/2022 Data pubblicazione: 30/05/2022 Come citare questa recensione Iacoli, Giulio, “Giancarlo Alfano, Fenomenologia dell’impostore. Essere un altro nella letteratura moderna”, Straniamenti, Eds. S. Adamo – M. Pusterla – N. Scaffai – D. Watkins, Between, XII.23 (2022): 518-524, www.betweenjournal.it    

Giancarlo Alfano, Fenomenologia dell'impostore. Essere un altro nella letteratura moderna

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