Il saggio, partendo dal caso veneziano, esplora l’idea che la biblioteca del
collezionista d’arte è stata uno dei luoghi di formazione del gusto artistico,
una sorta di laboratorio del ‘gusto’. È proprio il percorso dell’acquisizione di
un sapere che aiuta a formare il ‘gusto’ inteso come i meccanismi intellettivi
e quelli attinenti ai sensi che esistono dietro una scelta. La biblioteca era
il luogo naturale, la “palestra”, dove il collezionista d’arte si esercitava e
formulava il suo giudizio. Questa elaborazione si faceva attraverso la
consultazione di un tipo specifico di libri: gli emblemi e i geroglifici, ma
anche gli exempla, generi che fungevano da “banche dati” di immagini e testi
per “allenarsi” nel gusto artistico. Gli inventari e i cataloghi delle biblioteche
veneziane evidenziano due fenomeni: l’inclusione di libri a stampa generici
di emblemi (ma anche dei codici, comunque più rari) in quasi tutte le
biblioteche veneziane e l’esistenza di volumi più specifici e più rari o costosi
in quelle di collezionisti veneziani che talvolta si “consorziano”, dividendo i
compiti nell’acquisto di titoli, per poter studiarli e discuterli insieme